Quando è veramente riuscito, il progetto d’arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell’oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazionedigitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell’innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi ‘leggeri‘, ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi ‘pesanti‘, emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un’alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell’Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l’Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche ‘moderne’ alla sinuosità (sempre più astratta e ‘manierista’) delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all’emergere di ibridazionilinguistiche che vedono l’applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l’uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica ‘brutalista’ all’interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell’artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell’infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d’arredo, due ottimi esempi dell’ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall’impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall’altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione PetrifiedCarpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti ‘tese’, il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchiolunare (anch’esso circolare) che i designer della messicana ‘cooperativa’ Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell’immateriale.
L’impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una secondastoria del design, contrassegnata dall’introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo annozero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall’altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
Petrified Carpet, di Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, installazione di elementi architettonici in cemento ispirati a giardini e tappeti persiani. Realizzata con il sostegno dell'Ambasciata e del Consolato Generale del Regno e dei Paesi Bassi a Milano. Foto: EH (Kyoungtae Kim).
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore, raccoglie il senso antropologico di un materiale antico come la cultura umana, che oggi trova applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
Petrified Carpet, di Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, installazione di elementi architettonici in cemento ispirati a giardini e tappeti persiani. Realizzata con il sostegno dell'Ambasciata e del Consolato Generale del Regno e dei Paesi Bassi a Milano. Foto: EH (Kyoungtae Kim).
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore, raccoglie il senso antropologico di un materiale antico come la cultura umana, che oggi trova applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
[gallery ids="147578,147582,147580,147584,148586,147588,147590,147592,147598,1475894,147596"]
Il set di piatti e vassoi Lava, disegnato da Caterina Moretti e Ana Saldaña per il messicano studio Peca, è realizzato in roccia vulcanica lucidata a mano da artigiani locali.
Specchio con supporto in basalto progettato dalla messicana cooperativa Panorámica. Il basalto viene comunemente usato nei Molcajetes, i mortai tradizionali con cui si preparano le famose Salsas Mexicanas.
Lampada Branch di Ferréol Babin, pezzo unico realizzato per la mostra organizzata da Ornsbergsauktionen durante la Stockholm Design Week 2017. La forma ricorda quella di un giocattolo, ma la pelle è materica, ruvida, 'brutalista'.
Il tavolino in marmo e ottone Hawley, di Egg Collective, New York, combina la leggerezza astratta delle forme geometriche al peso gravitazionale di un materiale sorto dalle profondità magmatiche del pianeta.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
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Lo studio Bower, di New York, propone un tavolo in marmo dalle impeccabili forme geometriche, che interpreta il senso geologico del materiale, pesante e prezioso, attraverso la precisione sovra-storica delle forme matematiche.
Il set di piatti e vassoi Lava, disegnato da Caterina Moretti e Ana Saldaña per il messicano studio Peca, è realizzato in roccia vulcanica lucidata a mano da artigiani locali.
Specchio con supporto in basalto progettato dalla messicana cooperativa Panorámica. Il basalto viene comunemente usato nei Molcajetes, i mortai tradizionali con cui si preparano le famose Salsas Mexicanas.
Lampada Branch di Ferréol Babin, pezzo unico realizzato per la mostra organizzata da Ornsbergsauktionen durante la Stockholm Design Week 2017. La forma ricorda quella di un giocattolo, ma la pelle è materica, ruvida, 'brutalista'.
Il tavolino in marmo e ottone Hawley, di Egg Collective, New York, combina la leggerezza astratta delle forme geometriche al peso gravitazionale di un materiale sorto dalle profondità magmatiche del pianeta.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
Petrified Carpet, di Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, installazione di elementi architettonici in cemento ispirati a giardini e tappeti persiani. Realizzata con il sostegno dell'Ambasciata e del Consolato Generale del Regno e dei Paesi Bassi a Milano. Foto: EH (Kyoungtae Kim).
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore, raccoglie il senso antropologico di un materiale antico come la cultura umana, che oggi trova applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Tektites, collezione di oggetti in schiuma di ceramica realizzata da Marina Dragomirova e Iain Howlett dello Studio Furthermore.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
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Il set di piatti e vassoi Lava, disegnato da Caterina Moretti e Ana Saldaña per il messicano studio Peca, è realizzato in roccia vulcanica lucidata a mano da artigiani locali.
Specchio con supporto in basalto progettato dalla messicana cooperativa Panorámica. Il basalto viene comunemente usato nei Molcajetes, i mortai tradizionali con cui si preparano le famose Salsas Mexicanas.
Lampada Branch di Ferréol Babin, pezzo unico realizzato per la mostra organizzata da Ornsbergsauktionen durante la Stockholm Design Week 2017. La forma ricorda quella di un giocattolo, ma la pelle è materica, ruvida, 'brutalista'.
Il tavolino in marmo e ottone Hawley, di Egg Collective, New York, combina la leggerezza astratta delle forme geometriche al peso gravitazionale di un materiale sorto dalle profondità magmatiche del pianeta.
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
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Lo studio Bower, di New York, propone un tavolo in marmo dalle impeccabili forme geometriche, che interpreta il senso geologico del materiale, pesante e prezioso, attraverso la precisione sovra-storica delle forme matematiche.
Lo studio Bower, di New York, propone un tavolo in marmo dalle impeccabili forme geometriche, che interpreta il senso geologico del materiale, pesante e prezioso, attraverso la precisione sovra-storica delle forme matematiche.
