Maniche rimboccate, scarpe sporche di polvere, Tony Salamé si muove senza sosta da un piano all’altro di quello che parrebbe ancora un grande cantiere. Mancano poco più di 24 ore all’inaugurazione dell’Aïshti Foundation, lo spazio espositivo che l’imprenditore libanese ha voluto dedicare all’arte contemporanea ma soprattutto alla città di Beirut, chiamando un progettista di grido come David Adjaye a disegnarne la struttura architettonica e un altrettanto noto curatore d’arte come Massimiliano Gioni a idearne la mostra d’apertura; il clima elettrizzante sembra proprio quello di un grande evento di respiro internazionale.

Di fatto, non si tratta solo del raggiungimento di un sogno personale da parte di un collezionista ormai considerato tra i principali al mondo (oltre duemila opere d’arte contemporanea messe assieme nell’arco di pochi anni). E neppure, solamente, di una nuova sfida imprenditoriale per colui che ha creato il mercato del lusso in Libano (la galleria è parte integrante di un edificio multifunzionale di 35.000 metri quadri che alle funzioni espositive abbina quelle commerciali focalizzate sui più noti luxury brand).

Per Tony Salamé è soprattutto l’inizio di una nuova storia per la sua città natale, che ancora non riesce a cancellare del tutto le ferite inferte dalla guerra civile e a vincere la paura, ma che con questa nuova istituzione, destinata a essere di riferimento per tutto il Medio Oriente e non solo, ribadisce la sua intenzione a riacquistare un ruolo e una visibilità a livello internazionale.

L’energia e l’entusiasmo di Tony sono contagiosi. Mentre controlla i lavori che devono essere ancora ultimati, impartendo ordini, curando i dettagli, prodigandosi in prima persona a mettere in ordine e fare pulizia, ci racconta il suo progetto, la sua avventura. E il ruolo fondamentale che l’Italia vi ha giocato da tempi molto lontani.

“Tutto ciò che sono e quello che faccio oggi lo devo a un viaggio in Italia che feci con la mia famiglia quando avevo 13 anni. In quell’occasione scoprii la mia passione per la moda italiana, e più in generale per lo stile italiano, fatto di storia, arte, architettura, cibo, gusto per la qualità della vita. Nonostante fossi ancora molto giovane, avevo già un grande interesse per l’abbigliamento.

Mi piaceva cercare e scoprire cose diverse e l’Italia offriva l’opportunità di fare shopping in modo originale. Di fatto, dopo quel viaggio mi è rimasta la voglia di tornare in Italia e di fare qualcosa che avesse a che fare con questo splendido Paese. La prima volta che ci sono tornato da solo avevo 18 anni; facevo l’università e avevo iniziato a lavorare un po’, così ho utilizzato i miei guadagni per comperare dei vestiti.

Ai miei amici di Beirut sono piaciuti così tanto che ho finito per venderglieli e da lì ho preso l’abitudine di trascorrere le mie vacanze in Italia per fare acquisti nel periodo dei saldi e poi rivendere in Libano i capi acquistati. Nel 1990 ho aperto il mio primo negozio di abbigliamento a Beirut e il mio legame con l’Italia si è consolidato sempre più”.

Quella che era una piccola boutique esoticamente chiamata Aïshti – “io amo” in lingua giapponese – oggi è una realtà che comprende 37 negozi monobrand concentrati nel cuore della capitale libanese e che entro il 2018 potrà contare su un department store di 20mila metri quadri realizzato, nell’area dell’antico souq distrutto dalla guerra, su progetto di Zaha Hadid.

Nel frattempo, con l’Aïshti Foundation – un grande volume scatolare avvolto da una pelle tubolare in alluminio rosso che con i suoi pattern geometrici rende omaggio alla masrabiya, la grata lignea tipica dell’architettura araba – Salamé sperimenta una formula innovativa di retail, che alla funzione commerciale combina quella museale e vi aggiunge una ricca serie di attività e servizi: sette ristoranti, bar, una grande spa, una piscina sul tetto e spazi ricreativi open air.

L’immagine che David Adjaye ha studiato per il grande building distingue chiaramente l’area dei negozi da quella della galleria: la prima è giocata su un accentuato dinamismo compositivo, su materiali lucidi, su pavimenti bianchi e neri che, con effetto optical, riprendono la matrice grafica della facciata dell’edificio; la seconda, con l’austerità grezza del cemento e una successione enfatica degli spazi, studiata per dare il massimo risalto a opere di imponenti dimensioni, invita invece alla contemplazione e al silenzio.

Intitolata New skin, la mostra ideata da Massimiliano Gioni racconta, attraverso una selezione delle opere che compongono la collezione di Tony Salamé, come l’Italia abbia influito anche sul grande amore per l’arte di questo personaggio.

“Tutto è nato nei primi anni Duemila” spiega l’imprenditore libanese “grazie all’incontro con Dino Facchini, titolare di Swinger (marchio Byblos, ndr). Dino amava e ama tuttora l’Arte Povera; è stato lui ad avermi trasmesso questa passione e ad avermi guidato nei miei primi acquisti: opere di Manzoni, Fontana, e poi di Adami, Nespolo.

Nel 2006 mi ha poi presentato Jeffrey Deitch, noto critico d’arte e art dealer, con cui ho focalizzato il mio percorso di collezionista; è stato lui il primo a dirmi che prima o poi avrei aperto una fondazione, visto il ritmo e la passione con cui acquistavo l’arte. Man mano che questa idea ha preso corpo nella mia testa è aumentato anche l’interesse per altri artisti italiani, come Giuseppe Penone e Michelangelo Pistoletto”.

Ma l’obiettivo della fondazione non è solo quello di presentare al pubblico un patrimonio artistico privato di grandissimo valore che merita di essere condiviso. Si rivolge anche e soprattutto agli artisti libanesi ai quali si propone come una piattaforma di dialogo e confronto, tra loro stessi ma anche con l’arte occidentale.

“Il mio obiettivo” conclude Salamé “è che la fondazione contribuisca a rimettere Beirut sulla mappa internazionale della cultura e del turismo. In Libano ci sono tante tradizioni, musei, siti turistici, che però non vengono apprezzati nella maniera dovuta perché le persone hanno ancora paura a venire.

Allo stesso tempo, la gente di Beirut troverà nella fondazione un nuovo luogo dove recarsi per fare shopping e divertirsi ma anche per aggiornarsi su quanto avviene nel mondo contemporaneo dell’arte e della cultura internazionale. Spero che tutto questo permetta di comunicare nel mondo una nuova immagine del mio Paese”.

Testo di Maddalena Padovani – Foto di Juergen Teller e Guillaume Ziccarelli