La trasparenza sta assumendo oggi una nuova ‘densità’, una ‘pienezza’ fatta di flussi di dati e possibilità immaginifiche soggette a processi di nucleazione e dispersione in seno a un plasma invisibile altamente dinamico.
(In)visible design è il titolo della mostra curata da Logotel con la direzione scientifica di Susanna Legrenzi e Stefano Maffei, che durante l’ultima design week ha indagato l’invisibile attraverso una serie di progetti in cui la ‘forma’ viene maneggiata non come limite materiale delle cose ma come loro bordo cognitivo, esplorando la grafica del vento, la tessitura materica del suono, la fabbricazione biologica di oggetti e altre possibili profilature dell’incorporeo tra scienza e design. L’impatto delle nuove tecnologie sull’orizzonte sensoriale contemporaneo chiede infatti al design un lavoro di riformulazione dei confini – ormai del tutto porosi – tra aggregati di atomi e nuvole di bit, tra fenotipi e genotipi del progetto. La trasparenza si è fatta densa, acuendo la sensibilità del progetto per il nuovo ‘elemento’ dell’invisibile, che si apre oggi a nuove possibili attivazioni. Significativo, in questo senso, l’aumento di interesse per la messa in forma delle maree di dati che tracciano le nostre vite, come fa Numbeez, un social network che dà una forma sensibile ai numeri della nostra vita: chilometri percorsi facendo jogging, le ‘metriche’ dei chili persi, la ‘curva’ delle conquiste sentimentali, ecc. Ciò che i progetti selezionati da Legrenzi e Maffei propongono sono, prima di tutto, nuove metafore cognitive, forme ‘diversamente percepibili’ di una realtà innervata di immateriale anche nei suoi aspetti tangibili. Fernanda Viégas e Martin Wattenberg hanno così pensato a una grafica animata per la mappatura dei venti. Mentre Gabriele Meldaikyte ha concepito un modo per isolare i gesti compiuti dalle dita sugli schermi touch (tap, scroll, swipe, ecc.) per tramandarli alle generazioni future. Marc Bretillot e David Edwards hanno invece ideato un modo per sorseggiare bevande sotto forma di nuvole di aromi. E Jannis Huelsen, con il progetto Xylinum, ha trovato il modo di sfruttare il lavorio metabolico dell’omonimo batterio per fabbricare una fibra di cellulosa conformabile su qualsiasi struttura, ottenendo oggetti ‘biologici’ degradabili al 100%. “A prima vista” spiega Maffei “può spiazzare il fatto che in una mostra di design il mobile sia pressoché assente. Ma per dire qualcosa di significativo è spesso necessario spingersi su territori inconsueti. Le mostre come questa sono ‘politiche’, nel senso che non propongono nuovi oggetti ma indagano nuovi paradigmi che si affermeranno nei prossimi anni”. Che il tema dell’invisibilità sia attuale è confermato dal fatto che, nel corso della stessa design week, ha visto la luce anche la non-mostra a cura di Alessandro Guerriero Il progetto invisibile, che ha invitato chiunque a descrivere in un breve video un oggetto non progettato ma narrato, ‘non visibile’ perché fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i racconti. Sono state così raccolte ‘anime’ di oggetti separate dai loro corpi, come una seggiovia che porta dalla Terra alla Luna e un visore che lascia scorgere in filigrana sul volto delle persone il viso che avevano da bambini.