Conosciamo Gwenael Nicolas da diversi anni e nel 2011 è stato anche uno degli ‘architetti di Interni’ al nostro FuoriSalone di Milano dove presentò una bellissima installazione fatta di luce (Suspended Colors con Deborah Milano): una sorta di cupola leggera e fluttuante magicamente incastonata nel quattrocentesco Cortile dei Bagni della Ca’ Granda, oggi sede dell’Università Statale. Il mix di passato e futuro è sempre stata la cifra distintiva dei progetti di Nicolas, come del resto rivela il progetto della Boutique Fendi, recentemente inaugurata a Roma. Lì l’ho incontrato.
Sei andato a vivere e lavorare a Tokyo ‘per scoprire il futuro’ e torni in Europa per costruire a Roma, la città eterna per eccellenza. Come ti sei trovato? E, soprattutto, quanto ha contato il tema della romanità nel progetto della nuova Boutique Fendi?
Sì, è vero, Tokyo è diventata la mia città, ma naturalmente lavoro dove mi chiamano: a Parigi, a Londra, a Milano… e, oggi, anche qui, a Roma. Dove ho raccolto una duplice sfida: far tornare Fendi nella sua sede storica, e aiutare i romani a scoprire la straordinaria bellezza della loro città. Fendi non solo ha le sue origini a Roma, ma ne condivide la natura eclettica, fatta di contrasti.
È impossibile descrivere Roma con un solo aggettivo: è una città forte e ruvida, ma contemporaneamente leggera, piena d’atmosfera e di fascino. Lo stesso è per Fendi, sempre all’avanguardia, con lo sguardo rivolto al futuro, ma anche legata alla tradizione per quell’innata passione per l’artigianalità che anima tutta la sua produzione. Diciamo che riaprendo le stanze della sua sede storica, proprio nel cuore di Roma, Fendi vuol dare ai romani un’occasione per guardare al futuro, che c’è, ed è lì che ci aspetta.
E in che modo il tuo progetto ci fa guardare al futuro?
Facendo ‘muovere’ Roma. Ogni cosa nella città eterna appare fermo: colonne, statue, scalinate, muri, fregi, tutto è ‘congelato’ nel passato. Nel progetto della Boutique Fendi, invece, le nozioni di tempo e di movimento diventano i cardini che trasformano gli interni in una sorta di architettura ‘mutante’.
Prendiamo la grande scalinata che porta al primo piano: pensiamo subito che è un oggetto inanimato, un elemento statico, ma in realtà è viva, è una pietra ‘in movimento’, un nastro rosso (è realizzato in marmo di Lepanto, ndr), che fluisce attraverso le pareti in travertino. Insomma è come prendere un lungo respiro… perché ho voluto che nel Palazzo le persone potessero avvertire un senso di leggerezza. Grazie alla luce, all’ariosità degli spazi, alla freschezza dei materiali che uniscono passato e presente…
Non deve essere stato semplice misurarsi con un Palazzo del Seicento…
Be’, è stata sicuramente un’opportunità. Quando ti confronti con un capolavoro del passato, secondo il mio punto di vista, due sono le cose da fare: essere rispettosi e, allo stesso tempo, irrispettosi. Certo, quando entri in un palazzo d’epoca, e getti un occhio a come gli spazi sono organizzati, ai materiali, ai dettagli, alle finiture, rimani subito stupito, catturato dalla loro bellezza.
Ma questo non vuol dire lasciare tutto com’è. Bisogna essere audaci! Io ho voluto rompere gli schemi, ingrandendo gli spazi, aprendoli per dare respiro, modificandoli e ricostruendoli per rivelarne lo spirito e contemporaneamente liberare energia, vita e bellezza.
A proposito di bellezza, qual è il tuo ideale?
Io mi sono convinto che esiste un concetto di bellezza universale. In tutti i Paesi in cui ho operato, dal Giappone alla Francia, all’Italia, ho sempre trovato un filo conduttore di ciò che si può chiamare bellezza. Ad esempio, vedi quella bella veduta marina in quel quadro appeso alla parete? Un italiano penserebbe immediatamente alla città di Venezia, ma in realtà è un paesaggio giapponese dipinto a Tokyo 200 anni fa! Questo dimostra che nel mondo esistono dei richiami estetici comuni.
