Sole e materia: ecco gli ingredienti fondamentali del design siciliano. Disciolti nei rivoli della tradizione o inoculati in direzione del futuro, secondo due approcci al fare creativo, ‘apollineo’ e ‘dionisiaco’, che circoscrivono l’intero spettro dell’agire progettuale.
Tra gli autori più vicini alla sensibilità apollinea, Giuseppe Pulvirenti spicca per una formazione ‘classica’ nel senso antico del termine, avendo studiato architettura, scenografia e teatro, vale a dire le coordinate di riferimento di quello ‘spazio scenico’ che nella Magna Grecia vedeva la voce dei retori riverberare dall’anfiteatro fino all’intera polis.
Più dionisiaco è, invece, l’approccio di un altro protagonista dell’attuale scena siciliana, Andrea Branciforti (studio Improntabarre), estremamente abile nel manipolare il design fino ad ottenerne un impasto quasi-artistico.
E, tuttavia, seppure lo sconfinamento tra arte e design è da tempo immemore un carattere tipico della creatività mediterranea, sarebbe un errore contrapporre un design siciliano ‘proto-industriale’ al più rapido sviluppo di design e industria nel Nord.
Su questo punto Dario Russo, docente di Storia del design all’Università di Palermo e direttore scientifico dell’Associazione Culturale 100eLAB per la promozione del design siciliano, ha le idee chiare: “Se assumiamo che il design si sia sviluppato in Italia a partire dal Dopoguerra, certamente il Sud può essere considerato un fanalino di coda del Paese.
Se, invece, parliamo di rivoluzione industriale e di modernità tout court, allora è di tutta evidenza come il Sud fosse di gran lunga più avanzato del Nord, dal primato della ferrovia Napoli-Portici del 1829 al Ferdinando I, il primo mezzo navale a vapore a navigare per mare, varato nel 1818 in anticipo persino sull’Inghilterra.
Non è un caso che ancora nel primo Novecento prosperasse a Palermo una borghesia ‘illuminata’ tale da permettere a Ernesto Basile – il più importante esponente dell’Art Nouveau in Italia – la realizzazione di autentici capolavori nell’ambito dell’architettura e del nascente design.
Svolgendo per Ducrot un modernissimo ruolo registico assimilabile a quello dell’odierno art director, Basile progetta non soltanto raffinati arredi per ville e palazzi, ma anche prodotti industriali ante litteram pensati in direzione del processo industriale e dunque per la massa, come la poltrona Tipo Torino del 1902 e la sedia Faraglia del 1906”.
Esperienze come questa gettano una luce insolita sulla cultura siciliana del design.
“In effetti tali vicende assumono oggi una rilevanza prospettica perché, da alcuni anni, è in corso una virtuosa attività di ricostruzione di alcuni arredi di Basile, con aggiornamento materiale e immateriale, grazie alla sinergia tra l’Università di Palermo, l’Archivio Basile e l’azienda palermitana Caruso Handmade.
Operazione piuttosto complessa perché, oltre all’approfondimento didattico-scientifico, ha anche una ricaduta commerciale, in particolare verso gli Emirati Arabi e la Russia. Un’avventura tutta made in Sicily, di per sé brand carico di cultura progettuale”.
A proposito di made in Sicily, che rapporto c’è tra questo ‘brand’ e altre realtà del Paese, come Milano, con una più marcata cultura del design?
“Quando, negli anni Settanta, si assiste al Nord all’exploit del design italiano, la Sicilia è tagliata fuori dal circolo virtuoso di aziende, progettisti e critica (fondamentale il ruolo delle riviste di settore). Si susseguono così, in un’isola ricca di cultura materiale, esperienze di natura artigianale, alcune di grande livello. Molto interessante è, per esempio, lo studio sulle botteghe artigiane di Palermo condotto da Anna Maria Fundarò.
Un altro caso è quello della sedia di Bivona che, diffusissima nell’Italia del sud, rappresenta in Sicilia ciò che la Chiavarina è in Liguria: un prodotto artigianale molto ben fatto e popolare. Se Gio Ponti e Cassina si fossero incontrati al Sud – chi può dirlo? – la Superleggera sarebbe un re-design della sedia di Bivona.
Decisivo anche il ruolo di Tito D’Emilio, rivenditore catanese insignito del Compasso d’Oro alla Carriera – come rivenditore, non come designer o produttore – per aver contribuito, fin dagli anni Sessanta, a traghettare la cultura del progetto in un ‘territorio geograficamente disagiato’”.
In che modo questa tradizione si allaccia agli sviluppi più recenti del progetto?
“Guardando al futuro prossimo (la dimensione naturale del design), nel passaggio dalla produzione di massa alla ‘personalizzazione di massa’ mi vengono in mente due direzioni: il cosiddetto arti-design, piccole serie ad alto tasso simbolico, e la possibilità di addomesticare le nuove tecnologie digitali come la stampa 3D.
Nella società postindustriale, infatti, il Sud non si trova affatto svantaggiato rispetto al Nord. Cito a tal proposito un gruppo di docenti dell’Università di Palermo che lavora in sinergia con WASP di Massa Lombarda, uno dei centri di sperimentazione più innovativi al mondo nel campo della stampa 3D, di cui fanno parte anche designer siciliani come Flavio Gioia e Federica Ditta.
Casi come questo dimostrano che la messa a sistema di Università e aziende, ovvero di ricerca, sperimentazione e innovazione, è fondamentale e paga”.
Testo di Stefano Caggiano