Prima campagna padana, filari di olmi o di gelsi che accompagnano gli argini dei fontanili lungo la via Novara, la strada di collegamento principale tra Milano e Torino. Era ieri. Ma qualcosa è rimasto, come l’albero di olmo che campeggia al centro della piazza su cui oggi si incontrano la chiesa vecchia di San Pietro all’Olmo, la facciata ancora segnata dalle patere (scodelle) murate in maiolica e ceramica invetriata che indicavano al pellegrino dove trovare accoglienza e un pasto caldo e, proprio di fronte, il nuovo ristorante di Davide Oldani.
Profumi di risotto e di cipolle caramellate (due must dell’ex allievo stellato di Gualtiero Marchesi). Un ristorante come una casa, con tanto di tinello accanto alla cucina a vista, il soggiorno, il salotto, la galleria, la veranda, e al piano di sotto, la cantina e lo studio.
Nella fattispecie, la veranda, un porticato chiuso da colonne e vetrate, accoglie la sala da pranzo principale; il salottino ha divanetti in velluto azzurro, tappeti e tavolini colorati, che riecheggiano un mood pop anni Settanta; la galleria inanella sculture iridescenti di Mauro Corda, Hiro Ando, Rafael Barrios (Galleria Belair Fine Art di Pietrasanta, Lu); la stanza con il grande tavolo impreziosita da tre finestrelle dalle profonde strambature di sapore conventuale, su disegno.
“In realtà mi sono spostato di pochi metri dal primo D’O per realizzare una cucina più grande, capace di evolvere, di confrontarsi con altre cucine, non solo nel nostro Paese, e offrire un concetto più maturo di ospitalità. Ma non ho cambiato il numero di coperti (48) della sala”, spiega Oldani. Quindi anche la lista d’attesa di sei/otto mesi per una prenotazione, che restituisce il successo di un modello di business proiettato su scenari sempre più internazionali (da Venezia all’Aman Canal Grande fino a Manila dove è di imminente apertura il Foo’d presso lo Shangri-la Hotel).
“Le mie radici restano comunque solidamente ben piantate intorno al seme del mio paese” riconosce “quell’olmo che, marchio d’identità territoriale, ho circondato di erbe aromatiche, una panchina circolare, e simbolicamente fatto ‘crescere’ grazie alla Foresta Rossa di Velasco Vitali, che ha creato per me dieci piccoli alberi-scultura in ferro e lamiera, allineati su due sentieri della piazza che ne ridisegnano le proiezioni urbane”.
Il primo segno particolare della nuova casa è proprio la trasparenza verso la piazza, grazie alla generosa vetrata a tutta altezza, incorniciata da un profilo di metallo traforato, sotto la pensilina in acciaio e legno. “La piazza che entra nel ristorante e il ristorante che entra in piazza”, spiega Piero Lissoni che ha curato il progetto architettonico del D’O razionalizzando gli spazi, rendendoli funzionali e dando una forma estetica glamour al concept di accoglienza e concreta operosità di Davide.
“Come fa un cuoco, ho regolamentato gli ingredienti. E tra questi proprio la trasparenza, la luce, la connessione tra il luogo dedicato alla ricerca e il ristorante, la cucina vera e propria e le differenti stanze che si rincorrono l’una nell’altra. Tutto è stato pensato per offrire un’esperienza che abbattesse le barriere tra cucina e sala da pranzo, perché almeno una parte della preparazione del menu avvenisse davanti agli ospiti”.
Nel progetto degli arredi, Oldani ha potuto esprimere con maggiore forza le sue convinzioni. A partire dai tavoli (alti 80 centimetri) e dalle sedie (alte 50 centimetri) che ha disegnato lui stesso e fatto realizzare da Riva 1920, su misura. “Sono più alti del solito, perché una digestione corretta comincia quando ci si siede in modo ergonomicamente corretto a tavola e non quando ci si alza”, ha spiegato.
Quello stare bene che, nel segno della convivialità, incontra anche il bracciolo sagomato della seduta per riporre cellulari e chiavi e il vano sottostante come alloggio della borsa. I tavoli poi, allestiti senza tovaglie, sono dotati di sotto top per ospitare i tovaglioli.
“Tutto è stato fatto in olmo, con collanti vinilici e finiture a olio e cera vegetali, garanzia di un prodotto 100% naturale”. Di più, con i ritagli lignei dei mobili della sala, resinati, lo chef ha immaginato il grande piano circolare del tavolo del tinello che spicca nell’involucro grigio neutrale del locale amalgamato dalla resina (Kerakoll) distesa su pavimenti e pareti.
“Zero scarti. Non mi sento un designer”, riconosce Oldani, “disegno come spadello, ma, non trovando sul mercato quello che cercavo, lo sono diventato per necessità. I dettagli fanno la differenza e lavorando, giorno dopo giorno, con passione, si può sempre migliorare. D’altronde, custom made, taglio sartoriale, italianità sono le qualità per cui siamo apprezzati e ricercati ovunque”.
Ecco, allora, che, accanto alla celebre posata Passepartout (tre in uno), al cucchiaino da caffè che non rompe la schiuma (by Lavzza), al piatto da minestra con fondo inclinato, alle posate e ai piatti realizzati da Kartell, ai bicchieri concepiti per S.Pellegrino e così via, nel D’O 2016 non mancano nuove idee. Come le coperte-plaid firmate Zegna per riscaldare gli ospiti in cantina o chi fuma all’esterno durante la stagione fredda; o il porta-tovagliolo con l’asola, da avvolgere intorno alla bottiglia per estrarla dalla glacette senza sgocciolamenti.
La grande cucina (250 mq) in acciaio inox è ovviamente il cuore della nuova casa-fabbrica: qui, una serie di ugelli messa sotto i blocchi dei mobili, spruzzando acqua calda e sapone, facilita la pulizia del pavimento inclinato verso la grata di scarico, mentre impronte di piedi stilizzate graficamente in nero segnalano la postura corretta a chi è all’opera.
Il progetto domotico curato da Gewiss e quello di insonorizzazione del soffitto (con un prodotto svizzero di Baswa, che abbatte al 98% il riverbero delle onde) contribuiscono al comfort ambientale complessivo. C’è poi un piano interrato riservato in toto alla ricerca, alla ‘crescita’ delle radici.
Qui si trovano la cucina a isola attrezzata per sperimentare piatti e idee, con elettrodomestici e prodotti professionali Samsung/Club des Chefs, e la cantina aperta alle degustazioni. Perché, alla fine, come ha ben compreso Oldani, è sempre questione di rigore e creatività. Tant’è che il primo segno che accoglie gli ospiti, una volta aperta la porta terra-cielo del nuovo D’O, è la lampada col cappello da chef, un omaggio a Philippe Starck.
Styling di Carolina Trabattoni – Foto di Santi Caleca – Testo di Antonella Boisi

