Una cintura frammentata, un building all’interno del quale la composizione risulta restituita da un atrio centrale coperto sul quale affacciano tre edifici in mattoni rossi articolati su altrettanti livelli, nel complesso 40.000 mq destinati ad auditorium, cinema, mediateca, impianti sportivi, sale espositive e di sperimentazione artistica. “Un luogo concepito come motore di vitalità e di cultura secondo il motto latino Mens sana in corpore sano” ha spiegato l’archistar del design. Il risultato di un’opera corale:“Mi sono sentito coinvolto più come un direttore d’orchestra o come un regista che come un architetto in senso tradizionale” ha aggiunto.
E, in questa prospettiva, risulta interessante la sua collaborazione con lo scenografo italiano Lorenzo Baraldi, che gli ha consentito di risolvere la criticità visiva di 43 pilastri, anche affiancati da pluviali, che punteggiano proprio lo spazio d’ingresso, fulcro di connessione e snodo tra le varie attività. “Ho sempre visto che nei film tutto accade dietro le colonne... dietro le colonne si nascondono rappresentazioni di dramma, bellezza, storia. Ogni colonna, messa in relazione con la sua cultura ed epoca, crea diverse interpretazioni, ambientazioni ed emozioni” ha raccontato Starck nel bel documentario-video 43 Colonne in scena a Bilbao prodotto da Schicchera Production, scritto e diretto da Eleonora Sarasin e Leonardo Baraldi (figlio di Lorenzo). Da questa riflessione, alla scelta di uno scenografo legato al mondo del cinema, il passo è stato breve.
Su suggerimento del capoprogetto Stefano Robotti, tre anni fa Starck ha chiamato proprio Lorenzo Baraldi, classe 1940, parmense, studi di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, un autentico talento nel disegno; e una carriera pluripremiata, segnata anche dal David di Donatello e da collaborazioni con registi come Dino Risi, Mario Monicelli, Massimo Troisi, Paolo Virzì, Paolo e Vittorio Taviani, Alberto Sordi. Lo scenografo di film quali il Marchese del Grillo (1981), Amici Miei (1975), Profumo di Donna (1974), entra in questa storia quasi per caso. Alla sua prima volta col design, è chiamato a realizzare un’installazione permanente proprio nel cuore dell’edificio: avvolgere i 43 pilastri preesistenti con colonne tutte differenti per forme, materiali e apparato decorativo, ispirate alle culture di tutte le epoche.
“In modo che, zigzagando tra queste colonne, si attraversi la geografia, la storia e il tempo. Uno spazio-tempo aperto in cui tutti si possono ritrovare” ha precisato Starck. Lorenzo Baraldi effettua una ricerca iconografica di modelli cui ispirarsi nel suo studio romano di Cinecittà, una sorta di museo del cinema popolato di plastici e foto di scena. “Una volta arrivati da Parigi i primi fax con gli schizzi e le indicazioni di Starck, ho elaborato circa 800 disegni” ricorda “iniziando, ispirandomi agli stili egiziani, assiro-babilonesi, greci e romani, classici”. È un tripudio materico, suggestivamente materico, di arabeschi scolpiti, cascate di fiori, frutta, grappoli d’uva, foglie di edera attorcigliata che entusiasma Starck che si concentra sul dettaglio e sulla perfezione realizzativa dei singoli pezzi. Una volta ottenuti i disegni definitivi, un laboratorio di scenografia realizza i 43 modellini. Una pratica consueta nel quotidiano di Baraldi.
“Il modellino nel cinema è molto importante, perché molti registi non riescono a leggere una pianta, un alzato, una prospettiva” ha spiegato. Il prosieguo del progetto non è da mission impossible. Baraldi conosce i migliori laboratori specializzati nel campo cinematografico e teatrale a cui si rivolgono scenografi e costumisti di tutto il mondo. Nella fattispecie, su precisa richiesta di Starck, non ammette alcuna concessione all’utilizzo di materiali “poveri” familiari ai set come il gesso o la vetroresina, bensì privilegia la scelta di materie nobili appartenenti alla storia dell’architettura e finiture d’eccellenza quali la laccatura a mano data a pennello.
