Per raccontare la nuova sede di Dolce&Gabbana a Milano, inedita ad oggi, abbiamo chiesto a due dei quattro PIUARCH (ex allievi di Gregotti, insieme dal 1996 e vincitori, tra gli altri, del Premio Architetto Italiano 2013, promosso dal Consiglio Nazionale degli Architetti), cosa significa fare architettura nella ‘città che sale’, e costruire un edificio contemporaneo (2009-2012) in un contesto storico che declinava già una forte preesistenza da loro ristrutturata nel 2005, il Metropol.

Germán Fuenmayor: “Ha significato, ancora una volta, confrontarsi con il contesto e con l’innesto nel paesaggio urbano di Porta Venezia, dove in dieci anni abbiamo costruito per gli stessi committenti cinque edifici, e, nella fattispecie, di viale Piave dove, nel 2005, avevamo ristrutturato l’edificio dell’ex cinema Metropol, oggi teatro delle sfilate degli stilisti e ora adiacente al nuovo edificio-uffici”.

Francesco Fresa: “Ma, in questo modo, partecipare anche alla creazione di una sorta di ‘cittadella del lavoro’ che riorganizza il tutto in un complesso urbano, ottimizzandone l’efficienza. Accanto all’edificio-immagine dedicato al prodotto finito c’è infatti ora quello degli uffici tecnici e stile, dove si pensa, si disegna, si prototipa. La filiera della catena di montaggio riunita: dalla ‘bottega’ al teatro”.

La facciata concepita come ‘pelle di interconnessione’ tra interno ed esterno, rigore e sperimentazione, è un elemento caratterizzante nei vostri progetti. Possiamo parlare di un nuovo landmark urbano?

G.F: “Riparliamo di contesto. In Viale Piave ci sono i tram con i binari, una memoria collettiva della città. Il loro movimento è diventato la prima fonte di ispirazione nell’applicazione di un principio di astrazionismo geometrico che, sviluppando riferimenti di arte cinetica, restituisce una percezione dinamica del fronte-strada, mutevole a seconda della posizione dello spettatore, anche in relazione alla qualità della luce. Nel caso del Metropol avevamo guardato nello specifico all’opera Physichromie (1966) dell’artista venezuelano Carlos Cruz-Diez, che richiamano le lamelle frangisole verticali ad elica che caratterizzano la facciata con un serrato ritmo di vuoti e pieni. Per quest’altro edificio ci siamo invece fatti guidare dal lavoro di Alejandro Otero, optando per una composizione più distesa di telai quadrati che scandiscono il prospetto ex novo con un sistema di brise soleil sovrapposti in modo sfalsato e realizzati in acciaio inox (come le lamelle del teatro confinante) e vetro, alternato in un pattern di superfici trasparenti o sui toni del grigio, in corrispondenza dei telai apribili e di quelli fissi. Concettualmente, tutto il complesso vive delle contaminazioni dei movimenti estetici della metà del Novecento”.

F.F: “In realtà, la nuova facciata è quasi anonima. Leggera e trasparente, passa inosservata, sembra da sempre lì, integrata con il contesto. Perché veicola l’idea di un’architettura silenziosa, priva di effetti speciali, molto milanese: modello di riferimento sono stati i migliori edifici costruiti in città nei decenni Cinquanta e Sessanta”. Il manufatto preesistente è stato però inteso anche come una risorsa: declina i temi del riuso e dell’innesto volumetrico. Con quali modalità compositive?

G.F: “La conformazione lunga e stretta del lotto e la volumetria dell’edificio esistente ci hanno suggerito l’apertura verso il lato sud dei suoi tre corpi di fabbrica paralleli e la creazione di una grande e profonda corte interna di collegamento su cui ora si affacciano tutti: quello prospiciente viale Piave e quello più arretrato con sette piani fuori terra; il centrale, relazionato al resto da un sistema di scale e passerelle, che si sviluppa invece su tre piani e risulta sospeso su un volume di trait d’union tra i tre, ortogonale rispetto a viale Piave e articolato su quattro livelli. Questa soluzione ci ha consentito di portare luce negli spazi di lavoro, organizzati in open space dal layout essenziale – uffici, aree di rappresentanza e di coordinamento articolate nei vari piani; sale comuni e riunioni distribuite invece al piano terra, aperte verso la corte – e di sottolineare altresì un ulteriore rimando al contesto: la reinterpretazione della tipologia milanese a corte, con un linguaggio contemporaneo che definisce nuovi sguardi”.

