“Un paradosso. Questo luogo è un paradosso: non è un bar, non è una pasticceria, non è un bistrot, non è un ristorante, non è una lounge, ma alla fine è tutte queste cose insieme. Poiché disegnare uno spazio per un cuoco è una cosa, disegnarne uno per Filippo La Mantia – un globulo rosso, uno bianco e uno siciliano – un’altra. L’avevo già sperimentato nel progetto delle sue sale ristorante all’hotel Majestic di Roma. Resta un’avventura, ogni giorno diversa. Come la sua idiosincrasia per aglio e cipolla che ho cercaro di esorcizzare regalandogliene un cesto…in marmo però. Uno scherzo”.
Così esordisce Piero Lissoni chiamato a commentare il recente intervento di ristrutturazione e restyling a Milano per “Filippo La Mantia – oste e cuoco” palermitano. Come lui si definisce sulla porta d’ingresso vetrata, corredata da un’immagine stilizzata dell’isola, e incorniciata da due rigogliose piante di limoni. Il nuovo indirizzo è in Piazza Risorgimento della capitale di Expo 2015, dove prima c’era il Gold di Dolce & Gabbana.
“Un luogo molto poco milanese, in realtà, nel concept” continua Lissoni. “Immaginiamo un mondo internazionale in una grande città, riportato sotto lo stesso tetto e aperto dalla prima mattina a notte fonda, dove si può mangiare a qualsiasi ora, dalla colazione al dopo cena, ma anche soltanto prendere un vassoio di pasticcini da portare a casa…e poi organizzare eventi, incontrarsi per lavoro o solo per il piacere di socializzare intorno a tavoli comuni, in una dimensione conviviale non proprio meneghina.
Abbiamo cercato di rendere ogni zona speciale, disegnando zone molto differenti tra loro, ma sempre flessibili nell’uso. Come in una casa, dove ci sono boiserie, tazze e libri, divani, poltrone, tappeti, molte sedie e molti modi diversi di stare seduti allo stesso tavolo. Perché alla fine questa è la casa di Filippo, non solo il luogo della sua tradizionale cucina siciliana. Racchiude le sue amate ceramiche e porcellane, organizzate in piatterie, la vecchia moto BMW, gli strumenti musicali, le fotografie, appunti personali di un percorso di vita e non solo di lavoro”.
La qualità vera sta sempre nel saper miscelare differenti mondi nel disegno degli interni: ‘toccare’ senza ‘toccare’ i muri, come è stato in questo caso, 1800 mq su due livelli (più basement tecnico e di servizio); regalare un’anima e un’emozione agli spazi, con il concerto luminoso delle luci, tecniche nascoste nei controsoffitti, ma anche da terra, presenze ora delicate ora più iconiche; enfatizzare l’intima scenografia orientata al relax anche nella scelta della palette materica e cromatica giocata sui toni lavici della terra accesa da finiture metalliche bronzate e dal gioco di riflessioni degli specchi o dei bambù-screen perimetrali, verniciati ed essicati, che incidono di penombre le superfici.
E tutto questo Lissoni lo sa fare magistralmente come ben sa Filippo La Mantia che riconosce: “Il design di Piero mi rappresenta moltissimo: le geometrie lineari, la pulizia delle forme, l’essenzialità delle figure, la funzionalità e la comodità delle sue soluzioni pensate con spirito sartoriale. Mi piace di lui che riesce a rendere caldo un luogo, per paradosso, anche soltanto con un tavolino.
In assoluto, anche prima di incontrarlo e conoscerlo, ho apprezzato il rigore dei suoi pezzi, tant’è che nella mia casa romana ci sono molti arredi suoi. Con lui poi avevo già condiviso l’esperienza multisensoriale delle sale-ristorante al Majestic di Roma, dove sono stato 15 anni e ho maturato la consapevolezza degli ingredienti che occorrono perché un posto ‘funzioni’: immagine, insonorizzazione degli spazi, studio delle luci fondamentale; qui ho potuto eliminare le circa 200 candele al giorno che utilizzavo nella capitale; poi tavoli belli anche non apparecchiati: non si deve sentire la mancanza della tovaglia, il piano deve restituire nella sua consistenza una percezione di comfort”.
E soprattutto i due grandi tavoli custom made, piani mappe serigrafate della Sicilia antica rivestite in vetro satinato, hanno un peso non secondario nella mise en scene del piano terra, segnato da pareti vetrate perimetrali e pensato, nella successione di zone, come uno spazio più aperto e informale rispetto al livello superiore, con il ristorante alla carta, le due sale privè rese comunque flessibili nella configurazione da partizioni scorrevoli, il laboratorio dei dolci racchiuso nel volume finito a specchi, la cucina tecnica nascosta ad occhi indiscreti, ma anche il monoblocco Boffi dedicato agli show cooking.
“C’è una sorta di affinità elettiva tra me e Lissoni” continua La Mantia. “Come lui architetto ama interpretare un luogo con una ricerca straordinaria di oggetti, accostamenti e finiture, così io da cuoco-oste mi prendo cura del mio lavoro, il cliente, cercando di farlo star bene, tra belle cose, riferimenti materici e suggestioni importanti quanto il cibo, perché rimandano al ricordo di qualcos’altro: cartoline di un viaggio in Sicilia, che incontra una cucina sensoriale, istintiva, riproducibile a casa propria senza troppi sofismi architettonici, che rischierebbero di castrare un appagamento coinvolgente”.
foto di Santi Caleca
testo di Antonella Boisi

