Progetto di Tyin Tegnestue Architects
Foto di Pasi Aalto
Testo di Antonella Boisi

Hanno realizzato diversi progetti nelle aree povere e sottosviluppate di Thailandia, Birmania, Haiti e Uganda.

Giovani, con un approccio originale e coraggioso, Andreas G. Gjertsen e Yashar Hanstad, alla guida dal 2008, nella città norvegese di Trondheim, dello studio Tyin Tegnestue Architects, sostengono una visione umanista e romantica: l’architettura è quella della necessità, dei fondamentali, della sostenibilità sociale che coinvolge le popolazioni locali sia nella fase progettuale sia in quella costruttiva. È un punto di vista che ha a che fare con il carpentiere più che con il computer, con l’ascolto dei luoghi e delle persone; o come Johnny Plasma docet, con una modalità più empatica di trasformare un habitat che diventa occasione di arricchimento reciproco.   Spiegano: “L’uomo e la qualità della vita sono più importanti della cifra stilistica impressa al contenitore. Il progetto vive una vita sua che non possiamo controllare. Porta con sè meravigliosi errori. Abbiamo messo a punto una Toolbox che contiene gli strumenti necessari per costruire strutture utili, belle e necessarie in qualsiasi circostanza. Testata sul campo in condizioni estreme può essere spedita con ogni mezzo di trasporto. Non bisogna indugiare troppo prima di cominciare. Una volta partiti, però, bisogna essere molti auto-critici e come un mantra, ripetersi la domanda: cosa stiamo facendo? Considerato che da un test nel Regno Unito è emerso che gli architetti sono i meno felici del proprio lavoro, mentre i parucchieri i più felici, noi abbiamo il privilegio di un feed-back immediato”.   È andata così anche in Indonesia, nel centro di formazione per la produzione di cannella Cassia Coop a Sungai Penuh, Kerinchi, Sumatra, sponsorizzato da  LINK Arkitektur, costato l’equivalente di 30 mila euro e costruito in soli tre mesi (agosto – novembre 2011). “Tutto è iniziato con la visita di un uomo d’affari francese, Patrick Barthelemy, nel nostro ‘tegnestue’ (‘salotto’) di Trondheim, che si sedette di fronte a noi con una storia affascinante e una valigetta piena di cannella, l’85% della quale viene fornita a livello mondiale proprio da questa zona di Sumatra. Non abbiamo disegnato nulla prima della trasferta” continuano.   “Pensavamo soltanto a come realizzare un centro di formazione ospitale che restituisse uno standard etico nel modo di gestire un’impresa; con lavoratori e agricoltori locali retribuiti in modo corretto, con un programma di assistenza sanitaria e con accesso a scuole e istruzione. Tutte le ‘fabbriche’ di Cassia Coop dovevano essere luoghi di lavoro sicuri, igienici e socialmente sostenibili. Abbiamo conquistato la fiducia di molti, compresi giovani studenti internazionali di architettura, 70 persone in tutto, che ci hanno seguito giorno dopo giorno. Su una lavagna bianca riportavamo day by day con dei pennarelli l’evoluzione dell’intervento. Tutti i disegni sono stati fatti dopo. A realizzazione compiuta. Quasi un paradosso. Ci ha aiutato prevedere meno dettagli possibili nel progetto – solo gli essenziali”.   Di fatto, il centro è una semplice scatola con copertura in lamiera, muri di mattoni, infissi, porte e finestre in legno di cannella. E, al centro, un incisivo “buco” rettangolare che identifica un patio, segnato da due alberi da frutto, perché la composizione si sviluppa e ruota, anche simbolicamente, intorno a due esemplari di durian. Materiali a km zero, recuperati nelle vicinanze del sito, e arredi di artigianato locale hanno concretizzato l’opera, che regala la sensazione di un’osmosi riuscita con l’ambiente e lo spirito del luogo. Il legno, ad esempio, proveniente dai tronchi di alberi di cannella dei dintorni, è stato trasportato da otto bufali d’acqua e tagliato/assemblato in una segheria in cantiere.   L’idea del progetto si è così tradotta in una costruzione formata da un sistema di leggeri pilastri lignei a Y innestati su una base di pesanti mattoni e cemento. Il fronte anteriore regala una vista panoramica del monte Kerinci, il più alto vulcano dell’Indonesia e del lago, quello posteriore della foresta di alberi di cannella. Una sfida importante è stata quella di prevedere un clima ventilato naturalmente sotto l’estesa superficie del tetto che racchiude l’impianto complessivo di 600 mq: cinque volumi in mattoni e al centro un piccolo laboratorio, le  aule, gli uffici e una cucina. Lo studio della massa termica, la capacità di immagazzinamento del calore della struttura, ha permesso ai progettisti di raggiungere prestazioni dinamiche ma controllate. “Un’altra grande scommessa” ricordano “è stata quella di superare la prova delle forze della natura, in una zona soggetta a frequenti terremoti”. L’involucro è già sopravvissuto a scosse di grado cinque sulla scala Richter: segno che il sistema costruttivo messo in campo con un format davvero basic, anche in termini materici, funziona.