SPECIALE EXPO
L’unico sponsorizzato interamente da privati, il padiglione USA si ispira nel concept e nella forma essenziale “alle architetture rurali del Midwest” come racconta il suo autore, James Biber, un percorso ventennale con lo studio Pentagram, prima della libera professione.
“Non c’è oggi senza passato, così la nostra riflessione sul tema agricoltura e ricerca scientifica si è rapportata a una struttura basic in acciaio e legno di recupero, composta con piani lineari, flessibili e aperti, segnata dalla passerella a scorrimento veloce, dalla copertura vetrata della terrazza (realizzata con pannelli SmartGlass) oscurabile a comando, dall’orto verticale mobile che riveste l’intera facciata laterale. Sono questi anche gli elementi principali che stiamo pensando a come riutilizzare nel dopo Expo, fra sei mesi, perché questo resta il nodo fondamentale.
Verranno ricollocati in una scuola o in un parco? Impiegati per altri utilizzi, nella costruzione di un nuovo edificio? Vedremo cosa succederà… Certo, potenzialmente questa esposizione universale racchiude il modello di una smart city del futuro, ben integrata nel quadro delle infrastrutture viarie e ferroviarie, amplificate dalla nuova linea metropolitana extraurbana.
L’unico mio timore è che la gara al padiglione più bello costruito (molto efficaci sul piano narrativo quelli di Austria, Cile, Russia, Bahrein, Polonia, Brasile, Regno Unito, Santa Sede) per attrarre turisti e business, rifletta la medesima competitività ‘fieristica’ della città nella sfida alla realizzazione del palazzo più iconico; però disfunzionale, perché alieno alla vita dell’uomo in termini di costruzione di luoghi e di partecipazione sociale”.
di Antonella Boisi – foto di Saverio Lombardi Vallauri