Dan Stubbergaard è il lanciatissimo architetto, che ha fondato nel 2006 COBE: oggi, con più di 100 progettisti, lo studio con base a Copenhagen ha già all’attivo prestigiosi premi e iconici edifici che disegnano il moderno skyline della capitale danese.
Come l’edificio presentato in queste pagine: un ex deposito di grano che, dismesso da più di 50 anni, è diventato il motore per innescare un innovativo progetto di rigenerazione urbana, trasformandosi nello scultoreo ‘Silo’: questo è il nome dell’edificio residenziale con 38 esclusivi appartamenti e un ristorante al 18 piano con vista mozzafiato a 360 gradi sulla baia di Nordhavn, a Nord Est di Copenhagen. Interni ha incontrato Dan Stubbergaard nel suo ‘quartier generale’ per capire come rispondere alle nuove esigenze delle metropoli contemporanee.
Architetto, espansione o riqualificazione? Qual è il suo punto di vista a tale riguardo: puntare su nuovi interventi o rigenerare gli esistenti, come lei ha fatto con il progetto del ‘Silo’?
Per un architetto, pensare alla propria città, e a un suo specifico luogo per migliorarlo, significa concentrarsi sulle qualità specifiche che quel sito possiede dal punto di vista storico, economico, sociale e culturale.
Un’operazione, a mio avviso importante, perchè un’area dismessa e priva di valore per alcuni, può diventare un tesoro per altri. Troppo spesso nel corso della storia di una città, sono state disconosciute risorse e potenzialità a vecchi edifici, anche di valenza storica, per sostituirli con nuove costruzioni, spesso incapaci di portare un valore aggiunto alle città rispetto a quelli originari, perduti per sempre insieme alla loro storia.
È questo è un aspetto su cui, come progettisti dobbiamo interrogarci, ponendoci questa semplice domanda: ‘È davvero migliore il nuovo edificio che ha sostituito quello vecchio?’ Io penso che la rigenerazione delle strutture esistenti sia la prima, sostenibile risposta, ma occorre sempre riflettere sulla ‘natura’ del luogo, concentrarsi sulle sue qualità strategiche e potenzialità architettoniche.
Certo, se la ricostruzione diventa non più sostenibile perché la qualità degli edifici è bassa e inconsistente, allora bisogna pensare a un progetto nuovo. Ma ricordandosi sempre dovrà essere di qualità nettamente superiore rispetto a quello che c’era prima.
di Laura Ragazzola – ph. David Zanardi e Rasmus Hjortshõj-Coast

