Progetto di Paola Navone
Foto di Enrico Conti
Testo di Antonella Boisi

Quando, qualche mese fa, Paola Navone ha ricevuto la stampa di settore nel suo studio milanese di via Tortona, per mostrare l’abbecedario compositivo e comunicare l’orizzonte dei lavori in corso per la COMO Hotels and Resorts, con planimetrie, prospetti, sezioni, mazzette materiali, campioni colori, studi degli accostamenti, ‘srotolati’ sui lunghi tavoli dell’atelier-bottega, nell’aria c’erano entusiasmo, ottimismo, energia.

“Mi sto molto divertendo” spiegava “perché si tratta di due progetti globali: ho disegnato tutto, dai tavoli alle sedie, dai piatti alle tovaglie, lasciando che ciascun elemento restituisse l’importanza del dettaglio nel disegnare l’architettura e l’atmosfera degli ambienti, in un dinamismo ritmico di spazi aperti, semi-aperti e chiusi, modulazioni e giochi di luce, pieni e vuoti”. Oggi che, dopo due anni di cantiere, è stato inaugurato il primo dei due international luxury resort da lei progettati per il brand di Singapore guidato da Christina Ong, il Point Yamu di Phuket, in Thailandia (a breve aprirà anche il Metropolitan a Miami Beach – un urban hotel di dimensioni più contenute in una palazzina liberty del distretto storico, completamete diverso nel mood), le aspettative non sono state disattese.

“La semplicità è la forma del vero lusso” ha detto una volta l’architetto-designer-trendsetter “sognatrice ed eclettica” come si auto-definisce. Ed è un piacere, per noi che ne apprezziamo con gli occhi le suggestive immagini, constatare che il luxury proposto dal resort Point Yamu restituisce in primis proprio quella dimensione di semplicità intesa come autenticità del genius-loci. In grado di sostenere il valore della relazione tra persone e spazi, l’esperienza del viaggio e del benessere come filosofia di accoglienza del brand. Un approccio sostenibile nei confronti del contesto, dunque, già di suo una location speciale: Cape Yamu, penisola ad est di Phuket, venti minuti dall’aeroporto, un giardino collinare dominante le formazioni calcaree di Phang Nga Bay (dichiarata Patrimonio Mondiale dell’Unesco) e il mare delle Andatane, con viste spettacolari a 360°, anche sulle isole dell’intorno.

Il resort si integra in questo ambiente paesaggistico, in modo non invasivo, azzerando e facendo dimenticare ciò che in origine era altro: l’ossatura di un albergo non finito, piuttosto incombente. I volumi preesistenti sono stati infatti ridisegnati con sapienti rivestimenti di rete metallica e piante rampicanti nei toni del grigio e del verde. Una pelle cangiante, vibrante sotto la luce penetrante del posto, che mimetizza, tra camminamenti sull’acqua e una piscina di 100 metri, tutto: dal padiglione d’ingresso in posizione centrale che ospita la lobby aperta sul mare e le aree collettive (tra cui due ristoranti, uno thai e l’altro italiano), alle 106 tra camere e ville private (quest’ultime, con dimensioni variabili da 60 a 100 mq, anche acquistabili) articolate nei corpi sviluppati ai lati, sulla destra e sulla sinistra, fino alla spa concepita come il cuore pulsante, anche in senso metaforico, della struttura ricettiva.

Di contro, all’interno, ogni angolo, pareti, finestre, porte, soffitti e stanze imbastiscono e restituiscono il sapore di tante pelli-texture ibride ed eterogenee. D’altronde Paola Navone ha davvero una grande maestria nel vedere e mettere insieme le cose. Conosce l’antropologia di luoghi, oggetti e mestieri. E, soprattutto,  dopo aver lavorato e vissuto tanti anni in Asia, alla continua ricerca di stimoli e riferimenti trasversali, ha interiorizzato molto bene i colori di due mondi, Oriente e Occidente, che è riuscita, ancora una volta, a rielaborare in modo non omologato, cool ed emozionante. “Per me è stato un po’ come tornare a casa” ha spiegato. “Conosco e apprezzo la dedizione e la passione con cui gli artigiani thailandesi lavorano. Il loro savoir-faire. Anche in questo caso non mi ha deluso, consentendomi di recuperare segni e tradizioni che rivivono in forme attuali, imperfette forse ma anche seducenti. È stata una nuova avventura densa di sorprese. Nel nord del Paese ho incontrato, ad esempio, veri e propri artisti che hanno creato i lampadari-merletti che inondano come una cascata la lobby e le aree ristorante. Poi ho conosciuto un giovane ceramista che lavora ancora con un antico forno cinese che si chiama Dragon Kiln e che mi ha costruito tutti i mattoncini forati smaltati di bianco con cui ho potuto immaginare dei filtri per schermare i bagliori dell’intensissima luce thailandese nelle camere. E, infine, un falegname che non si è per nulla scomposto quando gli ho chiesto di tagliare decine di migliaia di cubetti di scarti di lavorazione del teak per vestire le due pareti-quinta del padiglione d’ingresso di 70 mq ciascuna”.