La corte chiusa è una cifra comune a molti vostri progetti. Nell’edificio per uffici a San Pietroburgo ce ne sono ben quattro. Nasce come fatto funzionale o qui c’è anche la volontà di riproporre un modello di riferimento privilegiato dell’architettura mediterranea?

G.F: “Nel gioco compositivo dei volumi e degli spazi, la corte è nata soprattutto come bisogno di mettere in relazione interno ed esterno, configurando dei pozzi di luce naturale ottimali alle attività quotidiane”.

La luce resta un tema molto importante…

G.F: “Sicuro. Diventa un elemento scenografico soprattutto in rapporto alla facciata-filtro, che diffonde quella naturale all’interno dell’edificio in modo soft con ‘sensazioni’ diverse nell’arco della giornata, mentre si trasfigura in un’enorme lanterna col buio, quando la luce artificiale interna, ne restituisce le vibrazioni luminose e cromatiche”.

Ci sono degli elementi che più di altri partecipano in modo forte a comunicare l’immagine della Maison?

F.F: “L’uso della basaltina, pietra scura di origine vulcanica, posata al piano terra sia nella corte che negli ambienti interni. Come in altri progetti, richiama un’esplicita idea di mediterraneità. Poi il trattamento degli spazi verdi sulle terrazze, con agrumi, palme e agavi, vegetazione tipica del Sud. Ovunque comunque c’è la cura del dettaglio, sartoriale, espressione di un lusso autentico e condivisibile con Domenico Dolce e Stefano Gabbana”.

G.F: “In un intervento di riduzione e sottrazione, anche i soffitti in cemento a vista, casserato con doghe di legno, e le travi integrate con gli impianti di condizionamento e illuminazione, hanno infatti una forza caratterizzante che ne cela la complessità tecnica”.

 

foto di Andrea Martiradonna – testo di Antonella Boisi

 

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Una suggestiva ripresa dal basso del corpo scale interno con vista sul cielo. Progetto illuminotecnico di Rossi Bianchi Lighting Design.
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Il prospetto ex novo su viale Piave è scandito da un sistema di brise soleil composto in moduli quadrati di 3.60 metri ciascuno sovrapposti in modo sfalsato, realizzati in acciaio inox e vetro alternato in un pattern di superfici trasparenti o sui toni del grigio, in corrispondenza dei telai apribili e di quelli fissi.
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Su viale Piave, la continuità visiva tra i fronti del nuovo quartier generale e dell’adiacente ex cinema Metropol è sottolineata dall’uso dell’acciaio inox e dall’allineamento dello zoccolo su cui poggiano gli edifici.
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Dall’ingresso si percepisce il cannocchiale visivo che mette in relazione la profondità della corte.
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Le facciate interne sulla corte, pavimentata in basaltina, riprendono il motivo a moduli quadrati, realizzati però con pannelli di GRC-Glass Reinforced Concrete corredati di serramenti vetrati, dal mood più austero ed introverso.
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L’area della lobby d’ingresso, arredata dallo studio di Ferruccio Laviani, come tutti gli spazi interni, riporta, nella dimensione cruda dell’involucro edilizio, accenti più scenografici.
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Disegno assonometrico dei tre fabbricati paralleli e del fronte strada: 10.000 mq costruiti in 3 anni (2009-2012). Il progetto ha previsto anche tre piani interrati, di cui due destinati a parcheggio.
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La scala interna dello spazio polivalente Metropol ripresa dal basso, con l’effetto dinamico e illusorio creato dal gioco di specchi. L’edificio anni Quaranta si sviluppa su quattro piani fuori terra e un seminterrato. Totalmente ristrutturato e ampliato, ospita una sala per eventi e sfilate, alcuni spazi di rappresentanza e di appoggio per i set fotografici.
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Metropol. La sala principale, allestita con una passerella rimovibile, due gradinate laterali smontabili e una piattaforma elevatrice per le scenografie si caratterizza per il colore nero, riproposto nei materiali esterni e nelle finiture interne.
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La facciata su viale Piave: il rivestimento, realizzato con lamelle frangisole di acciaio lucido che si torcono lungo l’asse verticale, dona un effetto cinetico al prospetto.