Gaetano Pesce, architetto, designer, artista è uno scomodo protagonista della creatività contemporanea, per la sua visionarietà, per la sua passione morale. Le sue sagome imperfette, volutamente irregolari, sono messaggi destinati all’uomo e alle sue passioni, sono ammonimenti dirompenti che invitano ad affrontare la vita nella sua interezza, con la carne e con il sangue.
In ogni circostanza Gaetano leva la sua voce per difendere i valori della creatività genuina, per promuovere la sensualità, per esaltare la natura verace delle materie che modella, senza costringerle nella morsa dello stampo, al fine di esaltarne l’originaria plasticità.
Nelle sue opere, che infrangono i confini della geometria, si coglie l’impulso dell’istinto lasciato libero di espandersi oltre la regolarità delle forme disegnate per accedere all’imperfezione dei magmi che soverchiano la mano dell’uomo. Intervistarlo, anche in differita, rappresenta una lezione di vita, che trascende la pura disciplina, per offrire modelli di comportamento
La prima domanda è presa a prestito dal titolo della XXI Triennale, dato che assiduo è il rapporto di Gaetano Pesce con l’istituzione milanese che l’ha visto protagonista nel 2005 con la personale “Il rumore del tempo”, quindi nel 2007 con il Pink Pavillion alla Triennale Bovisa, nel 2010 con “Italy on the Cross”, infine nel 2015 nell’ambito della mostra “Arts&Food”, a cura di Germano Celant, con l’installazione “La cucina come luogo di Passione”.
Il titolo della prossima Triennale “Design after design” invita a una riflessione sulla modificazione della professione del designer. Come sta cambiando?
A mio modo di vedere spero che in futuro la professione del designer si configuri in una persona che ha più senso etico. Un individuo che non lavora solo per il denaro, come succede nella maggior parte dei casi, ma che si proponga, con la propria ricerca e spirito innovativo, di dare al design italiano l’energia per continuare a essere il primo nel mondo.
Esiste ancora il design industriale di derivazione bauhausiana, quello dotato di forma che segue la funzione, destinato al grande pubblico, replicabile in molti esemplari? Oppure è in via di estinzione, sostituito da manifestazioni ibride a cavallo tra arte, design e artigianato?
I due aspetti citati esistono sempre: il design funzionale e pratico è una cosa di cui abbiamo bisogno, che usiamo senza pretese cerebrali. Le posizioni ibride tra arte e artigianato sono anche possibili, ma non affrontano la vera realtà. Nel passato l’arte era pratica, utile e in molti casi anche uno strumento politico, filosofico, religioso, ecc.
Il design possiede queste valenze già oggi. Gli esempi non sono molti, ma un’espressione che parli di materiali, di processi tecnologici e di alta comunicazione è già nella realtà di ogni giorno. Basta pensare a cosa ha fatto Apple per permettere alle persone di comunicare, di tornare a scrivere, di esprimere concetti. Allo stesso modo, Facebook diventerà molto presto il mezzo per far evolvere la democrazia.
In altre parole, consentirà di verificare che il politico eletto mantenga le proprie promesse e, in caso contrario, gli si potrà togliere il mandato. Questi sono esempi di arte che ancora non siamo abituati a considerare tali, perché si continua a considerare arte solo quella contenuta nei musei di arte contemporanea.
La forbice tra prodotto d’élite e prodotto per tutti si sta progressivamente allargando, determinando un deterioramento estetico e concettuale del prodotto di serie e uno slittamento verso l’arte di quello d’élite. Si tratta di una tendenza, oppure di un processo irreversibile?
Si tratta di un fenomeno che esiste da sempre: ci sarà la persona che userà le proprie energie per migliorare se stessa e dunque appartenere ad una élite, e chi questa energia la spreca inutilmente. Questi ultimi si contorneranno di oggetti ordinari.
Il mutamento della geografia industriale con il raggruppamento dei marchi all’interno dei fondi d’investimento sta determinando una mutazione del panorama del design italiano?
Sta mutando la qualità del design come espressione che guarda al futuro. Questi agglomerati di aziende hanno il ‘sedere che scotta’ solo per cercare il profitto. Nella ‘parte alta’, invece, non possiedono il cervello per capire che l’industria ha un dovere fondamentale, che è quello di dedicare il 30% della propria attività alla ricerca di nuove espressioni, nuovi linguaggi, nuovi processi produttivi, nuovi materiali. Beninteso, ciò riguarda le industrie italiane che producono oggetti per la casa e l’ufficio.
