Foto di Christian Richters e Rocco Casalucci
Testo di Laura Ragazzola e Olivia Cremascoli
Arte, fotografia, cinema, sperimentazione (si contano più di una ‘gallery’ e uno spettacolare auditorium per 410 persone). Ma anche gastronomia (a un ristorante si affianca una caffetteria), salute e innovazione sociale (ci sono un centro wellness e un nido d’infanzia pieno d’allegria).
Sono queste le eclettiche vocazioni del MAST (acronimo di Manifattura di Arte, Sperimentazione e Tecnologia), 25 mila metri quadrati multitasking che hanno trasformato un’area industriale dismessa alla periferia di Bologna in un edificio-ponte fra impresa e collettività.
MAST nasce, infatti, dall’iniziativa filantropica (e visionaria) di Isabella Seragnoli, presidente di Coesia, azienda leader a livello mondiale nel settore della macchine automatiche avanzate e della meccanica di precisione. La novità del progetto, che porta la firma di Claudia Clemente e Francesco Isidori, giovani animatori dello studio romano Labics, è quello di creare (e ‘regalare’) servizi avanzati che, oltre a essere funzionali all’azienda, la Coesia appunto, vengono condivisi con il tessuto urbano (tutte le attività sono, infatti, totalmente aperte alla cittadinanza ad eccezione del ristorante, che è aziendale). Il risultato è un edificio complesso, fatto di volumi sovrapposti e sospesi, dove si mescolano spazi destinati a usi molto diversi.
Si parte dal ristorante aziendaledel piano terreno, a cui si affiancano una sala espositiva, vari ambienti di servizio, una palestra e un nido d’infanzia, che può contare su un proprio giardino. Al piano superiore, invece, si trovano due sale espositive e una caffetteria, mentre all’ultimo livello prende forma lo scenografico foyer con auditorium. Sotto quota zero, infine, si trovano tre piani di parcheggi.
La complessità funzionale e volumetrica dell’edificio si contrappone alla trasparenza e morbidezza della pelle ‘cristallina’che avvolge tutta la struttura: lastre vitree, opalescenti, a doppio spessore, finemente serigrafate con stilizzati tendaggi. L’effetto è davvero sorprendente: la schermatura stempera e quasi annulla i contorni dell’architettura, che sembra confondersi nelle sfumature del cielo diurno per accendersi come una lanterna in quello notturno. Solo l’ala dedicata al nido d’infanzia sceglie il colore con un rivestimento ceramico ‘a bacchette’ policrome, quasi un omaggio alla vitalità e spensieratezza dell’infanzia.
Ma il cuore del Mast è soprattutto la sperimentazione: cercare, cioé, di offrire alla collettività momenti coinvolgenti di cultura e di didattica, d’intrattenimento e di spettacolo (ma anche di gioco per i più piccoli) per migliorare la qualità di vita e di lavoro sul territorio urbano e periferico (tutte le attività su www.mast.org). L’ultima iniziativa in ordine di tempo? Il ‘taglio’ fotografico (inedito ai più) di un grande registra, David Lynch, a cui dedichiamo un approfondimento nelle pagine successive.
Strafascinoso giovanotto settantenne dal ciuffo rockabilly, David K. Lynch continua a tenere sulla corda i suoi milioni di fan grazie alle sue attività artistiche dalle plurime sfaccettature, di cui al proposito dice: “Sono un essere umano che si diverte a catturare idee e poi a tradurle in un medium o in un altro”. Perciò, dall’attuale lancio del cofanetto di culto, nuovo fiammante, I segreti di Twin Peaks (1990), la serie completa in dieci Blu-ray disk, ognuno introdotto dall’ultra-terrena Signora Ceppo (Catherine Coulson), al recentissimo annuncio che assicura David Lynch e Mark Frost pronti a girare, nel 2015, una nuova serie di nove episodi di Twin Peaks, con il vecchio cast magari al completo, compreso l’angelico agente speciale Dale Cooper (Kyle MacLachlan), godibile telesivamente nel 2016 (“Il misterioso mondo di Twin Peaks ci sta strattonando all’indietro. Ne siamo eccitati. Possa la foresta essere con voi”, Mark Frost & David Lynch); né mancano le sue mostre di fotografia, che vengono soprattutto organizzate a Parigi, sua seconda patria (da Paris Photo con la Galerie Item alla Maison Européenne de la Photographie, alla Fondation Cartier pour l’art contemporain), ma, più di recente, anche in Italia. Ne è un esempio David Lynch: The Factory Photographs (a cura di Petra Giloy-Hirtz), fino al 31 dicembre presso la Photo Gallery del Mast, Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia di Bologna (www.mast.org), cioè 111 opere fotografiche (di cui 14 inedite) in bianco e nero, realizzate in due diversi formati (28 x 35,6 cm e 100 x 150 cm) – che hanno per soggetti archeologie industriali di Berlino e di Lodz (Polonia), del Regno Unito e del New Jersey, di New York e di Los Angeles – scattate nell’arco di un trentennio (1980 – 2000) da Lynch, che ha dichiarato: “Amo l’industria. I tubi. Amo liquame e fuliggine. Amo le cose sintetiche. Mi piace vedere gente che lavora sodo, e mi piace vedere melma, spurghi e rifiuti artificiali”. Fanno parte della mostra un’installazione sonora dell’artista e una selezione dei suoi primi ‘corti’ meno conosciuti – Industrial Soundscape, Bug Crawls, Intervalometer: Steps – che vengono proiettati a ciclo continuo.
Laura Ragazzola e Olivia Cremascoli