Design Zaha Hadid with Patrik Schumacher
Project designer and architect Saffet Kaya Bekiroglu
Foto di Iwan Baan
Testo di Antonella Boisi
Un campo di energia costruito sulle ceneri di una fabbrica abbandonata di epoca sovietica, circondata da residenze popolari, domina il paesaggio dall’alto della collina.
L’Heydar Aliyev Cultural Centre, centro culturale dedicato dal presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev al padre Heydar, è un’architettura di grande suggestione e impatto ambientale. Con i suoi 100 mila e oltre metri quadrati, si propone come landmark nel tessuto urbano di Baku, diventandone parte integrante. La sua forma spaziale fluida e ininterrotta emerge e si svolge, come un nastro di Moebius, dall’interpretazione della topografia del terreno e dalla scansione dell’edificio sulla base delle singole funzioni che ospita (biblioteca, museo delle collezioni di stato, centro convegni con auditorium, ristorante). Assurge così a simbolo della modernità del nuovo corso politico-economico-culturale della capitale azera, luogo di conoscenza aperto a circolarità e condivisione delle informazioni. Merito del progetto di Zaha Hadid, con Patrik Schumacher e l’architetto Saffet Kaya Bekiroglu, che ha interpretato questa occasione professionale come possibilità di realizzare un’architettura democratica, priva di retorica e monumentalità, chiusure e rigidità. Non imbrigliata in paradigmi precostituiti, in grado di configurare i fondamentali di uno spazio pubblico di relazione accessibile alla cittadinanza, considerato che il centro si prolunga in un parco con lago artificiale, integrando caffetteria outdoor e un impianto scenico di vasche d’acqua terrazzate, scalinate d’accesso, rampe, scale mobili e ascensori di collegamento al parcheggio sotterraneo. “Volevamo portare emozione nel contesto, riqualificarlo, suggerendo una relazione continua tra esterni e interni, pubblico e privato, architettura e paesaggio, in modo che il visitatore si sentisse metaforicamente accolto da un abbraccio” ha spiegato. La matrice parametrica è ciò che lo guida: una ricerca tecnico-formale basata su procedimenti di calcolo computazionali (algoritmi genetici) e sulla premessa che tutti i processi-chiave della progettazione sono costituiti da variazione e correlazione degli elementi architettonici (moduli), per posizione, geometria, materiale, malleabili nell’adattabilità al contesto. Le manipolazioni spaziali e volumetriche digitali pensate per rendere l’uso del manufatto esatto ed efficace hanno riportato tutte le funzioni del centro e gli ingressi alla densità performante di un’unica superficie continua in poliestere rinforzato con fibra di vetro (utilizzata anche per pavimentazioni e rivestimenti interni) che collega e fornisce una identità compiuta a ogni episodio spaziale. Sinuosa e dinamica, questa “pelle” si estende oltre le fondazioni di cemento, si piega e si fonde con la sua epidermide esterna per poi ripiegarsi nuovamente e trasformarsi in elemento connettivo del paesaggio interno. Lo fa in modo indipendente dalla struttura interna su cui si appoggia. L’edificio è infatti racchiuso da un telaio spaziale in acciaio a forma libera (progettato e prodotto in Germania) che ingloba, insieme al sistema a facciata continua in vetro, gli elementi di sostegno verticale, invisibili all’interno. Nello spazio tridimensionale così definito, la spina dell’intervento è l’entrata monumentale, oltre la piazza esterna dal cemento bianco, snodo di accesso alle principali aree dell’edificio: piano terra con lobby d’ingresso e sala convegni e concerti (1.000 posti) rivestita in legno di quercia, sul lato sud; museo, biblioteca e spazi espositivi organizzati su otto livelli, a nord. La continuità di forme, materiali e colori e il riflesso della luce accentuano la sensazione di un’assenza di punti di riferimento. Perché i pavimenti bianchi che proseguono in muri e soffitti total white definiscono una gravitazionalità sospesa, fatta di flussi e sequenze spaziali liquide, dove i vuoti diventano porzioni intrinseche e scorci, prospettive e punti di fuga differenti, da ogni angolo si guardi.