Foto di Francesco Bolis
Testo di Antonella Boisi
Dopo aver a lungo viaggiato per lavoro, dall’Inghilterra al Brasile, dagli Stati Uniti all’Asia e all’Argentina, tutti Paesi dove ha anche vissuto molti anni, Stefano Core, origini abruzzesi, un passato da manager di spicco in importanti realtà internazionali e un presente da imprenditore con ItalianCreationGroup (holding industriale fondata con Giovanni Perissinotto), ha trovato la sua isola in un loft di 400 mq, sviluppato su due livelli, a Milano. In una zona dal nobile passato industriale, di recente recuperata e riconvertita a un mix di funzioni. Il suo rifugio da circa un anno insieme alla moglie Lucia (un percorso di product manager di rispetto e oggi impegnata con DriadeKosmo) e alla famiglia in crescita.
“L’abbiamo trovato così quando siamo entrati, una ristrutturazione da poco conclusa, quattro anni di vita. Perfetto. Curato nei dettagli con un’ossessione quasi maniacale, il grande respiro e l’impatto scenografico di un loft ma anche la vivibilità di una casa di lusso in termini di privacy e di scansione degli spazi, il giusto equilibrio tra situazioni di hospitality riconfigurabili che ci consente di vivere appieno tutta la casa”.
Sopra, quattro camere-suite con bagno dedicato, una salle de bain-spa con bagno turco e sauna ispirata nei materiali alla natura, area studio e fitness, un inaspettato giardino sospeso. Sotto, un generosissimo living dall’articolazione flessibile che declina zone di rappresentanza e formali e più conviviali e intime, al tempo stesso, in una costruzione spaziale fluida e ininterrotta, sottolineata dall’uniforme pavimento in wengé a doghe con profili arrotondati. Ovunque, sistemi di riscaldamento e aria condizionata molto avanzati con ricambio dell’aria.
Di fatto, un’architettura apprezzabile anche allo stato puro – l’altezza di sette metri, la soletta ribassata con la trave d’acciaio della struttura per annullare l’ effetto soppalco – e precisi punti di forza progettuale – la scala centrale in Corten, il camino volume passante, la passeggiata da ‘ringhiera milanese’ sulla passerella di vetro. Ma, soprattutto, la percezione di una forte e riuscita integrazione spaziale tra le zone cucina-pranzo-living-home theatre che restituisce scorci dinamici a 360°. “Non abbiamo cambiato nulla” continua Core. “Abbiamo soltanto inserito in un loft metropolitano il pianoforte a coda, l’oggetto a cui sono più legato, che suonavo da bambino e poi, nomade per lavoro dimenticato, il quadro del ’700 e il separé in quattro parti opera di Parisi del 1928 portati dall’Argentina, gli arredi Driade, vasi e cristalli di Boemia, la chaise-longue di Herman Miller, il letto di Hästens, le macchine per il fitness. E poi abbiamo enfatizzato l’importanza di una cucina ‘industriale’ anche nei materiali, grassello e cemento naturale, dove coltivare l’hobby di preparare piatti a tema” riconosce colui che da un anno svolge il ruolo di CEO di Driade, con spirito pragmatico da business plan e senso estetico ereditato dalla mamma.
“Certo, è una casa dallo spirito eclettico, assorbe stimoli e riferimenti ascrivibili a culture, luoghi, passioni differenti. Ha il dna del brand di cui mi sono innamorato quando ancora non avevo maturato la convinzione di acquisire il controllo di piccole-medie aziende italiane d’eccellenza nell’ambito del design, del lifestyle e dei manufatti di alta gamma, con la mission di integrare le nostre abilità gestionali con un modo di intendere il prodotto tipicamente italiano e di potenziarne lo sviluppo nel mercato globale.
Anni fa, andavo spesso con Lucia a Miami al Delano, facevamo colazione seduti sulle Lord Yo, tra i Neoz, i divani bianchi un po’ coloniali disegnati da Starck e lì ammantati dal profumo della salsedine del mare. È in questa fase della vita che ho sviluppato la mia filosofia: riportare esclusività e bellezza nei gesti della quotidianità, non legandomi a uno stile unico, bensì a un progetto. Credo che la bellezza sia un punto di vista, invece creare bellezza è un’arte. Per me bello è tutto ciò che racchiude unicità, creatività e innovazione. Sono i prodotti ben fatti, di qualità, senza tempo. Che hanno dietro una storia, l’energia di un imprenditore, tradizione e visione.
Ecco perché quando ho scelto il pianoforte di casa non poteva che essere il migliore al mondo, un Fazioli, ne vengono realizzati circa 200 esemplari all’anno, con lo stesso legno proveniente dalla Val di Fiemme con cui sono fatti i violini Stradivari. Ed ecco perché quando si è presentata l’occasione di conoscere Enrico ed Elisa Astori non me la sono lasciata sfuggire. Ho raccontato loro la mia storia e i miei propositi e c’è stata subito un’alchimia. Qual è infatti l’essenza della creatività italiana che vale un primato, da difendere? La capacità di coniugarla con manualità e manifattura, ad altissimi livelli qualitativi.
