Isay Weinfeld, ottimo regista e allo stesso tempo architetto di fama mondiale, ha scritto per noi un testo-riflessione sul suo fare “anche” architettura e sui suoi progetti che sono tali solo se su misura del committente

Tutte le definizioni sono per definizione molto noiose.

Questa è solo una delle ragioni per cui non riesco a definire che cosa significhi essere un architetto. Inoltre, a essere sincero, non mi sono mai considerato un architetto: non ho mai davvero saputo disegnare, non ho mai trattato la professione come una religione, non ho mai creduto di poter cambiare qualcosa nel mondo con l’architettura. Non mi occupo soltanto di architettura; non mi piace soltanto l’architettura, mi inorridiscono quelle persone per le quali l’architettura è l’aria che respirano. D’altra parte, l’architettura riguarda la vita delle persone. È nel proprio mestiere che uno rivela il suo modo di vedere le cose. Persino con gli amici parlo soltanto se ho qualcosa da dire, altrimenti me ne sto zitto. Non esiste il buon gusto o il cattivo gusto. Esiste un gusto personale. E, naturalmente, il lavoro viene meglio se l’architetto e il cliente tendono ad avere gli stessi gusti. Dopo essermi occupato di architettura per tutti questi anni so con certezza che a indurmi ad accettare un incarico è sapere che il cliente e io condividiamo gli stessi valori. I miei riferimenti vengono da settori che orbitano intorno all’architettura. Ma ciò che meno mi influenza è l’architettura di per sé. Il cinema… sì. Come la danza, il teatro, le arti visive, la letteratura, la gastronomia e la musica, la musica, la musica… Le persone che mi ispirano sono Richard Serra, Mira Schendel, Jacques Tati, Ingmar Bergman, Pina Bausch, Julio Cortázar, Robert Wilson, Robert Lepage, Radiohead, Gavin Bryars, João Gilberto. Mi sforzo costantemente di non raggiungere una specializzazione. Fare solo una cosa nella vita non mi realizza. Per questa ragione faccio arte concettuale, cinema, regia di spettacoli musicali, scenari teatrali; scrivo testi, progetto arredi e oggetti, e faccio anche architettura. Anche qui, faccio del mio meglio per non specializzarmi. Progetto case, uffici, palazzi residenziali e aziendali, negozi, bar, ristoranti, alberghi, banche. In ogni singolo progetto cerco il più possibile di inventare e reinventare, perché non voglio ripetermi, rifare cose già fatte. Non ho particolari preferenze per un solo materiale, colore o elemento… mi limito a scegliere ogni volta quello che mi sembra più adatto. In conclusione, progettare un campanello per porte o un edificio, è la stessa cosa. Quello che mi interessa è progettare il pulsante del campanello per l’edificio che ho progettato. Fra le città europee le mie preferite sono due: Londra e Venezia. Londra, per l’incredibile fusione fra una città moderna a sviluppo incontrollato e un piccolo villaggio di campagna. Venezia, perché i suoi spazi sorprendono. Uscire da un andito angusto e ritrovarsi in una piazza è sempre una grande emozione. Io abito in un palazzo degli anni Sessanta. Penso che la casa ideale di ognuno dovrebbe fornire comfort e rivelare la personalità di chi la abita attraverso gli arredi e gli oggetti… o magari attraverso la loro assenza. Il rispetto per il cliente è la condizione sine qua non per un progetto riuscito. Progettando una casa dobbiamo ricordare che non stiamo progettando la nostra casa, ma quella del cliente. Questa è la differenza che fa tutta la differenza.