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Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che pi\u00f9 di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa \u201cindustriale\u201d al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.\r\n\r\nMa le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Dec\u00f2 tent\u00f2 di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosit\u00e0 (sempre pi\u00f9 astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, cos\u00ec oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.\r\n\r\n\u00c8, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.\r\n\r\nEd \u00e8 il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferr\u00e9ol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.\r\n\r\nLo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Qu\u00e9bec.\r\n\r\nTornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalit\u00e0 alianti dei tappeti persiani.\r\n\r\nPresentano, invece, dimensioni pi\u00f9 ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Salda\u00f1a per lo studio Peca, in cui \u00e8 un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panor\u00e1mica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.\r\n\r\nMentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non \u00e8 un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.\r\n\r\nL'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura \u00e8 infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualit\u00e0 digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.\r\n\r\nTale \u00e8 la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ci\u00f2 deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.\r\n\r\nNon stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.\r\n\r\nTesto di Stefano Caggiano \r\n\r\n
Quando è veramente riuscito, il progetto d'arredo non è solo sintesi di forma e funzione, ma metafora concreta delle forze antropologiche che plasmano la cultura nel profondo.
È ciò che avvenne a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando, nella fase iniziale della storia del design, la diffusione delle tecnologie meccaniche rese necessaria una ridefinizione dell'oggetto che dette vita al razionalismo moderno.
Ed è ciò che sta avvenendo di nuovo oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, a seguito della mutazione digitale del prodotto, evento epocale che la cultura del progetto affronta su due versanti opposti: quello dell'innovazione tecnologica più spericolata, e quello del ripiegamento sicuro verso la tradizione.
Lo scenario contemporaneo si caratterizza così per la contrapposizione tra linguaggi 'leggeri', ispirati alle grafiche digitali, e linguaggi 'pesanti', emanati dal ribollio mai spento di antiche pulsioni carsiche. Contrapposizione che, al netto della contestualizzazione storica, appare del tutto analoga a quella che più di un secolo fa vide le rigide forme del proto-razionalismo proporre un'alternativa “industriale” al dilagante artigianato artistico dell'Art Nouveau.
Ma le analogie non finiscono qui. Come, infatti, l'Art Decò tentò di combinare il gusto per le estetiche geometriche 'moderne' alla sinuosità (sempre più astratta e 'manierista') delle forme ad ispirazione naturale, così oggi si assiste all'emergere di ibridazioni linguistiche che vedono l'applicazione di toni pastello di importazione digitale a brani di materia grumosa propri del neo-artigianato artistico sperimentale.
È, questo, il caso degli oggetti in schiuma di porcellana Tektites disegnati dallo Studio Furthermore, pensati per esprimere lo specifico culturale di un materiale che, antico quanto l'uomo, trova oggi applicazione nel futuro tecnologico di telescopi spaziali e scudi termici per lo Space Shuttle.
Ed è il caso del lavoro sulle lampade portato avanti dal talentuoso Ferréol Babin, che in Branch racchiude una sostanza materica 'brutalista' all'interno di una composizione formale tanto leggera da ricordare un giocattolo.
Lo stesso incontro tra leggerezza del ludico e concretezza del reale si trova nel Brutalist Playground realizzato dallo studio Assemble con la collaborazione dell'artista Simon Terrill, che hanno infuso la dolcezza dell'infanzia nella ruvidezza della strada (e viceversa) non solo sul piano estetico ma anche sociale, attraverso un lavoro di riappropriazione creativa degli spazi urbani portato avanti con i cittadini di Granby, nel Québec.
Tornando alla dimensione d'arredo, due ottimi esempi dell'ibridazione linguistica di cui ci stiamo occupando sono quelli dati, da un lato, dall'impeccabile tavolo in marmo dello studio newyorkese Bower, che interpreta il peso geologico del materiale attraverso la precisione sovra-storica della geometria; dall'altro, dal ruvido calcestruzzo della collezione Petrified Carpet disegnata da Alessandra Covini e Tomas Dirrix dello Studio Ossidiana, colorata con le tonalità alianti dei tappeti persiani.
Presentano, invece, dimensioni più ridotte, ma estetiche parimenti 'tese', il set di vassoi da tavola Lava, di Caterina Moretti e Ana Saldaña per lo studio Peca, in cui è un cerchio a tentare di racchiudere la massa debordante della pietra lavica, e lo specchio lunare (anch'esso circolare) che i designer della messicana 'cooperativa' Panorámica hanno opportunamente montato su un supporto in basalto.
Mentre il tavolino Hawley proposto da Egg Collective di New York esibisce un esagono di metallo lucente in equilibrio mistico su una pesante base materica. Non è un caso che si assista oggi a questo incontro, e scontro, tra le forze magmatiche del profondo e le nuove energie luminose dell'immateriale.
L'impatto che il digitale sta avendo sulla nostra cultura è infatti tale da dare inizio a una seconda storia del design, contrassegnata dall'introduzione, nella nuova equazione del progetto, della qualità digitale accanto a quelle tradizionali di forma e funzione.
Tale è la portata di questa rivoluzione, che il design vive un nuovo anno zero, in cui, se da una parte vede crescere la pressione per un cambio di paradigma, dall'altro avverte come la destabilizzazione che da ciò deriva stia liberando quelle forze ancestrali che il modernismo aveva imparato a domare, e che tornano ora a scuotere le fondamenta del progetto.
Non stupisce, dunque, che il design degli anni Dieci si dibatta inquieto tra il segno etereo dei display digitali e il borborigmo cavernoso delle coagulazioni materiche, e che questi richiami contrapposti trovino anche il modo di mescolarsi in sintesi felicemente instabili. A testimonianza di come il design sia oggi pronto a tutto, e impaziente di fare il passo successivo.
Testo di Stefano Caggiano
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