“Il mondo non si può descrivere senza il colore, che non è un elemento decorativo, bensì un fondamentale dell’intera costruzione formale. Cambia la percezione di un luogo a livello di esperienza spaziale e sensoriale, ridefinisce i confini tra noi e le cose, ha una sua poetica e una sua funzione.
Con il suo disegno puoi scaldare o raffreddare un contesto. L’incidenza della luce e i suoi effetti producono poi un terzo colore ‘fantasma’ che rende il paesaggio vibrante e instaura una dialettica con chi guarda, chiamato ad interpretarne il gioco dinamico di profondità virtuali”.
Parole di Raymundo Sesma, artista-designer outsider di statura internazionale che, dal 1980, vive e lavora tra il Messico (suo Paese natale) e Milano (dove ha approfondito gli studi, frequentando l’Accademia di Brera, e la ‘bottega’ del maestro Giorgio Upiglio, incisiore e stampatore di opere di grandi artisti, da De Chirico ad Adami, da Baj a Calder).
“Il Messico mi ha sensibilizzato al colore che è vita, ho metabolizzato il linguaggio dell’arte precolombiana e della scrittura di Diego Rivera, José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros, tra gli altri. Ero ragazzo e mio padre, che faceva il farmacista, mi ha avvicinato casualmente all’architettura, da Frank Lloyd Wright a Walter Gropius, attraverso i libri che gli regalavano. Dell’Italia, in seguito, ho invece scoperto e apprezzato una creatività e un’artigianalità unici al mondo.
Questione di ‘geni’ coltivati nei secoli. Con questa summa di stimoli ho elaborato la mia visione. D’altronde già Filippo Tommaso Marinetti e Giacomo Balla teorizzavano una ricostruzione futurista dell’universo, con una pittura che si espandesse a macchia d’olio su vestiti, muri, mobili di casa, superfici architettoniche. E, all’interno di questo universo aperto, diffuso, senza limiti, nulla resta di totemico, intoccabile, immutabile. Perché, poi, per dirla come Felix Guattari, l’arte è un materiale vivo, piuttosto che una categoria di pensiero, così come il teatro resta un campo expandido per la critica d’arte statunitense Rosalind Krauss”.
Il suo personale campo, Sesma l’ha costruito con una precisa modalità di astrazione formale del livello creativo: “Mi interessa trovare un dialogo con il contesto” spiega “ampliando il raggio d’azione della pittura, che abbandona la tela per ricoprire la superficie tridimensionale. Alla fine ciò che mi preme è trasformare l’architettura in un oggetto artistico, attraverso la de-costruzione del paesaggio; e, senza separare l’arte dalla vita, cercare la possibilità di cambiare in meglio il volto delle cose quotidiane”.
In questo Raymundo si è specializzato: con il suo studio Taller Advento realizza worldwide interventi site-specific, che assumono il valore di sculture-ambiente, integrando il proprio lavoro con quello di architetti, tecnici e interlocutori ogni volta differenti.
Così tanto più il contesto di riferimento risulta depresso quanto più diventa forte il valore di un recupero e di una riqualificazione del manufatto architettonico (in&out) che acquisisce nuovi significati e identità. Soprattutto in chiave di condivisione con la comunità e di partecipazione; e, senza bisogno di distruzioni o di musei o gallerie. In questa poetica di “colonizzazione” dei luoghi, che non è camouflage, piuttosto estensione, osmosi, inclusione, il disegno come struttura e linguaggio espressivo rappresenta il dispositivo di base del suo progetto critico e costruttivo.
“Nei miei interventi è fondamentale l’interazione tra spazi e volumi, vuoti e pieni, prospettive e punti di fuga. Talvolta un ‘segno vuoto’ può generare infinite risonanze e spesso l’esterno diviene interno e viceversa. Nel progetto rientrano poi elementi iconografici specifici di un luogo che decontestualizzati, distorti nell’immagine e reinterpretati – ricordo l’immagine totemica del gasometro industriale nell’area della Bovisa a Milano in cui ho lavorato con gli studenti del Politecnico nel 2006 – diventano altro da sé, nuovo ornamento inteso in chiave evolutiva e non estetica”.
Nei suoi trascorsi sui palcoscenici milanesi, non si può dimenticare anche la mostra in Triennale del 2004: il mega fondale cromatico ad effetti tridimensionali che ‘accendeva’ di nuovi sguardi l’esposizione di oggetti di artigianato messicano in onice, marmo e ceramica; e, di recente, per la mostra Grattanuvole, un secolo di grattacieli a Milano, alla Fondazione Catella, il grande skyline meneghino di 8 x 3 metri: un omaggio alla città che sale.
Oggi Sesma è impegnato nel progetto di riqualificazione dell’area industriale di San Vito a Calamandrana, in provincia di Asti. E a Viggiano, in Basilicata, si sta occupando per ENI della valorizzazione paesaggistica-architettonica del COVA (Centro Olio Val d’Agri). Il suo Miglio Artistico ha inaugurato la prima fase del progetto avviato insieme ad Andreas Kipar/LAND Milano.
“Un muro diventa occasione di riscoperta, trasformandosi in strumento di dialogo tra due realtà: la vita interna all’impianto industriale, parte di un paesaggio culturale produttivo, e la vita esterna, parte di un paesaggio naturale contemplativo” ha commentato. “La riscoperta è ovviamente affidata all’osservatore, protagonista attivo dell’opera: stimolato a ripercorrerla e a decriptarla non solo con lo sguardo, ma anche fisicamente nello spazio e nel tempo, proprio attraverso la speciale ‘sintassi’ percettiva del movimento cromatico”.
testo di Antonella Boisi – foto courtesy Raymundo Sesma e Galleria Luis Adelantado