progetto di Daniel Libeskind Studio
foto di Bitter Bredt, Hufton+Crow
testo di Matteo Vercelloni

Per cogliere il senso del progetto vincitore del concorso bandito nel 2001 per l’ampliamento del Military History Museum di Dresda (20.000 mq di esposizione museale complessivi), aggiudicato allo Studio Daniel Libeskind, occorre forse abbandonare gli strumenti critici propri alla disciplina architettonica e aprirsi ad un’interpretazione che accolga nel suo insieme il mondo delle arti visive e della scultura in particolare.

Alla scultura appartiene il grande cuneo metallico, la punta di una grande freccia che, dalle spalle del museo, ne attraversa il corpo principale, sovrapponendosi e segnando in modo inequivocabile la facciata neoclassica dell’antico arsenale (1876), già museo della guerra e delle forze militari inizialmente sassoni, poi naziste, sovietiche e infine della Germania dell’Est. L’innesto di Libeskind ricorda per analogia alcune opere di Claes Oldenburg, il gesto pop, ma qui filtrato e declinato in chiave simbolica quale segno violento e drammatico di ogni conflitto, metafora volumetrica della distruzione che qui si trasforma in elemento complementare all’edificio su sui si appoggia e a cui si integra anche a livello degli spazi interni. L’elemento monolitico rivela la propria leggerezza nelle ore serali, con la luce che ne illumina gli interni e fuoriesce dalla texture della rete metallica di rivestimento rivelando, allo stesso tempo, la trama strutturale complessiva. Il concetto di counterpoint, come Libeskind ha intitolato la recente conferenza organizzata da INTERNI durante il FuoriSalone 2012, si esplicita qui come salto di scala e come evidente contrappunto compositivo, che fa dell’atto scultoreo il tema di ampliamento architettonico degli spazi museali. Ma se in altri progetti come il recente Crystal Mall del CityCenter a Las Vegas il carattere dinamico del suo approccio compositivo si risolve nella scena dell’edificio in sé, simulando in sintesi progettuale l’implosione della costruzione e il suo rinascere sulle proprie macerie scintillanti, qui a Dresda Libeskind si deve necessariamente confrontare con la storia. Questa è rappresentata non solo dal tema del museo, ma dall’edificio storico che, assunto come matrice di riferimento, è interrotto dal nuovo innesto, un corpo di cinque piani di vetro e acciaio che come una prua inclinata di una corazzata arenata nell’entroterra (ancora memoria della famosa portaerei di Hans Hollein fluttuante nei prati di grano) sfonda la facciata dell’edificio in modo chirurgico, senza produrre rovine, ma valorizzando il suo incastro perfetto. Il dirompente effetto scenico di una forza dinamica arrestata nel momento d’impatto, evidenzia allo stesso tempo l’immobilismo dell’edificio ottocentesco e il carattere classificatorio delle collezioni museali che il nuovo ampliamento intende rivitalizzare, con spazi ad andamento sincopato e stridente destinati a mostre temporanee e a collezioni permanenti. Il conflitto tra vecchio e nuovo prosegue negli interni dove le pareti oblique di cemento a vista tagliano le pareti dell’antica struttura e suoi soffitti decorati, costruendo una scena espressionista con tagli di luce radenti, traiettorie che seguono le dinamiche dei frammenti esposti, come la diagonale che asseconda la pioggia di proiettili e bombe sospese a soffitto, o come la superficie dove è fissato l’elicottero in picchiata che si affianca ad un percorso sospeso. Un paesaggio museale che attiva un confronto-scontro con la storia e con il luogo costruito per conservare gli strumenti del conflitto: l’arsenale di Dresda dalla severa e candida figura neoclassica sfregiato con studiata regia da una nuova figura urbana.