Quando riesci a individuarli, puoi raggiungere un obiettivo ambizioso: unire fra di loro culture anche molto diverse, per creare spazi e oggetti che tutto il mondo può apprezzare e nei quali può riconoscersi. La sfida di un designer, dunque, è scoprire qualcosa di bello e riuscire a comunicarlo al mondo. Se riesci a farlo, puoi far comprendere la tua visione di bellezza, che per me – e quindi eccomi al tuo iniziale quesito – è la sorpresa costante.
Quindi, con la ‘tua’ boutique, qui a Palazzo Fendi, hai voluto sorprenderci?
Certamente. Adoro disegnare boutiques perché devi sempre proiettarti nel futuro, ma soprattutto immaginarlo. In questi progetti, l’architettura deve farsi interprete di una realtà in fieri e l’immaginazione deve riuscire ad andare ben oltre il presente o un futuro a breve termine…
Hai firmato boutique in Europa e Oltreoceano, soprattutto in Oriente. Ci sono differenze?
Moltissime. In Europa devi sempre confrontarti con due storie parallele che viaggiano a velocità diverse: quella legata al passato, importante e glorioso come quello di Roma, per esempio, e poi la storia presente che corre veloce. In Asia invece l’unica storia con cui relazionarsi è quella veloce. E questo mi appassiona e mi incuriosisce moltissimo.
Per questo hai chiamato ‘Curiosity’ il tuo studio a Tokyo?
Certamente.
Ma anche io sono un po’ curiosa: qual è il tuo prossimo progetto?
Un profumo. E… una nuova boutique, naturalmente, e questa volta a Milano.
Intervista di Gilda Bojardi – A cura di Laura Ragazzola – Foto di Gionata Xerra
Pietro Beccari: moda + arte + design
Il Presidente e Ceo di Fendi racconta in esclusiva a Interni le grandi passioni della storica maison romana. Che porta l’alta moda in alcuni tra i più esclusivi gioielli dell’architettura italiana. Nel segno della tradizione e della modernità
Incontro Pietro Beccari per la seconda volta: dopo Milano, in occasione dell’apertura del nuovo showroom della maison presso l’ex Fondazione Arnaldo Pomodoro, Roma è il secondo appuntamento. Si festeggia l’inaugurazione della più grande boutique Fendi al mondo, a due passi dalla scalinata di Trinità dei Monti.
Presidente, quello che colpisce di queste iniziative Fendi è che tutte riguardano luoghi-simbolo della storia e della cultura italiane: dalle ex acciaierie Riva & Calzoni che il grande artista Arnaldo Pomodoro trasformò in sede espositiva e che oggi è il vostro showroom milanese, al Palazzo della Civiltà Italiana nel quartiere EUR di Roma, gioiello dell’architettura degli Anni 30 e nuovo headquarter della ‘maison’, sino al restauro di Palazzo Fendi, nel cuore di Roma. Qual è il filo conduttore che lega questi interventi?
L’eccellenza italiana e il savoir faire: sono questi i valori che incarnano il nostro senso di estetica. Che non è mai univoco, ma assume forme sempre differenti. È un po’ come nella musica, di cui una stessa persona può amare generi diversi. Bene, questa nostra diversità l’abbiamo resa visibile nei cinque piani della nostra storica sede di Palazzo Fendi, nel cuore di Roma.
Il palazzo, che è stato completamente rinnovato, oggi ospita la nuova boutique con il primo atelier di pellicceria ‘made to order’; il Palazzo Privé, un lussuoso appartamento per accogliere i nostri clienti più importanti; il Fendi Private Suites, il nostro primo boutique hotel con sette suites, e infine il ristorante internazionale giapponese Zuma, il primo in Italia dopo le altre sedi in Europa e nel mondo, che occupa l’ultimo piano e la terrazza panoramica. Ogni piano è stato affidato a un diverso progettista. Sono nati così interni dalle personalità differenti, distinte ma tutte capaci di restituire con immediatezza la nostra puntuale, personalissima visione di lusso e di bellezza.
