I temi del riuso del manufatto urbano e dell’attenzione verso il patrimonio costruito quali riferimenti obbligati del progetto di architettura del nuovo millennio erano già emersi in modo significativo nelle scorse Biennali di Architettura veneziane e negli interventi e nel dibattito internazionale di questi anni.

Ma certo questa edizione diretta da Alejandro Aravena li ha assunti come elementi programmatici, “aggiungendo alle dimensioni artistiche e culturali [che appartengono all’architettura], quelle sociali, politiche, economiche e ambientali, […] integrando il pragmatico con l’esistenziale, la pertinenza con l’audacia, la creatività con il buonsenso”, come lui stesso scrive.

Quello che questa Biennale vuole farci vedere è l’architettura che ci circonda, i paesaggi urbani da essa composti, non più relegati al mondo del ‘costruito’ (in opposto a quello dell’architettura iconica e griffata), ma assunti come parte integrante della nostra vita, nel superamento della dicotomia edilizia/architettura che ricorda la separazione crociana tra poesia/letteratura.

Così il tema del recupero e del riuso percorre come un filo rosso e secondo diverse dinamiche l’intera mostra, offrendosi in forma di allestimento nell’ingresso alle Corderie dell’Arsenale e nell’esterno del padiglione dei Giardini firmati da Aravena che riutilizza i cartongessi e i montanti di sostegno di alluminio della scorsa Biennale d’Arte, disegnando un muro vibrante e un suggestivo soffitto iridescente.

Lo sguardo si sposta dagli edifici iconici, dai landmark prefigurati dalle firme internazionali, da quella che può essere definita come il ‘vertice della piramide’ della produzione architettonica mondiale, a un’architettura chiamata a rinnovare l’esistente, a utilizzare in modo innovativo materiali comuni con il coinvolgimento di maestranze non qualificate (il mattone anzitutto, i laterizi, ma anche bambù e legni legati a contesti specifici e a chilometro zero).

Uno sguardo che allarga necessariamente lo spettro d’indagine, sino a nobilitare il paesaggio comune di tutti i giorni, come ha fatto Taiwan alle prigioni di Palazzo Ducale con l’invenzione di un nuovo sperimentale mattone per costruire composto con i fusti di riso riutilizzati.

Al mattone, in questo caso tradizionale, e al suo uso virtuoso, è dedicato il grande arco, premiato con il Leone d’Oro, di Gabinete de Arquitectura dove il paraguayano Solano Benítez dà significato a due delle risorse più abbondanti al mondo: il mattone appunto, e la manodopera non qualificata. Nella sua installazione il mattone è impiegato come nervatura di un imponente arco reticolare di grande suggestione.

Lo stesso concetto di uso ingegnoso di un materiale low-tech che sfrutta la forma per ottenere una maggiore resistenza, rendendo possibile l’impiego nel processo di costruzione di addetti non specializzati, si ritrova nella proposta di Lord Norman Foster per la realizzazione di un sistema di aeroporti di droni per l’Africa.

Qui una volta autoportante composta di mattoni di argilla o di fango, affiancabile all’infinito secondo le diverse esigenze, passibile anche di diversi utilizzi (mercato, piazze coperte, centri di accoglienza), costruibile con facilità secondo un kit di istruzioni, diventa il tassello che lega la dimensione architettonica a quella di infrastruttura sociale e territoriale.

Il rinnovamento urbano degli edifici di edilizia sociale dello studio LAN; la riqualificazione paesaggistica della discarica di Garraf nei pressi di Barcellona di Battle I Roig; la trasformazione del costruito e il tema del non finito celebrato dalla Spagna  (Unfinished, Leone d’Oro per la migliore Partecipazione Nazionale) sono solo alcuni esempi della densa selezione in mostra.

Una riflessione sul riuso che si sposta alla scala urbana con la battaglia condotta da Zhang Ke contro la politica della tabula rasa in Cina. La distruzione del tessuto storico degli Hutong per fare posto agli impersonali e alienanti edifici verticali chiamati a rispondere ai fenomeni di inurbamento dalla campagna si è rivelata in Cina una strategia fallimentare.

Zhang Ke, con i suoi piccoli edifici in mattone nero (impastati con l’inchiostro usato nella pittura tradizionale cinese) e in cemento armato adibiti ad accogliere piccole biblioteche e spazi d’incontro, si insinua nelle case a corte degli Hutong rivitalizzandone il tessuto storico e ribadendo la necessità della loro conservazione nella trasformazione consapevole e responsabile.

Così come ci racconta in altro modo il Padiglione Russo con il progetto di riqualificazione urbana a Mosca del grande quartiere monumentale VDNKh (Esposizione delle Conquiste dell’Economia Popolare del 1939) scandito da una grammatica classica non priva di retorica, ma anche d’invenzione, con capitelli e ordini zoomorfi riprodotti in scala per questa Biennale, accanto a sculture proprie del realismo socialista celebrativo.

