Gli sguardi dei giovani creativi messicani sotto la lente di Greta Arcila, direttore di Glocal Design Magazine. Come osservare e valorizzare le proprie risorse

Oggi, la comunità dei creativi messicani vive un momento di festa. Si percepisce nell’aria. Complice la nomina di Città del Messico Capitale Mondiale del Design 2018 che diventa sulla carta geografica globale una meta imperdibile, ciò che è “disegnato in Messico” rappresenta un marchio di qualità, sotto gli occhi di tutti.

Che il design incarni un fattore di cambiamento sociale ed economico per le nuove generazioni, e che possa riscattare le comunità indigene portatrici di una conoscenza inestimabile di tecniche ancestrali è ormai un dato acquisito.

Quando i giovani designer messicani si sono guardati allo specchio, si sono riconosciuti in uno splendido passato millenario, dove colore, materiali di origine naturale e sapienza artigianale non soltanto convivono, ma oggi risplendono più che mai. Ma dove si è forgiato il loro talento? Semplice, nelle aule scolastiche

Aule scolastiche, fattori di cambiamento
Sono stati i docenti universitari ad avere avuto l’intuito e la visione di portare i giovani nelle comunità, per farne professionisti qualificati ed esperti sul campo. E, altresì, a invitare in classe talenti provenienti da diverse parti del mondo perché gli allievi potessero avere delle figure di stimolo e riferimento.

Anche i concorsi costituiscono da sempre una prospettiva interessante; è in questo ambito, come parte di una giuria, che mi è capitato di incontrare nuovi volti del design. Ricordo il Premio Clara Porset organizzato dal CIDI, l’AHEC Design Award, Promesas México di Habitat Expo, DIMUEBLE di Afamjal, il Premio Quorum, Diseña México e un’infinità di tentativi isolati di diverse scuole e istituti.

Gli attuali mezzi di comunicazione hanno insegnato ai designer l’arte dell’autopromozione e, insieme a questo, a diventare imprenditori di se stessi. Così, oggi sono presenti molte microimprese di design.

A dare visibilità a questi lavori sono i mezzi di comunicazione, ma anche piattaforme molto conosciute, come Inédito di Design Week México, Abierto Mexicano de Diseño, Mextrópoli, Besign, Zona MACO Diseño e adesso Salón Macrotendencias.

Da qui, una domanda: chi fa parte di questa categoria di talentosi che ci rappresentano sia a livello locale che globale? Di seguito i nomi (e i profili) di alcuni di loro che, per ovvie ragioni di spazio, sono solo una rappresentanza di quelli meritevoli di attenzione.

Joel Escalona
Joel, a differenza di molti, si è proposto come alleato delle imprese, cogliendo da subito un’opportunità. Con passo sicuro e senza esitazioni, bussa alle porte delle imprese con i suoi progetti. E così è riuscito a lavorare, fra le altre, con Roche Bobois, Compass, TANE, Urrea, Libbey. Lui riconosce di aver imparato molto lavorando soprattutto con le ultime due, perché ha avuto modo di entrare in gruppi multidisciplinari.

Il suo segno è pulito, ama la sinuosità e il contrasto con le linee rette; nell’ultima edizione di Zona MACO ha presentato la prima collezione personale e ha venduto al pubblico la maggior parte dei suoi lavori nel corso della fiera stessa. “Ho deciso di sviluppare autonomamente la mia attività quando ho capito che non esisteva uno studio di industrial design che lavorasse veramente con l’industria, sviluppando il prodotto in Messico”.

Moisés Hernández
Ho conosciuto il lavoro di Moisés nell’ambito del FuoriSalone, è stato il primo messicano diplomato all’ECAL e presentava una collezione realizzata con Baccarat: ha iniziato dai grandi. Ci racconta di aver deciso di fondare il proprio studio quando si è reso conto che “negli oggetti che ci circondano sono necessari la semplicità, la raffinatezza e il buon design”. Il suo lavoro è semplice, onesto, utilizza materiali e un linguaggio essenziale.

Oggi, Moisés è direttore del design di ITESM (una delle università più importanti del Messico), fa parte del collettivo Cooperativa Panorámica, ha una sua linea di design chiamata Diario e lavora per brand quali Ligne Roset, PCM, Riva 1920, José Cuervo, Palacio de Hierro, Bauhaus Mobel, Voit. “Attraverso il mio lavoro cerco di dare benessere, soddisfazione e coerenza”.