Tra Carrara, Lecce, Roma, Firenze, Perugia e Milano, individua i territori d’elezione e i maestri della grande tradizione artigianale italiana, che realizzeranno le colonne in sette materiali diversi: legno, marmo, cemento, terracotta invetriata, mattoni, pietra leccese, acciaio. Soltanto il bronzo e l’alluminio sono di fattura spagnola. Lo scenografo italiano coordina tutte le fasi, dall’idea all’installazione, si confronta nei vari cantieri con le difficoltà della realizzazione. “È stato anche un modo” conclude “per monitorare sul campo la forza di sperimentazioni tra metodi di lavoro antichi e tecnologie all’avanguardia”. Perché, alla fine, come diceva un grande architetto torinese, Carlo Mollino, “il significato non sta nelle parole, ma nell’accento”. E più che una figura cristallizzata nelle solidità dei suoi muri centenari, Alhóndiga Bilbao resta un ‘ambiente’ vivo e dinamico che appartiene ai suoi fruitori e alla città. Insieme alle sue colonnescultura che, tradotte in una sequenza filmica narrativa, assurgono ancora di più a “simbolo auspicabile di una società contemporanea trasversale, multiculturale e multietnica, aperta al dialogo e all’interscambio”.
Da un incontro con LORENZO BARALDI Quali sono le differenze a livello teorico e pratico, di concept e di cura realizzativa, tra il progetto di una scenografia effimera per il cinema e di una scena permanente per l’opera architettonica? “Soltanto i materiali, non ‘fissi’ e ‘poveri’, ma facilmente rimuovibili.
Per il resto non c’è alcuna differenza nell’ideazione e nella progettazione, anche se lavorando con Starck mi sono accorto che la sua visione di designer è molto legata al dettaglio, alla perfezione esecutiva, mentre personalmente resto più focalizzato su una prospettiva d’insieme”. In questo lavoro ha seguito ogni fase, dall’idea all’installazione, come un progettista che disegna un pezzo d’arredo fino a vedere la nascita della sua creatura. Funziona così anche nel cinema? “È stata proprio la mia esperienza di cinema a consentirmi di svolgere questo compito. In realtà sul set si fa molto più design di quanto si possa immaginare. Consideri che in due anni realizzo 4/5 film in media e in ogni film mi trovo ad arredare più di 100 ambienti”. A livello di risorse umane coinvolte e di tempistica siamo sullo stesso piano? “Dipende dalla mole del film. A volte le squadre sono piccole, a volte molto numerose e lavorano su più set in contemporanea, ma i tempi di realizzazione sono sempre strettissimi, molto veloci, in posti spesso isolati, tra le montagne o in mezzo a un deserto, vere gare del tempo, non rapportabili alle deadline dilatate dell’architettura e del design d’interni. Nella fattispecie, Starck mi ha chiamato nel 2008, ma dall’ideazione al montaggio delle colonne nel 2010 sono trascorsi soltanto 5 mesi”. Qual è il peso del disegno nella costruzione di una scenografia cinematografica? “Il disegno è estremamente essenziale. Col disegno si ‘parla’ con il regista, il produttore, i realizzatori, perché un bozzetto fa capire immediatamente. Non voglio sentire parlare di AutoCAD perché è un mezzo freddo, non restituisce l’atmosfera dell’ambiente e tanto meno dell’arredamento. I miei assistenti devono assolutamente saper disegnare”. Un bilancio dell’esperienza starckiana? “Positivo, è stato come lavorare con un bravo regista, che mi ha richiesto un certo tipo di lavoro e io, come faccio sempre, gli ho sviluppato varie ipotesi e abbiamo scelto quelle più adatte al suo progetto”. Quali sono i suoi riferimenti elettivi in termini di ispirazione progettuale? “Sono onnivoro: le mie ricerche spaziano dalle riviste di settore alla pittura contemporanea, mi emoziono ancora davanti al design di Gio Ponti, Ettore Sottsass, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, che hanno davvero rinnovato lo scenario dell’abitare. Comunque la mia formazione da ex studente di Brera è soprattutto pittorica. Come periodi artistici, le mie preferenze vanno all’impressionismo e ai macchiaioli”.