Claudio Luti e Antonio Citterio, l’imprenditore di successo e il designer di successo. Due protagonisti del design italiano, una stessa visione del progetto, radicata nella cultura industriale del prodotto d’arredo.
Dalla loro collaborazione, che quest’anno festeggia il quarto di secolo, sono nati progetti Kartell di grande notorietà e fortuna, che partono dal carrello Gastone, passano per il sistema di cassettiere modulari Mobil, vincitore del Compasso d’Oro nel 1994, arrivano alla nuova linea di tavoli Multiplo. In un dialogo a doppia voce, Luti e Citterio raccontano la storia di un sodalizio che si è alimentato di sfide continue e oggi punta a nuovi ambiziosi traguardi.
Tutto è cominciato 25 anni fa, nel 1992. Dopo quattro anni di presenza attiva di Claudio Luti in Kartell, inizia un nuovo rapporto di collaborazione, con Antonio Citterio. Parlateci di questo incontro.
Claudio Luti: L’incontro con Antonio, il terzo designer che ho contattato dopo il mio arrivo in Kartell, è stato determinante quanto quello con Philippe Starck, perché ci ha permesso di scardinare le regole dell’industrializzazione della plastica. Abbiamo, per esempio, cambiato gli spessori dei prodotti.
Abbiamo dato una nuova qualità tattile e percettiva alla materia. L’abbiamo abbinata ad altri materiali. Il nostro obiettivo era cambiare l’immagine della plastica che, a quei tempi, era ancora quella degli anni Settanta. Da questo punto di vista, la collezione Mobil rappresenta una pietra miliare della storia di Kartell. Il suo progetto è nato dall’idea di fare la cosa più bella che ai tempi si potesse realizzare industrialmente con la plastica.
Eravamo convinti che per fare questo bisognasse dare consistenza e importanza al materiale e quando chiedevo agli ingegneri dell’azienda di aggiungere plastica, succedeva che questi mi guardassero basiti: mi chiedevano se mi rendessi conto che in questo modo avrei speso più soldi inutilmente, dato che i prodotti funzionavano anche con meno materia.
La stessa cosa succedeva quando, parlando del carrello Battista di Antonio, dicevo loro che, chiudendosi, avrebbe dovuto fare il rumore della portiera di una Rolls Royce, e non quello di un’utilitaria. Il mio obiettivo non è mai stato quello di offrire il prezzo più basso, bensì di realizzare quanto di meglio si potesse fare secondo la logica della produzione industriale.
Antonio Citterio: Agli inizi degli anni Novanta imperava ancora l’idea che il prodotto di plastica dovesse essere realizzato tutto nello stesso materiale, mentre a nostro parere il suo utilizzo era giustificato solo là dove serviva.
Non a caso, sia io che Starck abbiamo deciso di ricorrere al metallo e all’alluminio per realizzare la struttura dei nostri prodotti; abbiamo inoltre rafforzato gli spessori, abbiamo lavorato sugli spigoli (quando prima tutto era arrotondato) e sulla percezione della materia. In altre parole, abbiamo sviluppato una ricerca sul linguaggio che è poi esplosa dal 1994 in avanti.
Ricordo quando abbiamo voluto dare alla plastica un aspetto simile al plexiglass colorato blu: la ricerca si è focalizzata sul materiale, ma anche sul processo e il risultato è stato sorprendente. Gli architetti entravano nello stand del Salone e si mettevano a grattare il materiale per capire cosa fosse…
Nessuno lo mette in evidenza, ma quattro anni dopo la Apple è uscita con il computer in plastica trasparente verde realizzato con la stessa tecnologia. Ogni prodotto che abbiamo progettato ha rappresentato una sfida a fare qualcosa di diverso con la plastica. Ancora oggi, quando mi incontro con Claudio per pensare a un nuovo progetto, non discutiamo mai di idee formali, quanto di strategie e innovazioni, relative sia a un processo che a un materiale.
Quali sono stati i momenti più stimolanti e le sfide più impegnative della collaborazione tra Luti e Citterio?
A.C.: Le sfide sono proprio gli incontri iniziali da cui nascono i nostri progetti condivisi. Parlando, troviamo la motivazione per sviluppare un nuovo progetto.
C.L.: Antonio non è certo il progettista che si presenta con il disegno di un prodotto nuovo. Pone alla base del progetto il dialogo con l’azienda, sulla base del quale mette a fuoco l’idea e quindi il concept del nuovo prodotto.
Qual è la caratteristica e la dote che ciascuno di voi apprezza maggiormente dell’altro?
C.L.: Con tutti i progettisti che collaborano con Kartell ho un rapporto diretto e paritario. Mi piace sedermi al tavolo con loro e discutere delle direzioni di progetto da sviluppare. Forse con Antonio è più difficile trovare la partenza, perché giustamente richiede un’idea iniziale molto forte. Una volta individuata, però, con lui diventa molto facile seguirla. Tiene l’asticella molto alta e pretende molto dall’azienda; ma fa bene, perché ha ben chiara l’importanza della ricerca e dell’innovazione.