David Pompa
Incontro David più in trasferta, a fiere e presentazioni di eventi, che in Messico. Questo perché la sua sede si trova in Austria, anche se produce la maggior parte dei lavori in Messico. Vivere fuori dal suo Paese d’origine gli consente di tenersi alla distanza necessaria per guardarci e captare meglio le opportunità.

Da lì deriva la sua specializzazione in design di apparecchi d’illuminazione con materiali inediti, quali la terracotta barro negro e la ceramica talavera. In merito al lavoro con gli artigiani, è sicuro che questa attività “supporti l’economia, chiaramente sempre quando viene realizzata in modo professionale e corretto, promuovendo la cultura messicana”.

“Ogni materiale con il quale abbiamo lavorato ha costituito una sfida e quindi un processo di apprendimento. Sperimentare la terracotta barro negro ci ha consentito di realizzare i nostri progressi più grandi”.

Juskani Alonso
Ho conosciuto Juskani Alonso quando ha esposto il suo lavoro nel contesto del FuoriSalone. Da quel momento ne ho perso le tracce e l’ho ritrovato anni più tardi nell’evento Inédito di DWM al Museo Tamayo.

Aveva già instaurato una comunione indivisibile con il legno. E così, anno dopo anno, il suo lavoro è diventato sempre più estraneo all’ambito tradizionale del design, anche se gli esperti lo vedono come un alleato, perché sviluppa anche progetti con laboratori di design e di architettura.

A sentire il suo parere, alla comunità creativa messicana manca la fiducia in se stessa: “Comunicare e lavorare insieme; capire come si sviluppano sinergie in altri Paesi nel momento in cui si condividono informazioni ed esperienze”. “Mettere l’uomo al centro del nostro sviluppo porterà dei risultati sinceri che risolveranno le nostre problematiche quotidiane”.

Déjate Querer
Una designer, Ana Paula Alatriste, e un’antropologa sociale, Rocío Cerón, hanno costituito un’impresa che, oltre a produrre tessuti di grande espressività, rappresenta una fonte di lavoro per comunità marginali. Secondo quanto afferma Rocío, questo le aiuta a “recuperare e collaborare per condividere ogni fase del processo realizzativo, ciò che riempie di ricchezza il lavoro e parla di design messicano”.

Le due partner credono che sia necessario lavorare ancora molto su linee guida che aiutino sia le comunità sia i designer ad avere un lavoro degno, da cui trarre un reciproco vantaggio, economico e di conoscenze; senza trascurare il diritto d’autore, fra le varie problematiche. “Abbiamo sempre pensato che ciò che più restituiamo è felicità. Quello che facciamo ci rende davvero felici e speriamo di riuscire a comunicarlo”.

AD HOC
Juan José Némer (designer) si è associato con Mauricio Álvarez (architetto), convinto che i loro ruoli fossero complementari nella progettazione. Per loro, il design non solo migliora la vita del fruitore, ma arricchisce il modo in cui quest’ultimo percepisce la vita, perché un bel progetto migliora la sensorialità di ogni essere umano e lo rende più recettivo.

Questi Talents à la carte di Maison et Objet del 2016 stanno cercando di creare una tribù corporativa, pensando che in Messico manchi unità fra i designer. Sono consapevoli che solo stando uniti conseguiranno un cambiamento importante socialmente. Il loro lavoro trasmette un sincero amore per il loro Paese e contemporaneamente riscatta la legacy artigianale che esiste in molte comunità in Messico.

Interpreti di un linguaggio universale e delle tecniche antiche più belle, come quella della carta traforata, fanno in modo che ciò che prima era ‘trasparente’ assuma un protagonismo semplice e puro, assolutamente senza uguali. “Lavorando con artigiani e galleristi, ci rendiamo conto che il nostro obiettivo, più che creare mobili, è quello di realizzare pezzi di design che possano coesistere in un contesto contemporaneo e senza tempo”.

Víctor Alemán
Imprenditore, con un proprio studio di design (EVA) e con uno di produzione (Left), è un designer che ogni giorno impara dal suo team e dai clienti, che spaziano da progettisti ad architetti, da interior designer a costruttori.

