Da lassù, a 27 metri di altezza, lo sguardo si perde nell’infinita distesa di alberi e il fiume appare un nastro d’argento che si snoda nella foresta. La torre-vedetta, una doppia elica in acciaio e alluminio che s’innalza al confine fra Austria e Slovenia, nella Stiria meridionale, non è però semplicemente un belvedere per ammirare le bellezze naturali di questa area.

Percorrendo i 168 gradini che portano in cima, lungo due differenti rampe che salgono e scendono avvitandosi come scale a chiocciola, il visitatore può vivere un’esperienza di totale vicinanza al bosco e coglierne i segreti più nascosti.

Il sentiero circolare, infatti, parte dal sottobosco e, attraversando i diversi livelli dell’ecosistema della foresta, conduce oltre la cima degli alberi (quasi si possono toccare i rami), per poi riscendere in un percorso inverso che consente di osservare la natura da punti di vista sempre nuovi.

Fortemente voluta dalla Styrian Nature and Biodiversity Conservation Union, la Mur Tower – si chiama così dal nome del fiume che  scorre nell’ampia riserva naturale austriaca di Gosdorf – è stata  progettata dallo studio Terrain: architecture and landscape architecture, alias Klaus K. Loenhart.

Accademico e architetto, firma emergente nel panorama dell’architettura internazionale, il progettista austriaco aveva già sorpreso tutti in occasione di Milano Expo 2015, realizzando per il suo Paese un padiglione assolutamente fuori dagli schemi: un bosco, capace di produrre aria pura ed energia elettrica.

In questa intervista esclusiva per Interni l’architetto Loenhart ci spiega perché, come recita lo slogan che apre l’homepage del suo sito, architettura e paesaggio sono inseparabili. Sempre.

Architetto, quando e come ha maturato questa convinzione?

Mentre studiavo negli Stati Uniti, a Cambridge (presso la Harvard Graduate School of Design, ndr) ho cominciato ad approfondite il rapporto fra architettura e ambiente, anche in funzione dei diversi contesti storici, geografici e, soprattutto, culturali nei quali si è sviluppato.

Vede, nel mondo orientale il concetto di ‘landscape’ è immediatamente legato a quello di architettura, da sempre. Non è così in Occidente: la nostra cultura vede il paesaggio come un oggetto, e, cioè, come un elemento passivo, incapace di svolgere un ruolo forte e indipendente. Bene, io ho voluto creare quella che chiamo la performance quality, e cioè la qualità che rende anche il paesaggio attivo, performante, capace, cioè, di innescare un rapporto dialettico e simbiotico con il costruito.

Paesaggio e architettura sono sullo stesso piano, dunque: secondo lei è questa la condizione indispensabile per promuovere un atteggiamento responsabile e virtuoso nei confronti dell’ambiente?

Sicuramente la crisi energetica e ambientale gioca un ruolo decisivo. Ma se nel passato, anche recente, ci siamo limitati a definire il problema  sulla base di numeri, studi e ricerche, oggi ne avvertiamo tutta la drammatica portata: abbiamo finalmente maturato la consapevolezza che ogni singola nostra azione (a maggior ragione tutto quello che costruiamo) ha delle dirette ripercussioni sull’ambiente.

Questo spostamento di pensiero – dalla semplice analisi di dati  a un reale coinvolgimento – può sicuramente modificare la percezione del paesaggio, incentivando un suo ruolo attivo e concreto anche in fase progettuale.

Io e il mio studio ci stiamo muovendo in questa direzione, e cioè trasformare l’urgenza ambientale in progetti che esplorano, mettendole in luce, le performance della natura.

È quanto abbiamo fatto con il progetto del Padiglione austriaco al recente Expo milanese: un bosco con una superficie fogliare di 43 mila quadrati si trasformava in una sorta di ‘air-factory’ capace di ripulire l’aria, producendo ossigeno e contemporaneamente assorbendo anitride carbonica. Un modello replicabile ‘enne’ volte all’interno di una grande città, capace di sfruttare le performance ‘intelligenti’ della natura per creare un sistema di climatizzazione eco e sostenibile.

Città o campagna: come cambia il suo modo di progettare in relazione al contesto?

In architettura non c’è differenza fra un ‘set’ urbano e un ‘set’ naturalistico. Cambia il linguaggio ma l’approccio è lo stesso. Per esempio, il Padiglione austriaco è un progetto urbano, anche se da un punto di vista formale si traduce in un bosco; e, ancora, la Mur Tower, un altro dei nostri recenti lavori (in queste pagine, ndr), è un landscape-project che si materializza in una struttura d’acciaio ‘intelligente’, un’architettura  capace di legare spazio, tempo, esperienza ed emozioni.

Un progetto che non passa inosservato…

Lo scopo dei nostri lavori è creare edifici che non siano separati dal paesaggio ma non siamo interessati a operazioni di mimesi come del resto dimostra la stessa Mur Tower. Noi progettiamo nel segno di una collaborazione fra edificio e natura, impegnandoci per rispettare al massimo il sito che ci accoglie.

Per esempio, quando abbiamo iniziato a lavorare nella vallata del fiume Mur, luogo di incontaminata bellezza, per costruire la torre-belvedere, abbiamo studiato i flussi d’aria, i venti dominanti, il clima, la luce: insomma tutte quelle caratteristiche paesaggistiche e meteorologiche con le quali il nuovo edificio deve convivere.

Anche nella scelta dei materiali abbiamo prestato grande attenzione: attraverso il riflesso della luce sulla struttura d’alluminio, la torre varia cromaticamente, passando dal bianco al blu, all’arancione: proprio come succede nella foresta circostante, che muta con il trascorre delle ore del giorno. Insomma l’architettura cambia con la natura, vive con e per essa.

Come si  raggiunge nel concreto questo obiettivo?

Con un approccio multidisciplinare. Problemi complessi possono solo essere risolti da un team che mette insieme know-how differenti. In futuro, in particolare, vedo sempre più importante la collaborazione fra architetti e meterologici,  perché il progetto è sempre più legato ai grandi cambiamenti climatici che il nostro pianeta sta conoscendo. Il clime-designer sicuramente potrà diventare una figura professionale importante per l’architettura del futuro…

E il passato, che ruolo gioca in tutto questo?

La lezione della storia è  sempre presente. Pensi che la Mur Tower è un omaggio al Castello di Graz, la straordinaria fortezza barocca voluta da Federico III d’Asburgo: io e Christoph (Mayr, partner dello studio Terrain e coautore del progetto, ndr) ci siamo ispirati alla celebre scala a doppia elica dell’edificio cinquecentesco dove il visitatore, salendo e scendendo in due rampe diverse, può vivere l’esperienza fantastica di incrociare lo spazio con il tempo. Ecco, c’è questa stessa idea dietro al nostro belvedere sul fiume Mur. Oggi, dunque, come ieri.

Foto di Marc Lins – Testo di Laura Ragazzola