E qual è la sua idea di bellezza? Ho rivolto la stessa domanda anche all’architetto Nicolas…
Da quando lavoro in un brand del lusso ho un po’ cambiato il mio senso dell’estetica. Consideri che ogni giorno condivido idee e progetti con due ‘maestri del bello’ come Karl Lagerfeld e Silvia Venturini Fendi, che arricchiscono in modo straordinario la mia esperienza di vita e professionale. Personalmente amo un gusto pulito, dalle linee sobrie ma ricercate, molto italiano: il design degli Anni 50 e 60, per esempio, l’Arte Povera dei Burri, dei Fontana…
E il lusso, come lo intende?
Le racconto un aneddoto. Quando Bernard Arnault mi assunse da Louis Vuitton mi disse: “Fai un giro nella boutique: se avverti qualcosa qui, nella bocca dello stomaco, allora torna pure da me. In caso contrario non farti più vedere”. Bene, sono qui da più di dieci anni… Questo per dire che, nei nostri negozi, noi vogliamo provocare un’emozione: c’è qualcosa che va ben oltre la razionalità quando ci si innamora di un bell’abito, di una preziosa pelliccia, di una borsa che contiene un’arte antica e unica come quella di Fendi. Ecco, per me il lusso è associato a questa emozione.
L’attenzione al bello si rivela anche nel legame sempre più stretto tra Fendi e il mondo dell’arte. Mi viene in mente il restauro della Fontana di Trevi, a Roma, o, ancora il Palazzo Eur, che era vuoto e abbandonato da oltre 70 anni…
Il binomio tra arte e Fendi ha origini lontane, e in quest’ambito sottolineo il ruolo importante che ha avuto il design. Pensi che Fendi Casa è nata nel 1987, più di trent’anni fa: già allora le sorelle Fendi erano molto legate al mondo della casa ed esploravano forme nuove anche in collaborazione con il mondo del design. Noi ci rivolgiamo a persone che non vogliono solo acquistare un prodotto ma desiderano condividere soprattutto dei valori, un preciso senso del bello. E Fendi è in grado di trasmettere questa dimensione estetica. E intende farlo anche attraverso luoghi reali e concreti…
… che sono concentrati soprattutto a Roma.
Certo. Perché la nostra romanità, il nostro essere legati alla capitale è un elemento essenziale. Al punto che abbiamo aggiunto al nostro logo la parola Roma: oggi si scrive e si legge “Fendi Roma”. D’altra parte, il nostro marchio è nato qui, nella città più bella del mondo per la sua storia e la sua arte, davvero uniche. E con Roma possiamo dire di aver creato quello che in natura si chiama un rapporto simbiotico: noi siamo utili alla città, ma certamente Roma è utile a noi, al nostro marchio.
Perché ne esalta la capacità di far sognare, di legarsi al bello, al gusto italiano della vita. Insomma il legame con Roma è benefico, vitale, strategico e il nostro mecenatismo va letto in questo senso: ci sembra bello restituire alla città quello che la città ci dà tutti i giorni in termini di bellezza, ispirazione, idee.
Da quando lei è arrivato in Fendi si è rafforzata la percezione di un orientamento del brand verso un tipo di eleganza più raffinata ed internazionale . Ma come si legano made in Italy e internazionalizzazione, tradizione e modernità?
Innanzitutto diciamo che Fendi ha voluto riportare l’attenzione sulla sua origine perche è lì, nel suo storico dna, che si concentra la sua forza innovativa, che la rende unica al mondo. Una forza che si esprime nella capacità della maison di coniugare il lusso dei suoi artigiani, la loro incredibile bravura, con un senso del divertimento, della sorpresa, che va oltre i confini nazionali e rende Fendi nel mondo davvero speciale. Guardi, nel 1965 quando cominciò a collaborare con Fendi Karl Lagerfeld, trasformò le pesanti pellicce borghesi in oggetti di moda: le ha colorate, tagliate, rasate; insomma si è divertito moltissimo e ha saputo divertire e stupire. Ecco, quello è il momento in cui è nata Fendi, almeno come la vedo io oggi: un brand del lusso, frutto di un raffinato lavoro artigianale ma di respiro internazionale, e che nelle sue creazioni non rinuncia mai a una buona dose di divertimento.
Intervista di Gilda Bojardi – A cura di Laura Ragazzola – Foto di Gionata Xerra