Ho detto ‘italiane’, perché non credo che quelle fuori del nostro Paese si pongano alcuna funzione culturale. Mentre trovo grave che le aziende nostrane, che hanno dato all’Italia il Design Italiano, rinuncino, con la complicità di banali creatori, a investire nel futuro e a ricercare nuove ‘medicine’ come l’industria farmaceutica fa per i propri prodotti. Inoltre trovo scorretto sfruttare il marchio ‘Italian Design’ quando si fa quasi niente per farlo evolvere.
Una valutazione sulle nuove generazioni: i makers, i giovani designer che corteggiano la moda, oppure l’arte, che si dedica al fare con le mani?
Quello che fanno gli altri mi riguarda poco, ma credo che l’idea verificata con le mani si arricchisca. Di solito la manualità è bistrattata dagli ignoranti (leggi qui gli intellettuali), ma, a mio modo di vedere, ha un’enorme importanza. Non significa solo plasmare la creta, ma anche mettere insieme dei circuiti elettronici, quelli che molto presto permetteranno alle persone di comunicare con il pensiero, senza fare il numero di telefono.
Ha senso parlare di uno stile legato all’attualità del progetto, oppure siamo in un periodo eclettico che vede la convivenza di varie espressioni estetiche legate alle personalità dei creativi?
Credo che viviamo in un’epoca di ‘uccelli solitari’. Questo lo avevo scritto a Mitterrand, per altre ragioni, nel giorno della sua elezione nel 1981 (sostenendo che l’idea di massa era diventata obsoleta, che i movimenti politici che inseguivano ‘l’eguaglianza’ puzzavano di vecchio, che la diversità era il mezzo per combattere l’alienazione, ecc.). In altre parole, il suono della foresta non è più una sinfonia dove i singoli scompaiono ed emerge la coralità, ma un canto di uccelli solitari.
I movimenti artistici e gli ‘ismi’ non sono più possibili, secondo me, quindi sono propenso a dire che chi non ha molto da fare, segue la moda. A questo proposito mi piace ricordare quanto l’amico Giampiero Mughini mi ha fatto notare sull’esistenza di giovani creatori, come Andrea Salvetti, Alessandro Ciffo, Roberto Mora, che hanno abbandonato l’espressione astratta e che usano la figurazione per dare forma al proprio lavoro. Oggi il computer parla universalmente attraverso le figure; comunicare significa quindi abbandonare i linguaggi astratti, che molte volte sono autoritari (vedi i prodotti dell’edilizia).
Cosa stai facendo in questo momento?
Continuo a pensare che quando si dice architettura si intende edilizia. Nel mondo della costruzione, come in quello degli oggetti, la maggior parte delle cose costruite sono prodotti utili per abitare, lavorare, ecc, senza però alcuna altra pretesa. Poi esiste un’altra categoria di costruzioni che seguono le mode e si configurano attraverso delle innovazioni formali. Nel primo caso sono coinvolte, in grande parte, persone che hanno il diploma di architetto, nel secondo molte archistar che producono edilizia decorativa (salvo Frank Gehry e forse Herzog & de Meuron).
L’architettura riguarda una faccenda rara e avviene pochissime volte ogni secolo e la sua apparizione si conta sulle dita di una mano. Essa riguarda profonde innovazioni spaziali, tecniche nuove e impiego di materiali conseguenti, senza dimenticare che l’architettura oggi si configura nella ‘diversità’, si oppone allo Stile internazionale e cerca di rendersi interprete dei luoghi, delle identità e delle culture nei quali si realizza.
Altra cosa di cui mi occupo, strano a dirsi, è un progetto per l’amministrazione comunale di Padova a cui ho suggerito di valorizzare, con un progetto architettonico, le scoperte che Galileo fece sul posto. Ciò per ricordare al mondo che le sue straordinarie rivelazioni sono avvenute in quella città: li ha abitato 18 anni con una compagna che gli ha dato tre figli, insegnando agli allievi dell’università locale.
La città veneta ricorda tutto questo con una placca di marmo. Vorrei invece che prendesse coscienza della propria fortuna nel possedere due grandi fatti della storia umana: l’inizio dell’arte italiana segnata da Giotto con la Cappella degli Scrovegni, e il suo legame con le scoperte di Galilei, che avvennero nel suo territorio. Infine sto anche cercando di svegliare dal loro torpore alcuni industriali italiani attraverso dei nuovi progetti.
Che futuro vedi per il progetto?
Il progetto sarà sempre utile e necessario perché in inglese significa innovazione e se crediamo, come credo, nel progresso, questo si realizzerà sempre attraverso dei progetti.
Un consiglio da dare a chi si affaccia sulla scena della professione…
Essere curiosi. In ultimo una riflessione di qualche anno fa: un giorno la tecnologia e i suoi derivati saranno così perfetti da far rimpiangere i difetti umani?
Testo di Cristina Morozzi