Con l’obbligo al distanziamento sociale, come cambiano le gestualità, le relazioni spaziali e umane? Francesca Lanzavecchia suggerisce alcuni spunti di riflessione per le sfide che il mondo del progetto è chiamato ad affrontare

Uno degli effetti più duraturi della quarantena è sicuramente l’obbligo al distanziamento sociale. Se nella Fase 1 della pandemia l’emergenza ha fatto sì che ci si adeguasse con quanto disponibile nell’immediato, la Fase 2 è quella in cui sono entrate in azione le forze progettuali. Non più quindi solo nastri adesivi a terra, dissuasori improvvisati o lastre di plexiglass. Le riflessioni dei progettisti su questo tema sono state diverse e per settimane hanno acceso il dibattito sulla rete e sui social.

Tra le tante proposte, quella che ci ha particolarmente intrigato è stata una ricerca che Francesca Lanzavecchia ha pubblicato sul suo profilo Instagram. Non si tratta di soluzioni o progetti, ma piuttosto di una raccolta di references e riferimenti visivi ricchi di un’attitudine all’osservazione che da sempre contraddistingue il lavoro della designer pavese. Con lei abbiamo discusso di alcuni passaggi che riguardano questa fase della progettazione rappresentata dalla raccolta dei dati, dalla ricerca pre-progettuale, dove le componenti che entrano in azione non sono solo quelle dell’utilità pratica a breve raggio, ma anche quelle che si riferiscono alla nostra percezione delle cose in senso lato. Da questo dialogo è nato un piccolo breviario di riflessioni sulla prossemica e il distanziamento sociale, che qui riassumiamo per argomenti.

Spazio pubblico contingentato La strada è il luogo del primo confronto con lo spazio contingentato. Alla fine degli anni Sessanta Hans Hollein proponeva il suo Mobile Office, un ambiente di lavoro racchiuso dentro una bolla trasparente, immagine che torna oggi di prepotenza nella nostra attualità. Se allora l’idea era quella di sperimentare nuovi spazi dell’abitare ragionando sul dialogo tra paesaggio naturale e antropizzato, tra dimensione stanziale e nomadica, oggi quelle immagini divengono gli apripista di una fruizione contingentata dello spazio pubblico.

Anche le visionarie Bubbles degli Archigram o la moda Space Age si caricano di inaspettate capacità di previsione. “Quando oggi incrociamo una persona per strada”, spiega Lanzavecchia”, reagiamo come calamite di polarità uguali, generando quasi un campo magnetico opposto che ci respinge l’uno dall’altro”. Così la bolla preservativa della nostra salute trova nella trasparenza del micro habitat l’analogia più spontanea.

Anche l’universo regolato da un ordine imposto ha generato immagini di una potenza performativa che supera ogni finzione artistica. E allora torna in mente la Supersuperficie dei Superstudio, l’idea di uno spazio strutturato cartesianamente da un pattern grazie al quale “l’attenzione si spostava dalle architetture tridimensionali alle performance delle donne e degli uomini che attraversavano il pianeta Terra” (Cristiano Toraldo di Francia). Il progetto dello spazio regolamentato per il distanziamento può così essere l’occasione per l’attivazione di forme performative indotte o per organizzare quelle spontanee.

Stiamo domesticizzando la dimensione ospedaliera. Sono sempre stata contraria a questo tipo di assimilazione tra mondo medico e quotidiano. Ma mi rendo conto che ora abbiamo bisogno di questo immaginario che ci fa sentire più al sicuro: nella crisi mi affido alla scienza prima che alla bellezza."

Estensione del corpo “Il corpo abita il mondo creandolo attraverso l’ordine degli strumenti che lo rendono presente ovunque, perché tutti gli si riferiscono e in essi il corpo si estende”, scriveva Umberto Galimberti nel suo noto saggio Il Corpo (Feltrinelli). Per il designer di prodotto questa è una base imprescindibile: l’oggetto come estensione del corpo e come mezzo per conoscere il contesto spaziale. Francesca ripensa a molte ricerche del mondo artistico: dai costumi Bauhaus di Oskar Schlemmer agli uomini-arredo di Erwin Wurm, alle performance di Sissi. Sopra tutti però è il lavoro di Rebecca Horn.

“Del suo lavoro”, ci spiega, “la cosa che mi piace moltissimo è la dualità nel creare un cocoon per allontanare gli altri, ma anche per accoglierli in casi particolari. Quindi c’è allontanamento, ma anche accoglienza. Nel suo oggetto-ventaglio c’è questa dualità”. L’estensione del corpo, la protesi, l’oggetto indossabile come manifestazione del proprio Io è sempre stato presente nel lavoro di Lanzavecchia, sotto forma di copri-dita da novella Dafne o come gonna porta-oggetti, versione indossabile di una valigia di ricordi da portare come abito nel mondo.

Privazione La privazione della libertà di movimento crea nuove prossemiche anche negli ambienti comuni interni. Paradossalmente lo spazio costretto è alla radice anche di terapie per soggetti con patologie psichiche. Nel lavoro di Lucy McRae questo aspetto è centrale e porta semi di riflessione molto interessanti. Nella prossemica animale, per esempio, esiste la necessità di rispettare la cosiddetta “distanza critica” e spesso l’aggressività nasce quando non c’è la segnalazione del limite (Lorenz). Così le sbarre, i distanziatori sono limiti fisici che proiettano quelli mentali e il linguaggio della restrizione medicalizzata sortisce il suo effetto tranquillizzante.

“Stiamo domesticizzando la dimensione ospedaliera”, riflette Lanzavecchia. “Sono sempre stata contraria a questo tipo di assimilazione tra mondo medico e quotidiano. Ma mi rendo conto che ora abbiamo bisogno di questo immaginario che ci fa sentire più al sicuro: nella crisi mi affido alla scienza prima che alla bellezza. Dopo ci sarà una normalizzazione, un bisogno di assorbire tutto questo nella complessità del quotidiano”.

Con Francesca Lanzavecchia abbiamo discusso di alcuni passaggi che riguardano questa fase della progettazione rappresentata dalla raccolta dei dati, dalla ricerca pre-progettuale, dove le componenti che entrano in azione non sono solo quelle dell’utilità pratica a breve raggio, ma anche quelle che si riferiscono alla nostra percezione delle cose in senso lato."

Nuovi rituali Nuovi saluti, tutorial che c’insegnano come e per quanto tempo lavarci le mani, gel antisettici negli ingressi come benvenuto. Tutto questo quanto durerà e che forme prenderà? “Ci sarà un nuovo galateo tutto da impostare, perché il codice comportamentale è sempre relativo al contesto. Noi che siamo animali culturalmente sociali torneremo appena possibile al contatto fisico, mentre in Asia adotteranno sempre l’inchino e lo scambio di biglietti da visita. La vera domanda è: quanto siamo disposti a limitarci per gli altri, per creare questa coreografia comune? Credo che quella che rimarrà più a lungo sarà la paura verso le superfici.

Psicologicamente il contatto fisico sarà ripristinato appena possibile, invece il timore da contatto con le superfici, con elementi materici inanimati persisterà. Quindi dovremo riconsiderare il modo in cui aprire le porte, utilizzare il bancomat, prendere merci dagli scaffali del supermercato. Tutto questo può diventare anche un’occasione di apprendimento di nuove modalità relazionali”.