Da quando il mondo è entrato nell’epoca digitale sono diventati sempre più frequenti i richiami al valore della concretezza ‘analogica’ del progetto. La grana materica, le vibrazioni dei sensi, il sapore tangibile del prodotto hanno assunto una centralità sempre maggiore nella narrazione contemporanea. Occorre però chiedersi se questa insistenza sull’importanza della fisicità degli oggetti, puntualmente contrapposta alla freddezza del digitale, non sia dovuta a un’emorragia sottocutanea che, surrettiziamente ma inesorabilmente, sta drenando dal corpo del prodotto il tradizionale valore oggettuale.
Il dubbio è lecito: la risposta, tuttavia, è negativa. La centralità della dimensione fisica dell’arredo non sta affatto venendo meno. Vero è che l’ubriacatura da digitale ha portato negli ultimi anni alla rincorsa dell’ultima trovata neo-tech. Ma mentre le generazioni predigitali erano impegnate a metabolizzare un’evoluzione tecnologica che non avrebbe risparmiato nessun aspetto della vita quotidiana, la prima vera generazione di nativi digitali cresceva fino a diventare uno specifico target di riferimento, che si presenta oggi con un proprio profilo psicografico e, più prosaicamente, con un proprio potere d’acquisto. Soprattutto, quello che per le generazioni predigitali costituiva un punto d’arrivo – la convergenza compiuta tra reale e digitale – rappresenta per i più giovani un punto di partenza, una situazione di fatto sulla quale crescere e alimentare la propria idea di futuro.