Negli anni Trenta, Lomas de Chapultepec – o Chapultepec Heights come era originariamente chiamata, prima che un uomo politico ferventemente nazionalista proibisse l’uso di nomi stranieri per gli sviluppi urbani – è stata progettata come un’elegante periferia sul lato occidentale di Città del Messico, costellata da enormi ville in stile neocoloniale o tipo hacienda con facciate a stucchi elaborati e pareti spesse, incisioni su pietra, tetti di paglia e sinuose scale.

Questa zona, sede delle dimore delle élite politiche e finanziarie messicane, si è anche liberamente ispirata ai principi della “Città Giardino”: grandi appezzamenti di terreno, giardini perfettamente curati e imponenti boulevard serpeggianti. Basandosi sull’incredibile successo di questo esclusivo sviluppo – e sul potere del suo nome suggestivo – all’inizio degli anni Cinquanta, Las Lomas (che in spagnolo vuol dire “Le Colline”), ha cominciato a riversarsi anche nei quartieri limitrofi.

Pur conservando la sua immagine romantica e maestosa, attraverso i nomi delle strade e le argomentazioni di vendita, all’epoca l’area era abitata da gente più moderna e variegata, sempre facoltosa, ma meno ispirata allo stile Colonial Californiano e più alla nuova California, splendida ed eccitante, delle Case Study Houses.

Uno degli architetti più noti e prolifici in grado di soddisfare questa nuova generazione di committenti è stato Francisco Artigas, che si è fatto un nome costruendo case nel difficile quartiere a sud di El Pedregal, insieme ad alcuni degli architetti messicani più importanti dell’epoca, tra cui Luis Barragán.

Tuttavia, a differenza di Barragán, Artigas credeva fermamente nella chiarezza cristallina dell’International Style e non si curava molto degli scontati riferimenti all’architettura messicana vernacolare – i muri spessi, i colori brillanti, le finiture rustiche – che molti suoi contemporanei adottavano come varianti regionali del modernismo.

Se le case di Barragán sono pacate e introverse, quelle di Artigas sono risolute, leggere, estroverse e distaccate. In realtà, anche se poche persone se ne rendono conto oggi, Barragán e i suoi adepti sono stati l’eccezione alla regola più che la norma di quei tempi.

Invece, Artigas ha rappresentato alla perfezione lo standard aureo dello stile di vita moderno messicano, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, e le sue opere sono spuntate un po’ dappertutto nei quartieri chic, da Città del Messico ad Acapulco e persino negli Stati Uniti, fatto piuttosto raro ai tempi per un architetto messicano.

Stranamente, nonostante la sua grande popolarità e prolificità, già nel 1999, anno della sua scomparsa, le opere di Francisco Artigas per qualche oscuro motivo erano cadute in disgrazia ed erano come finite nell’indifferenza, se non nell’oblio.

Molte delle sue case più belle sono state demolite con noncuranza oppure modificate a tal punto da risultare irriconoscibili. Persino il suo capolavoro, Casa Gómez, una fulgida coppia di scatole di vetro delicatamente montate su palafitte ricavate da lastre di lava pietrificata – una vera e propria benedizione dell’architettura moderna degli anni Cinquanta – è stata tragicamente demolita nel 2004. (A tale proposito, si noti che anche la vicina e contemporanea Casa Prieto, dimora di Luis Barragán, avrebbe potuto subire lo stesso destino, se non fosse stato per il recente salvataggio e lo scrupoloso restauro sostenuto dal collezionista d’arte César Cervantes e dall’architetto Jorge Covarrubias).

Erano trascorsi soltanto un paio di anni, quando Fernando Romero, uno degli architetti più noti e attivi in Messico oggi, passò da un viale alberato a Lomas, il Boulevard de los Virreyes – il viale dei Viceré – e la sua attenzione fu attirata da un cartello con la scritta “For sale”. Bussò alla porta e si inoltrò su per le scale di pietra vulcanica fino al giardino di una casa familiare che ben presto sarebbe diventata la sua casa.

“L’avevo già visitata prima, in occasione di un evento sociale”, ricorda. “Quando ho scoperto che era in vendita sono andato a vederla e mi ha conquistato un’altra volta. All’inizio pensavo che sarebbe stata un buon spazio per l’ufficio, ma alla fine io e mia moglie abbiamo deciso di farne la nostra casa”.

Romero ci teneva anche a preservare una proprietà davvero unica. “Mi si offriva l’opportunità di salvare e restaurare un’opera importante del modernismo messicano. Adoro il fatto che questa casa sia perfettamente in linea con l’idea di una macchina per abitare: un edificio comodo, funzionale, senza pretese – in pratica invisibile”.

La casa di Virreyes, originariamente costruita nel 1955, presenta le caratteristiche delle migliori opere di Artigas: una struttura chiara, una straordinaria cura del dettaglio, finiture di pregio e generosi spazi aperti che fungono agevolmente da ponte tra l’esterno e l’interno, il pubblico e il privato. Tuttavia, quando Romero ha acquisito la proprietà nel 2006, era stata utilizzata come showroom per mobili e cucine, pertanto riempita di pareti divisorie di vetro satinato e altre modifiche che offuscavano la visione originaria della casa.

