Spazio pubblico contingentato La strada è il luogo del primo confronto con lo spazio contingentato. Alla fine degli anni Sessanta Hans Hollein proponeva il suo Mobile Office, un ambiente di lavoro racchiuso dentro una bolla trasparente, immagine che torna oggi di prepotenza nella nostra attualità. Se allora l’idea era quella di sperimentare nuovi spazi dell’abitare ragionando sul dialogo tra paesaggio naturale e antropizzato, tra dimensione stanziale e nomadica, oggi quelle immagini divengono gli apripista di una fruizione contingentata dello spazio pubblico.
Anche le visionarie Bubbles degli Archigram o la moda Space Age si caricano di inaspettate capacità di previsione. “Quando oggi incrociamo una persona per strada”, spiega Lanzavecchia”, reagiamo come calamite di polarità uguali, generando quasi un campo magnetico opposto che ci respinge l’uno dall’altro”. Così la bolla preservativa della nostra salute trova nella trasparenza del micro habitat l’analogia più spontanea.
Anche l’universo regolato da un ordine imposto ha generato immagini di una potenza performativa che supera ogni finzione artistica. E allora torna in mente la Supersuperficie dei Superstudio, l’idea di uno spazio strutturato cartesianamente da un pattern grazie al quale “l’attenzione si spostava dalle architetture tridimensionali alle performance delle donne e degli uomini che attraversavano il pianeta Terra” (Cristiano Toraldo di Francia). Il progetto dello spazio regolamentato per il distanziamento può così essere l’occasione per l’attivazione di forme performative indotte o per organizzare quelle spontanee.