Se un orecchio intonato è indispensabile a ogni musicista, un certo talento per il disegno dovrebbe essere necessario a ogni buon architetto.

Il disegno, infatti, ha sempre fatto parte integrante dell’Architettura – una delle Arti Maggiori – del suo processo di immaginazione, valutazione e descrizione. A questo referente autografo attribuiamo ancora oggi valore di artisticità (persino autonomia, talvolta) e comunque di indizio significante e rivelatore circa l’architetto e la sua opera. Anche se, a ben vedere, niente ha mai impedito di concepire un’architettura con la sola forza dell’immaginazione, di valutarla e svilupparla interagendo con modelli tridimensionali. E tanto meno oggi grazie alla rappresentazione virtuale della realtà. Come architetto io ho con il disegno uno strano rapporto di diffidenza e di amore. Forse perché ne temo le seduzioni e gli inganni, anche se ne conosco e ne ricerco il potere evocativo. Ma l’architettura rimane per me un’esperienza ineffabile. La sua lingua è intraducibile. La sua scala non è simulabile. Il momento più bello del mio ‘disegnare’ è quello in cui riesco a immaginare e rivivere vividamente città, edifici e spazi concentrato in silenzio e a occhi chiusi. Il momento più terribile e affascinante è quando il tuo sogno diventa realtà. Quando la costruzione cresce. Inarrestabile. E potrebbe venire la voglia di ricominciare.