L’area (più di 300 ettari) è oggetto di un progetto corale di riqualificazione e trasformazione basato sulla creazione di un parco urbano per la cultura e lo svago, dove le grandi architetture espositive saranno oggetto di reinvenzione tematica e architettonica.

Dalla scala urbana e territoriale si passa a quella materica e oggettuale con l’idea di riutilizzo e trasformazione degli elementi prefabbricati infrastrutturali di Samuel Gonçalves in Portogallo. Qui la modifica della linea di produzione dei grandi tubi di fognatura di calcestruzzo è indirizzata a creare elementi domestici per la creazione di unità abitative seriali e a configurazione libera.

Nella grande arca della Turchia, composta come sommatoria di oggetti e manufatti ritrovati nell’arsenale di Istanbul, si trova poi una sorta di collage materico chiamato a fungere da metafora e ponte di collegamento tra le diverse culture del Mediterraneo.

Al collage, questa volta di manufatti e oggetti appartenenti alla cucina cinese tradizionale, si rifà invece l’installazione di Kengo Kuma presso la mostra “Across Chinese Cities/China House Vision” alla sede IUAV di Cà Tron, dedicata a nuove configurazioni del paesaggio domestico cinese. Kuma crea, con la consueta capacità poetica e compositiva, un arco formato dalla sovrapposizione di ciotole e pentole, contenitori e tazze, chiamati a celebrare la millenaria storia della cucina domestica cinese.

In bilico tra architettura e design appare la sezione “Agire” del Padiglione Italia a cura di TAMassociati. In “Taking Care – Progettare per il bene comune” emerge il progetto di cinque dispositivi architettonici mobili, basati su un modulo container su ruote impiegato dalla protezione civile, pensati per un intervento diretto in aree di marginalità del nostro Paese.

Cinque studi italiani, in stretta collaborazione con altrettante associazioni impegnate in programmi di contrasto al degrado sociale e ambientale, hanno pensato a delle microarchitetture mobili ad ‘alto grado di incidenza’ territoriale che saranno realizzate in tempi brevi.

Infine, non ultima, emerge l’idea dello sfruttamento ‘progettuale e creativo’ degli elementi naturali: la luce filtrata da una copertura segnata da piccoli fori a varie dimensioni (come previsto dall’Atelier Jean Nouvel per il futuro Louvre di Abu Dhabi), è simulata nell’installazione di Transsolar nelle Corderie: l’ingegneria d’avanguardia al servizio del buon senso.

L’acqua è invece il soggetto e la risorsa affrontata dal progetto Warka Water per l’Africa e ospitata nel Giardino delle Vergini. Warka Water cattura l’acqua tramite l’umidità presente nell’aria condensabile quando entra in contatto con le superfici lineari poste in sommità della torre, conducendola poi nel serbatoio sottostante.

Il progetto supera la ‘semplice’ dimensione tecnica della raccolta dell’acqua per diventare fonte di identità per ogni villaggio in cui è collocata. La forma, legata allo sfruttamento dell’umidità trasformata in acqua potabile, diventa elemento del luogo, vero landmark, potente e memorabile, sostenibile e destinato a innescare il senso di appartenenza a un luogo e alla sua comunità.

Foto di Matteo Cirenei e Matteo Vercelloni – Testo di Matteo Vercelloni

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L’ingresso delle Corderie dell’Arsenale. Allestimento di Alejandro Aravena con riutilizzo del cartongesso e dei relativi montanti impiegati nella scorsa Biennale d’Arte. (Foto Matteo Cirenei)
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Alejandro Aravena, curatore di questa edizione della Biennale di Venezia, ritratto alla Triennale di Milano, durante il talk dello scorso 18 luglio, organizzato da Milano Design Film Festival insieme a Triennale Milano. Foto courtesy Gianluca Di Ioia
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I due elementi di Zhang Ke per i microspazi collettivi da introdurre nel tessuto degli Hutong di Pechino. Sullo sfondo la scala rossa elicoidale di C+S Architetti. (Foto Matteo Cirenei).
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La struttura modulare in mattoni di Lord Norman Foster per la costruzione di aeroporti per droni in Africa. (Foto Matteo Vercelloni).
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Il grande arco di mattoni di Gabinete de Arquitectura, Solano Benítez, premiato con il Leone d’Oro come miglior partecipante. (Foto M.Cirenei)
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La grande arca Darzanà del padiglione turco composta con manufatti ritrovati nell’arsenale di Istanbul. (Foto courtesy VitrA, sponsor del padiglione).
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L’installazione di Kengo Kuma dedicata alla storia della cucina cinese tradizionale presso la sede IUAV di Cà Tron.
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La riproduzione in scala delle sculture del complesso VDNKh di Mosca (Esposizione delle Conquiste dell’Economia Popolare del 1939) all’ingresso del padiglione Russo ai Giardini. (Foto M.Vercelloni)