Lo abbiamo incontrato a Helsinki, la sua città. Qui Rainer Mahlamäki (classe 1956, professore e architetto) da quasi vent’anni condivide la sua attività professionale (e un invidiabile palmares di premi e riconoscimenti internazionali) con Ilmari Lahdelma. Insieme (lo studio Lahadelma&Mahlamaki Architects nasce nel 1997) hanno firmato musei (l’ultimo in ordine di tempo, il pluripremiato Museum of the History of Polish Jews, a Varsavia) scuole, chiese, ospedali, biblioteche, edifici residenziali. Tutte opere accomunate da una coraggiosa istanza: integrarsi perfettamente nel contesto ambientale. Perché in Finlandia la natura rappresenta il vero banco di prova del progetto.
ARCHITETTO, SECONDO LEI I FINLANDESI HANNO UN RAPPORTO SPECIALE CON IL PAESAGGIO?
Direi proprio di sì: per noi il dialogo con la natura è, per così dire, fisiologico. Basti solo pensare al nostro clima, che influenza notevolmente il modo in cui progettiamo. In generale, i nostri progetti devono molto al paesaggio, che si trasforma in un importante punto di forza: lo ha dimostrato Alvar Aalto, realizzando soprattutto in mezzo alla natura i suoi più grandi capolavori. C’è chi pensa che l’architettura coincida con il costruito, ma non è cosi: anche una foresta può diventare parte integrante dell’architettura, in una sorta di reciproca compenetrazione.
Penso a un nostro progetto, il Finnish Forest Museum, nel cuore di uno dei più belli parchi naturali della Finlandia: quando abbiamo vinto il concorso, nel lontano 1992, ci siamo detti che lì, fra le sale del museo, dovevamo ricreare quell’atmosfera unica che si respira quando si cammina in una foresta incontaminata. L’idea era dar vita a una felice integrazione fra l’edificio e la natura, in uno scambio armonico in cui non sia la natura a perdere, ma risulti anzi vincente. Purtroppo, oggi, le generazioni più giovani tendono a trascurare questo aspetto.
QUINDI ANCHE NELL’AMBITO DELL’ARCHITETTURA FINLANDESE CI SONO POSIZIONI DIVERSE?
Oggi, in Finlandia, abbiamo giovani architetti di talento che stanno realizzando opere molto interessanti, ma a mio avviso, probabilmente a causa dell’elevato livello tecnologico raggiunto, finiscono con concentrarsi soprattutto sull’edificio, considerando l’ambiente semplicemente come un luogo dove collocare il progetto. Noi andiamo in un’altra direzione: il nostro obbiettivo primario è raggiungere un equilibrio tra l’edificio e ciò che lo circonda, che si tratti di un ambito naturalistico o urbano. Per questo, prima studiamo il sito, per capirne le caratteristiche più profonde, e poi ci impegniamo al massimo per adattare, ‘aggiustare e cucire’ il nostro progetto in base all’esistente. Un edificio di per sé, avulso dal contesto, non può essere esempio di buona architettura. Che invece nasce da una coerente e continua ricerca di dialogo tra il costruito e lo scenario naturale o urbano.
E TUTTO QUESTO IN LINEA CON LA GRANDE TRADIZIONE ARCHITETTONICA DEL VOSTRO PAESE?
Certo. Saarinen, padre e figlio, Lindgren, Pietilä, Alvar Aalto: sono questi i nostri ‘maestri’, gli straordinari interpreti di un’architettura nata per essere vissuta, piena di luce e di armonia, a misura d’uomo. Nei nostri lavori ci sono continui richiami alla loro opera.
Ma per il mio studio, la vera lezione dei maestri scandinavi non è quella di seguire in modo acritico il loro modello. È piuttosto l’ambizione a realizzare qualcosa di personale, che mostri in modo inequivocabile un nostro sigillo di riconoscimento, una nostra impronta. E questo in un momento in cui anche nel nostro Paese l’architettura tende ad appiattirsi sui canoni di un international style che non riesce più a sorprenderci.
Ormai è raro che un nuovo edificio ci colpisca, non solo quando lo guardiamo per la prima volta, ma nemmeno quando lo esploriamo all’interno: difficilmente riusciamo a trovare qualcosa che vada oltre a quello che si è già visto. I grandi maestri del passato ci hanno lasciato un’eredità diversa. Qualche tempo fa ho avuto modo di rivedere in Svizzera alcuni edifici di Hannes Mayer (1889-1954, ndr): bene, ogni volta che ci ritorno provo sensazioni sempre diverse. Ecco, questo è il segno di una buona architettura, quando ciò che rimane impresso non è tanto l’edificio in sé ma l’esperienza che si è vissuta visitandolo.
IN CHE MODO SI RECUPERA IL FASCINO, LA CAPACITA’ DI SORPRENDERE NEL COSTRUIRE NUOVE ARCHITETTURE?
Posso dirle quello che io, Ilmari (Ladhelma, ndr) e i nostri collaboratori tentiamo di fare. Noi cerchiamo di sviluppare i nostri progetti come se fossero dei racconti. Mi spiego: quando si legge un libro, ognuno è portato a interpretarlo secondo la sua sensibilità, le sue esperienze, le sue conoscenze. Bene, noi ci impegniamo perché lo stesso possa succedere con i nostri lavori.
Proprio con questo obiettivo abbiamo pensato, per esempio, il museo realizzato a Varsavia nel 2013 (The Museum of the History of Polish Jews, ndr). È un progetto che ha avuto molto successo ed è amato dal pubblico proprio perché ciascuno ha potuto viverlo e interpretarlo in modo diverso. C’è chi dice che visitare le sale del museo è come ‘entrare’ in una montagna, chi afferma che ha la sensazione di esplorare una grotta… Addirittura, su una rivista polacca, un famoso artista ha definito questo museo l’opera più sexy che avesse mai visitato!
DA UN PUNTO DI VISTA PRATICO COME SI CENTRA QUESTO OBIETTIVO?
Per esempio, cerchiamo di usare materiali, come il legno, che non lasciano immediatamente intuire quando un edificio è stato costruito e a quale epoca appartenga. Certo, molti architetti promuovono metodi costruttivi e materiali hi-tech: questa è una strada, ma noi andiamo in un’altra direzione, evitando una totale e incondizionata adesione alla tecnologia.
CHE IMPATTO AVRANNO I TEMI DELLA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE SUI VOSTRI PROGETTI?
Io non credo che la ricerca della sostenibilità possa cambiare in modo radicale l’architettura come ci si aspettava una ventina d’anni fa. Ovviamente, l’attenzione alla sostenibilità dei progetti deve essere costante, perchè abbiamo il dovere di proteggere il futuro delle persone e del pianeta.
Dobbiamo tenerne conto, per esempio, quando andiamo a scegliere ed utilizzare certi materiali. Noi cerchiamo di usare materie prime locali, facili da reperire in Finlandia. Credo, però, che al di là di questi accorgimenti non avverranno grandi cambiamenti: sarà più importante la continuità con ciò che è stato costruito in passato piuttosto che ridurre l’architettura a uno strumento invasivo e meramente tecnologico.
Testo di Laura Ragazzola