Driade, nella persona di Enrico Astori, ha sviluppato una ricerca sperimentale e di spessore culturale sul tema dell’abitare. Ha realizzato progetti senza tempo, prodotti eterogenei nello stile e nella geografia, gioiosi ma sempre con un grande senso dell’eleganza. La sua idea di casa come laboratorio estetico è nata dalla passione del viaggio e dello scouting, nel senso di incontro tra sensibilità e culture e talenti. ItalianCreationGroup vuole impedire la dispersione di questi valori fondanti trasversali del brand, oggi presente in 82 Paesi. Ma dobbiamo fare i conti con un mondo globalizzato sia in termini informativi che culturali e con un grande errore degli imprenditori italiani: hanno delocalizzato troppo la produzione, prima nei Paesi dell’Est e poi in Asia, trasferendo alla lunga know-how. Un vantaggio competitivo che stanno pagando, considerato anche che il mercato internazionale è stato troppo a lungo incidentale e opportunistico per la piccola-media impresa.
La formula per non perdere leadership e favorire una ripresa concreta? In uno slogan: meno delocalizzazione, più internazionalizzazione. Ovvero, rilocalizzare la produzione in Italia e, con il sostegno indispensabile, ad oggi carente, di politiche governative, favorire la defiscalizzazione per investimenti e ricerca sviluppo. Ma, altresì, puntare sui mercati globali, internazionalizzando i marchi e rafforzandone la presenza. Guardiamo ai francesi molto bravi nel coniugare savoir faire e comunicazione e soprattutto a fare sistema. Bisogna far comprendere il valore e l’orgoglio dell’eccellenza e che il premium price del made in Italy è più importante del brand.
Milano ha ancora un ruolo di riferimento nella cultura del design internazionale. È un polo gravitazionale indiscusso con il Salone e il Fuorisalone, anche se quest’ultimo andrebbe orientato con maggior rigore, evitando commistioni fuorvianti e dispersive nella percezione della qualità d’insieme. Al contempo è necessario pensare prodotti sempre più fruibili, anche in termini di aspirazione, da un consumatore cosmopolita. In questo senso stiamo mettendo a fattor comune tutta la potenza che ItalianCreationGroup ha nella distribuzione internazionale. Con un network e piattaforme che poi saranno usate dalle singole aziende per veicolare i propri prodotti e garantire una penetrazione capillare del brand nel mercato mondiale”. Un progetto in tempo reale ma a lungo termine. Come la casa di qualità.
Testo di Antonella Boisi
“L’abbiamo trovato così quando siamo entrati, una ristrutturazione da poco conclusa, quattro anni di vita. Perfetto. Curato nei dettagli con un’ossessione quasi maniacale, il grande respiro e l’impatto scenografico di un loft ma anche la vivibilità di una casa di lusso in termini di privacy e di scansione degli spazi, il giusto equilibrio tra situazioni di hospitality riconfigurabili che ci consente di vivere appieno tutta la casa”.
Sopra, quattro camere-suite con bagno dedicato, una salle de bain-spa con bagno turco e sauna ispirata nei materiali alla natura, area studio e fitness, un inaspettato giardino sospeso. Sotto, un generosissimo living dall’articolazione flessibile che declina zone di rappresentanza e formali e più conviviali e intime, al tempo stesso, in una costruzione spaziale fluida e ininterrotta, sottolineata dall’uniforme pavimento in wengé a doghe con profili arrotondati. Ovunque, sistemi di riscaldamento e aria condizionata molto avanzati con ricambio dell’aria.
Di fatto, un’architettura apprezzabile anche allo stato puro – l’altezza di sette metri, la soletta ribassata con la trave d’acciaio della struttura per annullare l’ effetto soppalco – e precisi punti di forza progettuale – la scala centrale in Corten, il camino volume passante, la passeggiata da ‘ringhiera milanese’ sulla passerella di vetro. Ma, soprattutto, la percezione di una forte e riuscita integrazione spaziale tra le zone cucina-pranzo-living-home theatre che restituisce scorci dinamici a 360°. “Non abbiamo cambiato nulla” continua Core. “Abbiamo soltanto inserito in un loft metropolitano il pianoforte a coda, l’oggetto a cui sono più legato, che suonavo da bambino e poi, nomade per lavoro dimenticato, il quadro del ’700 e il separé in quattro parti opera di Parisi del 1928 portati dall’Argentina, gli arredi Driade, vasi e cristalli di Boemia, la chaise-longue di Herman Miller, il letto di Hästens, le macchine per il fitness. E poi abbiamo enfatizzato l’importanza di una cucina ‘industriale’ anche nei materiali, grassello e cemento naturale, dove coltivare l’hobby di preparare piatti a tema” riconosce colui che da un anno svolge il ruolo di CEO di Driade, con spirito pragmatico da business plan e senso estetico ereditato dalla mamma.
