Progetto di Witherford Watson Mann Architects
Foto di Hélène Binet
Testo Alessandro Rocca

L’Inghilterra è un Paese dalla cultura architettonica importante che spesso, a causa della sua complessità e diversità, rischia di appiattirsi all’ombra dei grattacieli londinesi e dei grandi eventi, dalle opere del millennio alle imprese olimpiche.

Perché oltre l’high-tech, di cui l’Inghilterra è luogo d’origine e patria d’elezione, esiste un gran numero di architetti che sanno lavorare in punta di mouse, con empirica eleganza, dialogando con la tradizione  e rielaborando gli elementi tradizionali del costruire di ogni giorno.   Tra gli architetti inglesi che coltivano con raffinata consapevolezza una linea di normalità, di architettura quotidiana, antieroica, Caruso St John, Tony Fretton e Sergison Bates. A questo gruppo si aggiunge lo Studio di Stephen Witherford, Christopher Watson e William Mann, esempio di competenza ed equilibrio da prendere a modello.   L’intervento ad Astley Castle, vincitore del premio Stirling 2013 del Royal Institute of British Architects, dimostra come si possa realizzare un’architettura di pregio ed effetto con materiali semplici, tecnologie ordinarie e costi contenuti. Il tema del progetto era stato lanciato con un concorso, nel 2007, da Landmark Trust, organizzazione che si occupa di salvaguardare e mantenere il patrimonio storico inglese attraverso iniziative di solidarietà civile, e riguardava il recupero, o meglio il salvataggio, dei resti di Astley Castle.   Immersi nel verde del Warwickshire, i vecchi muri in blocchi di arenaria risalivano al XII secolo, avevano accolto per centinaia d’anni la residenza di una famiglia nobiliare e poi, in anni più recenti, il castello era stato convertito in albergo. La lunga vita dell’edificio sembrò imboccare la dirittura di arrivo quando, nel 1970, un incendio distrusse tutte le parti in legno (tetto, solai, pavimenti, infissi) e per oltre 40 anni le murature quasi millenarie, persa ogni difesa, iniziarono a cedere e a disfarsi con crolli e cedimenti.   Il progetto di Witherford Watson Mann è un esperimento di retrofitting estremo, recupero di tutto ciò che è recuperabile, non moltissimo, e inserimento e completamento di tutto ciò che manca con opere architettoniche ed elementi nuovi che non si preoccupano di mimetizzarsi all’interno della struttura precedente.   Seguendo i dettami del restauro contemporaneo, che vieta la ricostruzione in stile e prescrive di completare le parti mancanti con inserti della massima neutralità, WWM hanno utilizzato una palette di materiali di estrema semplicità: mattoni, elementi in cemento prefabbricato di colore grigio e legno lamellare con finitura al naturale.   All’esterno, il risultato è un’immagine affascinante in cui la rovina mantiene l’aspetto del rudere in abbandono, conservando le piante rampicanti avvinte alle vecchie pietre e, nello stesso tempo, dichiara la presenza di un corpo che, seppure in maniera gentile, si inserisce come un parassita, una presenza estranea che sfrutta le vecchie mura come il guscio di un organismo ormai estinto, come un residuo disponibile che si può riciclare come habitat per una nuova forma di vita.   Come dicono gli architetti “non abbiamo restaurato il castello e neppure abbiamo voluto enfatizzare la rovina in modo romantico; abbiamo stabilito una nuova unità, lo abbiamo reso stabile riconnettendo le parti ma abbiamo anche voluto che conservasse un senso di incompletezza e rimanesse poroso, con le sue ferite ancora aperte”.   Un doppio obiettivo che porta a evidenziare non tanto il contrasto tra vecchio e nuovo, che insieme compongono una nuova unità, ma piuttosto tra le due condizioni dell’abbandono e del riuso che convivono nello stesso progetto. Scelta chiara anche all’interno, dove le parti rinnovate stanno a contatto diretto con altre in cui si sono semplicemente risolti i problemi statici e di sicurezza senza raggiungere l’abitabilità.   Dovendo accettare la presenza ingombrante delle murature esistenti l’organizzazione della casa è  ribaltata: al piano terra gli ambienti esistenti sono utilizzati per quattro grandi camere da letto e un foyer generoso al centro del quale troneggia, come una scultura di arte povera, un’imponente scala in legno lamellare. Al piano superiore, libero dall’ingombro delle grandi murature, si trova un unico ambiente indiviso che contiene il soggiorno comune, la cucina e la sala da pranzo.