Venezia Mestre inaugura M9, il primo museo multimediale sulla storia d’Italia del ’900 che disegna un ponte tra storia e contemporaneità, partecipando in un nuovo complesso polifunzionale a una sinergica rigenerazione urbana firmata dallo studio di architettura berlinese Sauerbruch Hutton

A Mestre, baricentro di una dinamica area metropolitana che insiste su Venezia, Treviso e Padova, è stato inaugurato lo scorso 1° dicembre l’attesissimo M9, il primo museo multimediale sulla storia d’Italia del Novecento che, integrato in sinergia con spazi di intrattenimento, servizio e retail di un nuovo polo polifunzionale, identifica un’avanguardistica realtà culturale e sociale nel centro storico della città.

La sua architettura è stata progettata da Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton, vincitori di un concorso internazionale indetto nel 2010 da Fondazione di Venezia, che ha investito 110 milioni di euro per arricchire l’offerta del territorio lagunare affidandosi per la realizzazione e lo sviluppo alla società Polymnia Venezia.


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Matthias Sauerbruch ha studiato alla Hochschule der Künste di Berlino e alla Architectural Association School of Architecture di Londra. Ha lavorato presso l'Office for Metropolitan Architecture di Londra come project manager per sei anni e partner per quattro anni. Louisa Hutton ha studiato presso l'Università di Bristol e l'Architectural Association. Ha lavorato con Alison + Peter Smithson per quattro anni. Nel 1989 hanno fondato Sauerbruch Hutton e da allora dirigono l'ufficio.

Con garbo e misura, operando per sottrazione linguistica, riduzione formale e materica, gli architetti dello studio berlinese Sauerbruch Hutton hanno guidato la complessa opera di riconversione e rigenerazione urbana di un’area di 8.775 metri quadrati, che per oltre un secolo è rimasta inaccessibile al pubblico in quanto sede di una caserma militare. Hanno lavorato su sette corpi di fabbrica, di cui tre di nuova realizzazione.

Diversi sono stati i livelli della loro riflessione e dell’intervento: il sito stesso e la sua memoria stratificata nel tempo, gli edifici vecchi e nuovi con i loro contenuti e programmi funzionali correlati al museo (caffetterie, ristoranti, negozi, libreria, children entertainment), l’articolazione spaziale e visiva dell’impianto complessivo nel contesto urbano di oggi.

“Abbiamo cercato il dialogo, in chiave di apertura e partecipazione inclusiva, innanzitutto con la comunità di riferimento, sia dal punto di vista territoriale che architettonico”, spiegano i progettisti, “riprendendo forme ed estetiche del preesistente e del paesaggio circostante. Siamo ormai nell’era post-Bilbao: si può essere spettacolari anche operando per frammenti.

Con il colore, per esempio, un elemento che gioca un ruolo determinante in chiave percettiva, modulando la trama spaziale del puzzle compositivo anche mediante effetti ottici. I prospetti del nuovo edificio museale sono infatti rivestiti con una texture policroma di oltre 20 mila elementi di ceramica in 13 tonalità, cangiante a seconda dell’incidenza della luce, che rimanda alla varietà cromatica di ciò che sta intorno”.

Questo ‘lusso materico’ è uno degli elementi caratterizzanti del vasto intervento integrato, che ha comportato il restauro di un ex convento tardo cinquecentesco destinato a spazi retail gravitanti intorno al chiostro sovrastato da una nuova superficie vetrata trasparente, il recupero dei due volumi delle ex cavallerizze di epoca napoleonica rifiniti in cemento faccia a vista, la ristrutturazione di un edificio direzionale anni Settanta dotato di una copertura green.

Vi sono poi sei nuovi attraversamenti pedonali che definiscono una relazione, un collegamento programmatico tra la ‘piazza’ interna del nuovo polo e la città, assicurando la completa permeabilità e fruibilità dell’area. Inoltre, c’è il valore importante della sostenibilità: gli architetti tedeschi hanno fatto ricorso all’attivazione termica della massa, alla geotermia, con 63 sonde a 110 metri di profondità, e a una produzione energetica fornita da 276 pannelli fotovoltaici posti sopra gli edifici.

Infine, si impone la grande formula innovativa del museo del Novecento italiano, che si sviluppa su due dei tre piani del corpo principale, scommettendo sulle potenzialità di una piccola smart city già decollata: ciò che fa la differenza e rappresenta l’unicità dell’M9 di Mestre. Il racconto dei cambiamenti epocali avvenuti nel XX secolo in Italia è infatti interamente multimediale, concepito come un insieme di esperienze tecnologiche interattive.

I ‘beni culturali’ del Novecento, quali materiali cartografici, fotografici, sonori e audiovisivi, sono restituiti in ricostruzioni immersive dentro black box aperte e libere nel percorso, che compongono una narrazione fluida suddivisa in otto aree tematiche, definite grazie al contribuito di storici, sociologi, scrittori. E progettisti, of course. Il coordinamento generale dell’allestimento degli interni porta la firma di Stefano Gris/Studio Grisdainese.

Le installazioni degli otto ambienti a tema sono curate da Carraro Lab, Clonwerk-Limiteazero, Dotdotdot, Karmachina-Engeneering Associates e Nema FX, indiscutibili maestri nell’ideare ponti tra passato e futuro. Lo studio milanese Dotdotdot, per esempio, ha progettato gli scenari digitali e di interaction design dedicati alla cultura e all’identità italiana, le sezioni 7 (Fare gli italiani. Educazione, formazione e informazione) e 8 (Per farci riconoscere. Cosa ci fa sentire italiani).

Capire le qualità del luogo e usarle in modo positivo per portarle nel progetto architettonico. (Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton) "

All’esposizione permanente del museo si affianca poi un terzo livello luminosissimo (per contrasto con le black box) di 1130 metri quadrati a pianta libera, pensato per ospitare in modo flessibile le mostre temporanee, che spaziano dalla fotografia al design, dall’arte alla tecnologia. Perché, per raggiungere un pubblico ampio, un luogo di cultura-incontro-intrattenimento sociale non può certo difettare nella varietà delle proposte.

Per questo motivo, nel complesso polifunzionale ideato da Sauerbruch Hutton si annoverano anche aree ludiche e didattiche, mediateche, archivi, auditorium-cinema. E una boutique dell’arte (concepita e realizzata da Civita Tre Venezie), dove un’accurata selezione di oggetti di design regala un altro viaggio (meno immateriale) nella straordinaria creatività del made in Italy.

 

Foto di Alessandra Chemollo/courtesy Polymnia Venezia - Testo di Antonella Boisi