A.C.: In Claudio trovo una critica che è sempre molto stimolante. Anche se è arrivato nel mondo del design con un certo ritardo, avendo in principio lavorato in quello della moda, è capace di entrare molto bene nel prodotto, è in grado di capirlo e di giudicare se può funzionare o meno. Ha una sensibilità che non tutti gli imprenditori del design hanno. La storia del design è una storia di relazioni tra il progettista e l’imprenditore. Non esistono buoni prodotti che nascono al di fuori di una sinergia tra persone.
C.L.: Quando ho incontrato per la prima volta Vico Magistretti, mi ha detto: “Il design bisogna farlo in due, l’architettura la si può fare anche da soli”. Questo mi ha insegnato a non delegare mai il rapporto con il progetto e i progettisti.
Al Salone 2017 Kartell ha presentato la versione definitiva e ampliata della collezione di tavoli Multiplo, firmata Citterio, che sembra spostare l’attenzione dal singolo prodotto a una visione sistemica dell’elemento d’arredo. Che cosa significa questo passaggio di scala?
C.L.: Credo che sia sbagliato continuare a pensare alla Kartell come a un’azienda di prodotti di plastica. Noi facciamo progetti industriali e utilizziamo qualsiasi materiale risulti rispondente a questo obiettivo.
La linea di tavoli Multiplo è un progetto industriale il cui obiettivo è coprire l’intera gamma dei tavoli realizzabili mediante stampaggio, quindi a costi accessibili, rispondendo alle più svariate esigenze. Indipendentemente dall’impiego di polipropilene, policarbonato o altri materiali plastici, la nostra missione è questa: industrializzare il prodotto, quindi affrontare in termini industriali la logistica, la distribuzione e quanto ruota attorno a esso.
A.C.: La linea di tavoli Multiplo nasce dall’esigenza di allargare l’offerta dell’azienda nel mondo del contract. Il prodotto Kartell ha la caratteristica di vivere sia in spazi residenziali che in spazi a funzione mista. Il nostro obiettivo era occupare in modo più deciso uno spazio in cui il catalogo Kartell non aveva ancora una proposta mirata.
In termini progettuali, l’idea arriva dall’architettura, dove in questo momento sto facendo ampio ricorso a un materiale ceramico di 6 mm di spessore, di grandissima resistenza. Lo sto impiegando, per esempio, su 60mila metri quadri di superficie dell’aeroporto di Doha, dove tutti pensano che si tratti di una pietra.
La sfida a cui avevamo pensato inizialmente era abbinare la ceramica alla plastica, ma colore su colore, in modo da creare un effetto monomaterico. Successivamente abbiamo visto che la ceramica funzionava bene anche nella versione marmo: un passaggio epocale, per me! Mai avrei pensato, negli anni Ottanta, di disegnare dei tavoli in marmo finto…
Ma questo fa parte di un’evoluzione del pensiero progettuale che nell’architettura è molto visibile. Fino a poco tempo fa, infatti, l’opera architettonica era concepita come un monoblocco, in cui la struttura era parte integrante dell’apparato decorativo.
L’innovazione tecnologica ha fatto sì che oggi, invece, tutto sia ridotto a un layer e questo rende superata l’idea che un materiale debba essere espressione del materiale stesso. L’architettura è diventata un involucro esterno alla struttura, secondo un approccio contrario a quello sostenuto dal pensiero dei razionalisti. Allo stesso modo, è cambiato l’approccio al design. Ed è diventato molto più funzionale e sostenibile utilizzare un piano in ceramica a effetto marmo piuttosto che il marmo vero.
Questo aprile Kartell e Citterio hanno presentato anche il secondo step di una ricerca orientata alla sostenibilità: la Bio Chair. Ci raccontate come è nata questa ricerca?
A.C.: Un giorno Claudio mi racconta di avere acquisito l’esclusiva di un materiale di origine vegetale nato in Italia; in pratica, una plastica non derivata da idrocarburi, biodegradabile, che presenta però la resistenza necessaria per ottenere le certificazioni a cui un arredo in plastica tradizionale deve sottostare.
È iniziata una sfida a cui stiamo dedicando molto impegno: la sperimentazione è focalizzata sulla verifica del comportamento del materiale in fase di lavorazione industriale. Anche in questo caso, mai mi sarei immaginato di cimentarmi su una sedia ecologica… È un progetto che fa parte di un nuovo percorso di ricerca e di un passaggio probabilmente epocale della produzione industrale.
C.L.: La nostra grande fortuna è che Kartell, come altre aziende del design che hanno fatto innovazione, sono molto rispettate, sia in Italia che all’estero. Le grandi multinazionali che producono materiali sono disposte a seguirci e a collaborare, così come i produttori di macchine, i fornitori, i terzisti.
È successo, per esempio, quando abbiamo sviluppato la ricerca sul policarbonato, per cui la General Electric ci ha dato un importante supporto. Il risultato è stato che, mostrando le sedie Kartell, l’azienda americana ha poi venduto policarbonato in tutto il mondo. Tutti sono capaci di fare una sedia biodegrabile, se questa deve stare semplicemente in un museo.
La vera sfida è far sì che questa funzioni veramente, che abbia una ragione industriale e che sia competitiva sul mercato.
Intervista di Gilda Bojardi – A cura di Maddalena Padovani