In passato socio di Alberto Villareal e di Michel Rojkind, si è reso conto che il suo cammino andava in una direzione diversa. Per lui, non c’è modo migliore di crescere che stando laddove succedono le cose, andare alle fiere, fare gare, cercare alleanze impossibili, anche se raggiungibili; in poche parole, guardare sempre verso orizzonti diversi.

Questa curiosità lo ha portato a produrre di tutto, da una scala a un pallone da football, da un complesso set da tavola a lampade con stampe tridimensionali, fino a ceramiche dai formati insoliti. Víctor è un uomo del nostro tempo, convinto che la specializzazione lo farà evolvere e gli farà sviluppare un’intelligenza orientata a risolvere problematiche complesse di progettazione. “Interpretare il design come un master plan permette di andare oltre le qualità estetiche degli oggetti”.

FOAM
Ho avuto la fortuna di scegliere il lavoro di Alejandro Grande e Omar Ramos in un’edizione del Corredor Cultural Roma-Condesa. In uno spazio dell’albergo Condesa DF avevano realizzato un allestimento indimenticabile, dove la cura di ogni pezzo era impeccabile.

Se oggi sono riconosciuti avanguardisti nelle proposte progettuali è perché non hanno paura di sperimentare con i materiali. Fanno parte di una generazione di designer giovani, che si pone il problema del riuso e della durabilità dei pezzi da loro realizzati. “Il design messicano inizia ad avere un posto nel panorama internazionale come realtà portatrice di ricchezza concettuale e storica”

Comité de proyectos
Con virtuosismi di linee soft e oggetti che si riconducono a una matrice locale, ma anche universale nell’essenza, questo collettivo di design è riuscito a posizionarsi in poco tempo come risorsa per molti studi di interior design, anche per realizzare progetti congiunti. I suoi mentori, Andrea Flores e Lucía Soto, predicano un design coerente, inclusivo, semplice e funzionale, adottando soprattutto pietra e legno come materiali privilegiati dell’invenzione.

“Non rinneghiamo la produzione di oggetti in serie, ma ci piace anche che ogni oggetto abbia un’anima. C’è una manodopera così valida in Messico che sarebbe stupido non tenerne conto”.

MOB
È un laboratorio che ha iniziato la propria attività progettando mobili e poi è approdato a un negozio di design, che cura le forniture anche di boutique hotel e alberghi a numerose stelle. Il territorio di Elsa García e Jesús Irízar si esprime in una gamma colorata e densa di texture. Punta su tutto ciò che parla della naturalità degli spazi e del rispetto dei materiali.

Crede che, affinché ci sia una vera rottura e perché il design possa entrare nella vita di tutti, ci debba essere spazio di ricerca nell’ambito pubblico senza distinzioni di livello socio-economico. Oggi, MOB è uno dei laboratori più riconosciuti, perché sa reinventarsi costantemente e restare sempre al centro dell’attenzione. “Recuperare l’artigianato e molti dei mestieri tradizionali, reinterpretandoli, aiuta a sostenere nuove sfide e a portare migliorie nelle tecniche e nelle loro applicazioni. Questo mix di evoluzione e di tradizione ci consente di continuare a scrivere la storia”.

Christian Vivanco
Inarrestabile e inquieto, Christian disegna di tutto, spaziando da una sedia a dondolo a un giocattolo per gatti; e oggi è responsabile del design di un’importante impresa messicana di prodotti per la casa. Vivanco non smette mai di chiedersi il perché di ogni elemento che lo circonda. Perfezionista ossessivo, questo designer nato a San Luis Potosí, che vive a Città del Messico, è convinto che il design debba essere democratico, ma allo stesso tempo non può esimersi dal raccontare una storia, perché solo così crea empatia con l’utilizzatore.

Accademico e molto attivo nella comunità creativa, è favorevole alla ricerca condivisa e ai progetti in team. Negli ultimi anni ha avuto l’opportunità di creare rapporti di collaborazione con diverse comunità artigianali dove ha appreso molto, ma è sicuro che sia necessario dare maggiore dignità al loro lavoro. “Abbiamo bisogno di sviluppare una cultura di professionalizzazione insieme ai nostri produttori, promuovendo salari giusti, formazione, competenza, e anche impegnandoci in compiti che a prima vista non ci appartengono, ma che diventano fondamentali”.