Sul lago di Garda sta nascendo un bike hostel speciale, che da bene confiscato alla mafia si trasforma in un progetto di design e architettura sociale

“Quando si deve ristrutturare una villa di solito si parte con gli interventi importanti, non si pensa ad arredarla. Noi abbiamo fatto esattamente il contrario”. Lisa Ceravolo ha una laurea in architettura ma lavora come psicomotricista ed educatrice per la cooperativa sociale Hermete, che progetta servizi socio-educativi, ludici e culturali innovativi nella zona di Verona. Nel progetto che sta portando alla nascita del Gabanel, un bike hostel che è soprattutto un progetto sociale, ha messo mano ai classici del design impegnato. “Per mettere subito al lavoro i ragazzi in difficoltà che seguiamo, abbiamo preso il manuale di autoprogettazione di Enzo Mari e costruito a mano sedie, armadi, letti e tavoli. Ora stiamo ultimando il cantiere per inaugurare. Volevamo cambiare il segno a un luogo con una storia difficile e trasformarlo in uno spazio di rinascita, in un progetto educativo dove si impara, si cresce e si sta insieme”. 

Un luogo dove si arriva, si rimane e poi si parte

Gabanel nasce da un progetto di riconversione architettonica di un bene confiscato alla mafia. Lo sta mettendo in piedi, chiodo su chiodo, un gruppo di adolescenti, insieme a due progettisti illuminati e a una squadra affiatata di educatori, grazie a un progetto di inserimento lavorativo, che li vedrà protagonisti anche nella gestione. Il suo nome viene dalla contrada Gabanel di Bussolengo, un paese a pochi chilometri da Verona, nella pianura racchiusa tra l’Adige e il lago di Garda, a ridosso di un percorso cicloturistico. Nel 2018 è stato dato in comodato d’uso alla cooperativa perché gli restituisse dignità e valore, e perché lo ripensasse come un bene utile per tutta la comunità locale. “Gabanel è un luogo dove si arriva, si rimane e poi si parte. Questo vale, in senso stretto, per i ciclisti e i turisti che ospiteremo: saranno i consumatori attivi, in quanto fruitori di un processo virtuoso di design sociale, così come lo intendeva Mari. Ma la ripartenza è anche metaforica, per i ragazzi Neet che mettiamo al lavoro, che hanno storie di disagio e rischiano di abbandonare la scuola”, dice Simone Perina, presidente della cooperativa Hermete. “Abbiamo unito i valori della cooperativa al design thinking, perché se costruisci qualcosa con le tue mani, lo senti subito tuo, ti senti protagonista del progetto”. 

Open source

Nell’aprile del 2019 adolescenti ed educatori hanno svuotato la casa e hanno iniziato a costruire gli arredi, dopo avere conosciuto la figura di Mari attraverso i libri e i racconti di Lisa Ceravolo. “Non si è trattato solo di mettere insieme chiodi e assi, era importante farglielo scoprire come figura rivoluzionaria”, dice Ceravolo.

Era proprio Mari che nel ’72 aveva pubblicato i disegni e, in segno di protesta, li aveva messi a disposizione di tutti perché fossero personalizzati. Aveva persino chiesto di inviare i progetti riadattati nel suo studio e, neanche a dirlo, ne erano arrivati migliaia. “Ci sta molto a cuore il processo di open source che era alla base del suo lavoro, che poi è l’idea di Hermete, avere un progetto che funziona e metterlo a disposizione degli altri”, dice Perina, “lo faremo con il letto a castello che ci siamo inventati, che non era previsto nei suoi disegni”. La serie di Mari, in principio, era nata da un fallimento. De Padova gli aveva chiesto di progettare un divano letto, che sebbene fosse piaciuto, non era stato messo in produzione. Si chiamava Day Night ed era molto semplice ed efficiente, in un’epoca in cui l’arredo aveva elementi ricchi e ridondanti. Lo produsse Driade, ma con scarso successo. Per questo Mari si indignò, spiegando che il divano non era abbastanza costoso per essere ostentato nelle case della borghesia e non veniva capito nemmeno dai suoi amici. “Le persone capiscono il prosciutto e il vino, ma non la forma”, diceva. E nel volume Autoprogettazione, ristampato da Corraini nel 2002 si chiedeva, con tono provocatorio: “Se le persone facessero delle cose con le loro mani, un oggetto, un vaso da fiori, una sedia, una scarpa, forse starebbero più attente e migliorerebbero il loro gusto?”.

Imparare facendo

“Bisogna che i ragazzi acquisiscano competenze, si sblocchino e inizino entrare nel mondo del lavoro in modo responsabile. Così si progetta anche la loro autostima, per poi accompagnarli nel percorso di orientamento e inserimento lavorativo in base alle proprie propensioni”, dice Perini. Al Gabanel si lavora per sviluppare l’imprenditività negli adolescenti, che non è sinonimo di imprenditorialità, ma vuol dire affrontare le situazioni con coraggio, mettersi in gioco, avere fiducia nelle proprie idee e saperle tradurre in progetti. Significa essere proattivi, ma non per forza di imprese proprie. E avere un progetto di sé stessi, prima di tutto. Il bike hostel sarà gestito da quelli che chiamano “mastri”, perché l’idea è quella della bottega artigiana in cui si va per imparare, mentre la gestione operativa sarà affidata a una guida ambientale. Gli “alimentatori” penseranno agli ospiti, invece il “fabbro” si occuperà della manutenzione del verde e della piscina, affiancato da un giovane, e da un bagnino, in formazione. “In attesa di inaugurare, nel mese di luglio, durante i weekend apriremo gli spazi alla comunità. Faremo delle attività di autocostruzione e faremo insieme un grande murales nel seminterrato”, prosegue Perini, “che nasce come spazio esperienziale informale, ospiteremo i residenziali di piccole aziende. Ci sono i tavoli rotondi, le strumentazioni elettroniche, ma c’è anche un tornio”. 

Design for all

Gabanel è un progetto speciale, anche nella modalità di costruzione, perché di solito si cerca di preservare o modificare la preesistenza, invece qui la volontà era di annullare totalmente il suo passato negativo di struttura confiscata alla mafia, essendo un progetto a spiccata funzione sociale. “Per questo abbiamo creato una boiserie che corre lungo il perimetro dell’edificio, crea uno stacco simbolico dall’architettura precedente, una nuova pelle, una nuova vita”, dice l’architetto Marco Grigoletti, che insieme a Simone Salvaro guida Blocco.18, lo studio che ha seguito la ristrutturazione insieme a Lisa Ceravolo. “Negli spazi comuni, invece, siamo partiti dal concetto della struttura, di vuoto e di pieno, l’ossessione di Enzo Mari e abbiamo eliminato tutti gli spazi di passaggio, a favore di quelli di relazione”, prosegue Grigoletti. “Il Gabanel è un progetto che viene dal profondo, nasce proprio dal cuore”.