Il suo approccio si è tradotto nel ripulire e sgomberare, per recuperare la spaziosità del piano originario e ripristinarne i valori, come gli eleganti schermi di granito nero lucido fissati a sottili colonne tubolari che organizzano e scandiscono la zona giorno. Pur essendo più in linea con l’ordine, la razionalità e le ambizioni universali (a volte piuttosto schive) del modernismo, Artigas non era un architetto fatto con lo stampino.

“Le opere di Francisco Artigas facevano parte di una corrente internazionale di architetti che lavoravano in contesti di crescita rapida e di modernizzazione e, negli anni Cinquanta e Sessanta, il Messico era proprio uno di questi posti”, afferma Romero. “Ciò che trovo interessante nel suo lavoro è il modo in cui il modernismo standard dell’International Style viene adattato ai vari contesti. Qui in Messico il bel tempo è proprio adatto per questo ideale romantico di trasparenze, cortine vetrate e continuità tra gli esterni e gli interni. Questo ha consentito ad Artigas di progettare alcune case moderne davvero straordinarie”.

La casa di Virreyes è veramente unica. Occupando solo un terzo circa dell’appezzamento di terreno disponibile, invece di adottare un pianta lineare, come la maggior parte di quelle dell’epoca, ha una forma a L che abbraccia il patio esterno. Una scala di pietra vulcanica sale dal garage al giardino, alla piscina riflettente e al pianterreno della casa, che organizza le zone formali per sala da pranzo/intrattenimento, nonché il soggiorno e lo studio privato.

La sensazione complessiva è quella di pulizia, ma anche di calore. Il patio verde e lussureggiante a doppia altezza incoronato da un lucernario inonda di luce entrambi i piani della casa per tutto il giorno, rendendolo il punto focale della vita interna. Le colonne di acciaio minimali, le finestre a tutta altezza e i pavimenti di marmo color crema-caramello sono edulcorati e vestiti da ampi tappeti e tendaggi.

Sparsi per tutta la casa, si rincorrono gli accesi tocchi di colore dei migliori pezzi della collezione di design del XX e XXI secolo, Archivo, di Romero e della moglie Soumaya Slim. I mobili e gli oggetti della collezione, che spaziano dall’artigianato popolare messicano ai classici moderni fino ad alcuni pezzi unici mozzafiato, contribuiscono a enfatizzare la qualità atemporale della casa. Gli oggetti vengono periodicamente aggiornati e risistemati da designer ospiti e curatori, in un affascinante gioco di equilibrio tra conservazione, messa in scena e uso quotidiano.

“Se non avessimo figli, penso che la casa potrebbe essere molto più statica, preservata più rigorosamente”, ammette Romero. “Ma con cinque figli, la casa vive di vita propria. Cambia continuamente. Abbiamo due punti forti: i figli e la loro iperattività e l’ambizione di conservare – ed esporre – il design”. E’ ben noto che la maggior parte degli architetti sono ossessionati dall’idea di costruirsi una propria casa, di vivere in un’estensione del proprio studio. Ma Fernando Romero non ha fretta. “Un giorno o l’altro mi piacerebbe costruire una casa tutta mia, ma a dire la verità, sono perfettamente felice dove sto adesso”.

Foto di Yannick Wegner/courtesy Studio Romero – Testo di Mario Ballesteros

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Costruita originariamente nel 1955 su progetto di Francisco Artigas e restaurata da Fernando Romero nel 2006, casa Virreyes ha una forma a L che abbraccia un patio esterno.
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Minimali colonne in acciaio, finestre a tutta altezza e pavimenti in marmo si ammorbidiscono grazie ad ampi tappeti e tendaggi.
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Parte della collezione di design (mobili e oggetti) Archivo di Romero trova posto nel palcoscenico domestico della casa.
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Parte della collezione di design (mobili e oggetti) Archivo di Romero trova posto nel palcoscenico domestico della casa.
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La messa in scena degli ambienti viene periodicamente aggiornata da guest designer e curatori, in un suggestivo gioco di equilibri tra conservazione, esposizione e utilizzo quotidiano.
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Vista del salone.
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Fernando Romero (classe 1971) è un architetto messicano, urbanista, designer e fondatore dello studio di architettura e design FR-EE Fernando Romero EnterprisE con uffici a Città del Messico e New York. Dopo gli studi in architettura a Città del Messico, collabora con lo studio OMA di Rem Koolhaas, partecipando al progetto per la Casa da Música a Porto, Portogallo. Tra i molteplici progetti dello studio Fr-EE ne ricordiamo invece due per tutti: il pluripremiato Soumaya Museum a Città del Messico e il nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico in collaborazione con Foster+Partners, in corso di realizzazione.
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Il clima mite di Città del Messico consente generose transizioni tra spazi interni ed esterni.