Il Museo Tamayo di Arte Contemporanea si trova all’interno del Bosque de Chapultepec, al margine del quartiere di Polanco. Nelle vicinanze ci sono il Museo di Arte Moderna e il Museo Nazionale di Antropologia, il Castillo de Chapultepec e l’Auditorium nazionale, a fianco del quale sono presenti numerosi teatri di piccole e medie dimensioni e sale spettacolo. Nella stessa zona sono ubicati anche due importanti edifici utilizzati per eventi, la Casa del Lago e la Sala de Arte Público Siqueiros o SAPS.

Nell’insieme, queste istituzioni formano uno degli assi culturali di Città del Messico, mentre un altro si trova nell’area dello Zócalo, la piazza centrale, dove sono il Palacio Nacional, il Palacio de Bellas Artes, San Ildefonso, San Carlos, il Templo Mayor, la Cattedrale e il Museo Franz Mayer.

La città ospita numerosi altri musei e centri culturali, per un totale di circa 280 istituti, tra i quali il Museo Universitario di Arte Contemporanea (MUAC), il Museo Jumex, il museo Frida Kahlo, l’Anahuacalli Museum e la casa Luis Barragán.

Questa vasta infrastruttura culturale di Città del Messico è stata costruita nel corso di circa 100 anni e continua ad arricchirsi di nuove istituzioni, come il MUAC, inaugurato meno di dieci anni fa, o il Museo Jumex, che ha aperto i battenti nel 2014, per menzionare solo i due principali istituti che si occupano di arte contemporanea.

In generale, la ricchezza culturale di Città del Messico è stata fondamentale per l’immaginario nazionale, e si è rinnovata numerose volte, l’ultima delle quali (o per lo meno la più profonda) negli anni Novanta del secolo scorso, con uno spostamento verso l’internazionalizzazione e il mercato mondiale e l’emergere di un mondo interessato all’arte contemporanea che comprende numerose gallerie commerciali come la OMR, Kurimanzutto, Labor, José García, Arredondo/Arozarena, House of Gaga e una serie di centri indipendenti come Casa Maauad e scuole come SOMA. Oggi scrittori, architetti, artisti contemporanei e cineasti messicani sono presenti in tutto il mondo, e, nell’insieme, rappresentano una cultura particolarmente vivace a livello internazionale.

Il Museo Rufino Tamayo Arte Contemporáneo è stato inaugurato nel 1981 come centro culturale di Televisa, una delle principali reti televisive del Messico, e qualche anno dopo è stato acquisito dall’Istituto Nazionale di Belle Arti, diventando così il primo museo pubblico dell’America Latina dedicato all’arte contemporanea e contenente questo riferimento nel nome.

Va tuttavia ricordato che negli anni Ottanta in Messico si definiva “contemporaneo” ciò che ora indichiamo come “tardo modernismo” con personaggi come Mark Rothko, Willem de Kooning, lo stesso Tamayo, Isamu Noguchi e Barbara Hepworth. Il loro primo gruppo di opere costituisce ora una sezione delle collezioni del museo, mentre un’altra rappresenta quella che oggi viene definita arte contemporanea, risalente agli anni Novanta del secolo scorso.

Dal 1986 il Museo Tamayo ha pertanto svolto la propria attività come istituto pubblico, con il sostegno della Fondazione Olga e Rufino Tamayo, un’associazione di privati che finanziano il museo, seguendo un modello analogo a quello francese delle associazioni degli amici del museo, che assicura agilità e risorse implementate, oggi fondamentali per una sana gestione delle nostre istituzioni.

Al momento il dibattito tende sempre più verso il desiderio di vedere i musei avvicinarsi a un modello misto pubblico-privato, con bilanci e responsabilità condivisi (e, si presume, anche una governance mista). Risulta difficile valutare pro e contro di questa tendenza, in quanto si tratta di un sintomo diretto della privatizzazione della sfera pubblica (o, più precisamente, della privatizzazione dei servizi pubblici), che potrebbe risultare più interessante se fosse accompagnata da una maggiore e più stretta osservanza dell’interesse pubblico.

Come si può osservare praticamente in tutto il resto del mondo, privatizzazione significa spesso ridimensionamento da parte dello Stato delle proprie responsabilità sociali, nella speranza che l’economia di mercato sviluppi una coscienza sociale. Questo andamento non riguarda esclusivamente il Messico, anzi ha influenzato la politica pubblica in molti Paesi che nell’ultima metà del XX secolo hanno cercato di creare una democrazia sociale: la Francia, i Paesi Bassi, il Canada e il Messico, per menzionare solo quelli che conosco meglio.

Nei Paesi Bassi, come ricorderanno gli europei, si è assistito a un taglio piuttosto netto dei finanziamenti al settore artistico nel 2011, presumo con un triplice obiettivo: puntare i riflettori sulla cultura in modo che altri progetti di privatizzazione procedessero sotto traccia (la sanità, per esempio), ridurre un numero eccessivo di istituti (prevalentemente di piccole dimensioni) per giungere a cifre maggiormente gestibili, e spingere verso il modello misto pubblico-privato della cosiddetta “industria culturale.”