L’eredità culturale come fondamento nella costruzione di un percorso verso l’ospitalità contemporanea ha dunque significato in primis una riscoperta del dna materico-cromatico del luogo. E i materiali, per Paola Navone, sono da sempre sinonimo di sartorialità creative: sassi, cementine, cubetti di ceramica, reti di alluminio stirato o intrecci di vimini. Come i colori sono stati l’interpretazione di una tavolozza iconica che conosce la saturazione dei toni, il contrasto tra il blu del mare e il bianco non perlaceo degli involucri: dal turchese (adottato per le piastrelle di ceramica che rivestono i bagni e le piscine delle suites, ma anche le gambe delle consolle) alle tre nuances di azzurro della spa, dall’arancio (declinato nel tessile ma anche dipinto sui tavoli e sulle poltroncine) ai rossi nodosi di tavoli e panche in legno di teak massello. L’ulteriore quid creativo si è affidato alle ‘pennellate’ che caratterizzano e personalizzano, con focus specifici e unici, gli ambienti. Lenti che potenziano lo sguardo. Ad alto grado di effetti sensoriali.

Come i pesci in mosaico che adornano le pareti del ristorante thai, la geografia di piatti sui muri del ristorante italiano La Sirena, i motivi figurativi ispirati alla calligrafia thai a decoro dei soffitti nella tea room, le mani in bronzo di antiche statue che chiudono le porte degli ambienti dedicati al benessere… tutti felici incontri di un luogo fiabesco, dove l’interazione tra dentro e fuori sfugge a una presa diretta.

 

Foto di Enrico Conti
Testo di Antonella Boisi

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Scorcio del ristorante di cucina italiana La Sirena, con la parete dell’area-buffet adornata da una geografia di piatti di provenienza europea. Poltroncine e divani di Gervasoni, design Paola Navone.
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Nella spa, cuore pulsante anche in senso metaforico della struttura ricettiva, i tradizionali lettini relax thailandesi reinterpretati nella forma e nei materiali, sono stati disposti come belvedere lungo la linea d’orizzonte della piscina e del mare sullo sfondo.
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Una zona della spa, rivestita con piastrelle di ceramica di produzione locale, declinate in diverse tonalità di azzurro e turchese, ad effetto acquario. Poltrone Gervasoni, design Paola Navone.
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Una vista del ristorante thai. Si notano sul fondo i pesci in mosaico che nobilitano la parete e in primo piano il muro di legno invecchiato posato a squame di pesce.
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Nel padiglione d’ingresso, la spettacolare lobby dominata dall’installazione di vecchi tavoli thailandesi, fiori e vasi smaltati, e dai lampada rimerletti creati da artigiani locali. Si notano le colonne scultore rivestite a picassiette che sostengono ai lati la copertura dello spazio aperto alla vista del mare e del paesaggio.
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La stanza del private dining, un involucro total white giocato sul contrasto tra il bianco iridescente del rivestimento di mosaico a specchio e l’arancio acceso della porta corredata da una maniglia che è la mano in bronzo di un’antica statua.
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Lo spazio dell’ Aqua Bar, con il bancone in sassi e teak massello, delimitato da quinte-filtro in mattoncini forati smaltati di bianco realizzati da un giovane ceramista che lavora ancora con l’antico forno cinese Dragon Kiln.
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La tea room. Lo sguardo è veicolato sul soffitto decorato con motivi figurativi ispirati alla calligrafia thai. Divani Eumenes. Sedie e tavoli tradizionali dipinti in arancio.
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Sapienti rivestimenti di rete metallica e piante rampicanti nei toni del grigio e del verde, disegnano una pelle architettonica uniforme ma vibrante, cangiante nella luce e nei riflessi dell’acqua della piscina (lunga 100 metri), mimetizzando il peso dei volumi preesistenti.
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Una delle 106 camere del resort con bagno dedicato, dove domina il blu del rivestimento ceramico che valorizza gli arredi. Nella stanza, ritornano i mattoncini forati smaltati di bianco che compongono la quinta-filtro e le cementine in bianco-grigio realizzate su disegno per la pavimentazione.