L’architetto come un medico-chirurgo? “Così è stato, sono intervenuto di bisturi, in modo puntuale, anestetizzato, non invasivo per far sì che il risultato finale fosse una guarigione indolore”, riconosce Corrado Papa.
Progettista interprete dei desiderata di Simone e Maria Bemporad, giovane coppia di cultura e respiro internazionale innamorata della città di Noto e di un piccolo edificio borghese fine Ottocento, disabitato da anni, che era stato la residenza “del dottore”, un chirurgo, eminenza nel quartiere popolare di Santa Caterina, un intreccio di vicoli, cortili e ronchi a margine del centro storico.
“Intervenire con un atteggiamento imperioso avrebbe posto questo manufatto architettonico in una particolare ribalta”, ricorda il progettista, “istigando un sensibile distacco da un tessuto urbano fortemente consolidato, fragile e trascurato, nonché dalla comunità locale.
Il ringraziamento di un’anziana del posto che, una volta smontati i ponteggi, in dialetto mi ha detto che il mio lavoro ridava dignità al suo quartiere, in questo senso è stata una conferma davvero emozionante”.
Già, perché Corrado Papa non si limita a ristrutturare la casa che, all’esterno, per non risultare isolata, indossa una pelle intonacata nei colori tenui legati alla terra e all’humus del luogo. In una seconda fase restaura proprio il sistema dei vicoli con cui la sua facies dialoga, operazione finanziata dai Bemporad sensibilizzati alle problematiche di una piccola-grande cittadina con oneri talvolta difficili da sostenere.
Riporta in vita le pietre della pavimentazione in ciottolato a riquadri di pietra bianca, installa elementi di arredo urbano quali la fontanella dell’acqua e le sedute in pietra, nuovi luoghi di chiacchere e aggregazione, ombreggiati da piante rampicanti. All’interno passa a un processo di decomposizione e ri-assemblaggio delle parti.
“Dovevo risolvere l’accorpamento di più unità su tre livelli, frutto di stratificazioni temporali e contaminazioni di gusto”, spiega, “tenendo conto della forte identità sicula della casa ma anche del carattere internazionale dei committenti che si preparavano ad abitarla.
La scelta è stata quella di connotare nuovi spazi ampi e aperti, mediante fenditure, varchi e sfondamenti, impostati su attente simmetrie, che mantenessero la grande varietà dei materiali del luogo, senza nasconderne le rughe opportunatamente trattate da sapienti artigiani: la pietra bianca di Noto (al piano terra), la pietra pece (al primo e sulla scala), umili cementine (nei servizi delle camere degli ospiti), più pregiate mattonelle di ceramica di Caltagirone (nella camera padronale).
E poi quella pietra arenaria ricondotta alla figura di un’unica parete percepibile da terra fino al tetto come trait d’union tra i livelli: una soluzione di continuità architettonica che spicca, mediante il colore differente, rispetto agli altri muri lasciati nel candore bianco dell’intonaco a calce tirato a mano”.
L’armonioso sincretismo dei materiali, che ricorda quello dei cortili siciliani, favorito dall’ingresso di una luce calda e avvolgente in grado di far diventare ogni presenza protagonista, trova sulla sommità, infine, a compimento di un processo di riscoperta, il terrazzino.
“È diventato”, conclude l’architetto, “l’osservatorio discreto da cui assistere al rito del sole: il nuovo faro che recupera la posizione della casa ottocentesca rispetto al tessuto di Noto, inquadrando da una parte la cupola della cattedrale e dall’altra l’isola di Capo Passero e il mare”.
Foto di Alberto Ferrero – Testo di Antonella Boisi