I primi due obiettivi sono stati più o meno raggiunti, mentre il terzo pone un problema significativo, ossia che per ora non esiste una solida cultura del dare (come nel caso del Regno Unito e degli Stati Uniti) e non vi sono purtroppo neppure incentivi fiscali che ne consentano lo sviluppo. Questi ultimi, specialmente negli Usa, sono invece elevati, e offrono al cittadino la possibilità di decidere come impiegare le tasse che deve versare (dietro questa spinta si ritrova uno scetticismo prevalentemente americano verso la governance, scetticismo che risulta generalizzato in tutto il continente) e la gente supera il livello delle donazioni fiscalmente deducibili perché donare alla società in modo responsabile viene percepito come un ottimo comportamento dal punto di vista sociale.

Per quanto riguarda i finanziamenti privati, i musei pubblici hanno finora avuto difficoltà nel competere con quelli costruiti da singoli individui per ospitare le loro collezioni, spesso nel tentativo di avere un maggior controllo sull’uso delle proprie tasse. Ciò porta immediatamente in luce un problema attuale: non solo il sistema di gestione statale viene visto con sospetto, ma le tasse sono percepite come una proprietà personale. A ogni modo, uno degli obiettivi principali di musei pubblici come il Tamayo è creare fiducia nelle istituzioni in modo da far capire come la funzione pubblica del museo trascenda gusti e interessi individuali. In quanto direttori di museo, dobbiamo capire con grande chiarezza qual è la funzione pubblica del museo oggi, all’inizio del XXI secolo.

Il mandato del museo Tamayo è rappresentare le più importanti correnti dell’arte contemporanea, affinché il pubblico sviluppi un miglior senso critico ed estetico. Negli anni, con la ridefinizione di “arte contemporanea”, il mandato del museo si è ampliato e comprende l’arte moderna e quella contemporanea, ma offre anche una piattaforma ben visibile per le pratiche culturali nel senso più ampio. I campi di azione del museo Tamayo sono pertanto duplici.

Da un lato ci occupiamo di realizzare esposizioni eccezionali di arte moderna e contemporanea che risultino interessanti per diverse tipologie di pubblico e che rendano il museo importante a livello internazionale. Dall’altro, cerchiamo di offrire uno spazio e una piattaforma per altre iniziative e per dare visibilità alla miriade di progetti realizzati in Messico nel campo della produzione culturale, dal tessile alla ceramica, dai libri a progetti pubblici.

Tra i progetti che stiamo sviluppando, uno particolarmente significativo affronta l’uso dello spazio pubblico e si riferisce alla storia degli impianti sportivi. Questo progetto ha vissuto un primo momento con l’inaugurazione della mostra Isamu Noguchi, Playscapes, esposizione di molti progetti realizzati dall’artista nippo-americano per i parchi pubblici e intorno al concetto di gioco in cinquant’anni di attività.

Si è avviata così una riflessione che intendiamo portare avanti, con la Design Week Mexico, sul significato dei campi sportivi come spazi di attività creativa collettiva e come spazi che potrebbero aiutarci a riflettere sul modo in cui le nostre società siano costruite. Ovvero sulle nostre interazioni basate su costruzioni sociali stabilite, su come giochiamo e su come potremmo riuscire a sviluppare forme di partecipazione, attraverso l’estetica, che potrebbero portare al miglioramento costante del nostro immaginario politico collettivo.

Testo di Juan Andrés Gaitán – Foto di Jaime Navarro Soto, courtesy Tamayo Museum

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Vista del Museo di arte contemporanea Rufino Tamayo, progettato nel 1972 dagli architetti Abraham Zabludovsky e Teodoro Gonzàlezde Leon, al margine del quartiere di Polanco. Foto courtesy Tamayo Museum.
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Il maestoso foyer di grande respiro spaziale e luminosità che introduce alle gallerie espositive del Museo di Arte Contemporanea Rufino Tamayo, ubicato all’interno del Bosque de Chapultepec. Foto courtesy Tamayo Museum.
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La forma romboidale del Museo Soumaya vestita da una pelle di 16,000 elementi esagonali in acciaio specchiato spicca nel paesaggio fortemente urbanizzato della nuova Plaza Carso, nel quartiere di Polanco. Foto Jaime Navarro Soto.
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Il museo Jumex disegnato da David Chipperfield Architects e inaugurato nel 2014. Si trova proprio di fronte al museo Soumaya, nel quartiere di Polanco.
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Il museo Jumex ospita parte di una delle più grandi collezioni private d’arte contemporanea dell’America Latina e si caratterizza per la copertura a shed che corona le facciate in lastre di travertino (di Xalapa).
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L’omogeneo rivestimento litico del museo Jumex si apre in corrispondenza della loggia belvedere del primo piano. Foto Jaime Navarro Soto.