La villa riprogettata da Annabel Karim Kassar ripropone l’atmosfera dorata che si respirava in Costa Azzurra nei primi anni Sessanta. Con il dialogo serrato tra interni ed esterni di The Party, capolavoro in pellicola di Blake Edwards
Progetto di Annabel Karim Kassar Architects and Interiors
Project team Annabel Karim Kassar, Rabih Zeidan, Violaine Jeantet, Christophe Hascoët, Caï-Light, Alain Pin
Foto courtesy di Colombe Clier – Testo di Lia Ferrari
I progetti di Annabel Karim Kassar sono come un signature cocktail con l’ingrediente segreto: ne apprezzi il retrogusto ma non riesci a capire esattamente cosa sia. È così anche per questa villa bianca in Costa Azzurra, nei dintorni di Ramatuelle. Costruita nei primi anni Settanta – e già all’epoca un’aliena rispetto alle altre in stile provenzale – dopo la cura Kassar si è trasformata in un insieme di ambienti, sequenze e svolte improvvise che richiama la dimensione cinematografica.
L’ispirazione, in effetti, viene da un capolavoro in pellicola di Blake Edwards, Hollywood Party, in lingua originale The Party, dove Peter Sellers, durante una festa, mette involontariamente a soqquadro la mansion hollywoodiana di un produttore in un crescendo di equivoci e goffaggini esilaranti.
La scenografia del film, del messicano Fernando Carrere, era una rilettura caricaturale del modernismo californiano alla John Lautner, ma quello che ha ripreso Kassar è soprattutto il rapporto permeabile tra esterni e interni della casa (ricostruita all’interno degli studios), che fin dalle prime inquadrature si rivela un formidabile motore narrativo.
A Ramatuelle è stata ricreata una situazione simile: il living al piano terra raddoppia le dimensioni e si espande all’esterno, configurandosi come un salone-giardino a misura di ipotetiche grandi feste. Di Hollywood Party ci sono i filodendri, la piscina che si allunga fino quasi all’interno, le pareti di vetro completamente scorrevoli e l’atmosfera dorata che si respirava negli anni Settanta, in California come in Costa Azzurra.
Kassar dice che il fulcro del progetto non è tanto la villa in sé quanto la sua comunione con il paesaggio. Una caratteristica che ha voluto rafforzare: ha ridisegnato il verde, ha fatto mettere a dimora alberi di ulivo che di notte si accendono di piccole luci, migliorato le prospettive, lasciato libere di crescere sul tetto erba e graminacee.
La natura irrompe anche all’interno, rimarcando la continuità tra dentro e fuori: una piccola giungla di filodendri colonizza il soggiorno, tra piante vere e piante stampate sui cuscini del divano, e il bianco delle pareti si interrompe per lasciare il campo a sorprendenti blocchi di roccia. Sono porzioni della scogliera su cui è costruita la villa. Un tempo nascoste dietro il muro portante del soggiorno, riaffiorano per disegnare otto ‘quadri minerali’, otto piccoli giardini d’interno.
Nonostante l’obiettivo fosse un radicale cambio di identità, si è scelto di conservare e valorizzare gli elementi di interesse. Sono quindi stati preservati i pavimenti originali in terracotta, i bagni in pietra lavica, la stondatura dei soffitti e la torre d’illuminazione che sale come un traliccio dell’alta tensione lungo il vano di una delle due scale – bianchissima, in gesso, a spirale, in perfetto contrasto con l’altra in acciaio, con i gradini giallo fluo, disegnata su misura. Il gioco degli opposti, nelle architetture di Kassar, è un motivo ricorrente.
Da vera cosmopolita (ha studi a Dubai, Londra e Beirut, città di cui dagli anni Novanta partecipa attivamente alla rigenerazione), nei suoi lavori ha l’abitudine di far dialogare mondi lontani. In questo caso, avvicina modernismo e Arts and Crafts, francesismi e note mediorientali, materiali industriali e pelle finemente lavorata, ceramiche e pietra lavica.
Il tutto non si riduce alla somma delle parti: c’è appunto quell’ingrediente misterioso, la formula inafferrabile, che distingue gli originali dagli esercizi di stile.