“Certo, è una casa dallo spirito eclettico, assorbe stimoli e riferimenti ascrivibili a culture, luoghi, passioni differenti. Ha il dna del brand di cui mi sono innamorato quando ancora non avevo maturato la convinzione di acquisire il controllo di piccole-medie aziende italiane d’eccellenza nell’ambito del design, del lifestyle e dei manufatti di alta gamma, con la mission di integrare le nostre abilità gestionali con un modo di intendere il prodotto tipicamente italiano e di potenziarne lo sviluppo nel mercato globale.
Anni fa, andavo spesso con Lucia a Miami al Delano, facevamo colazione seduti sulle Lord Yo, tra i Neoz, i divani bianchi un po’ coloniali disegnati da Starck e lì ammantati dal profumo della salsedine del mare. È in questa fase della vita che ho sviluppato la mia filosofia: riportare esclusività e bellezza nei gesti della quotidianità, non legandomi a uno stile unico, bensì a un progetto. Credo che la bellezza sia un punto di vista, invece creare bellezza è un’arte. Per me bello è tutto ciò che racchiude unicità, creatività e innovazione. Sono i prodotti ben fatti, di qualità, senza tempo. Che hanno dietro una storia, l’energia di un imprenditore, tradizione e visione.
Ecco perché quando ho scelto il pianoforte di casa non poteva che essere il migliore al mondo, un Fazioli, ne vengono realizzati circa 200 esemplari all’anno, con lo stesso legno proveniente dalla Val di Fiemme con cui sono fatti i violini Stradivari. Ed ecco perché quando si è presentata l’occasione di conoscere Enrico ed Elisa Astori non me la sono lasciata sfuggire. Ho raccontato loro la mia storia e i miei propositi e c’è stata subito un’alchimia. Qual è infatti l’essenza della creatività italiana che vale un primato, da difendere? La capacità di coniugarla con manualità e manifattura, ad altissimi livelli qualitativi.
Driade, nella persona di Enrico Astori, ha sviluppato una ricerca sperimentale e di spessore culturale sul tema dell’abitare. Ha realizzato progetti senza tempo, prodotti eterogenei nello stile e nella geografia, gioiosi ma sempre con un grande senso dell’eleganza. La sua idea di casa come laboratorio estetico è nata dalla passione del viaggio e dello scouting, nel senso di incontro tra sensibilità e culture e talenti. ItalianCreationGroup vuole impedire la dispersione di questi valori fondanti trasversali del brand, oggi presente in 82 Paesi. Ma dobbiamo fare i conti con un mondo globalizzato sia in termini informativi che culturali e con un grande errore degli imprenditori italiani: hanno delocalizzato troppo la produzione, prima nei Paesi dell’Est e poi in Asia, trasferendo alla lunga know-how. Un vantaggio competitivo che stanno pagando, considerato anche che il mercato internazionale è stato troppo a lungo incidentale e opportunistico per la piccola-media impresa.
La formula per non perdere leadership e favorire una ripresa concreta? In uno slogan: meno delocalizzazione, più internazionalizzazione. Ovvero, rilocalizzare la produzione in Italia e, con il sostegno indispensabile, ad oggi carente, di politiche governative, favorire la defiscalizzazione per investimenti e ricerca sviluppo. Ma, altresì, puntare sui mercati globali, internazionalizzando i marchi e rafforzandone la presenza. Guardiamo ai francesi molto bravi nel coniugare savoir faire e comunicazione e soprattutto a fare sistema. Bisogna far comprendere il valore e l’orgoglio dell’eccellenza e che il premium price del made in Italy è più importante del brand.
Milano ha ancora un ruolo di riferimento nella cultura del design internazionale. È un polo gravitazionale indiscusso con il Salone e il Fuorisalone, anche se quest’ultimo andrebbe orientato con maggior rigore, evitando commistioni fuorvianti e dispersive nella percezione della qualità d’insieme. Al contempo è necessario pensare prodotti sempre più fruibili, anche in termini di aspirazione, da un consumatore cosmopolita. In questo senso stiamo mettendo a fattor comune tutta la potenza che ItalianCreationGroup ha nella distribuzione internazionale. Con un network e piattaforme che poi saranno usate dalle singole aziende per veicolare i propri prodotti e garantire una penetrazione capillare del brand nel mercato mondiale”. Un progetto in tempo reale ma a lungo termine. Come la casa di qualità.
Testo di Antonella Boisi