Il sogno di Humberto Campana dopo la scomparsa di Fernando e 40 anni dopo la nascita di uno degli studi che hanno segnato la storia del design mondiale

Abbiamo incontrato Humberto Campana nel nuovo studio di San Paolo che aveva scelto insieme a Fernando otto mesi prima della sua prematura scomparsa nel novembre del 2022, a soli 61 anni.

Un passaggio molto delicato: Humberto sta ancora metabolizzando la perdita di “un partner, un amico, un fratello”; noi abbiamo sempre letto come un’unica entità le opere di Fernando, il più artistico ed estroverso del duo, e di Humberto, il più introverso, laureato in legge, fin dal 1984 quando è nato lo studio brasiliano che ha segnato una nuova via del design sul palcoscenico internazionale.

Con i progetti per Edra (iconici) e Paola Lenti, ma anche per Louis Vuitton, Baccarat, Alessi, Artemide, Nodus, con il parigino Café Campana realizzato al Museo d’Orsay, l’antica stazione ferroviaria del XIX secolo ridisegnata da Gae Aulenti e molto altro fino ad oggi.

Come stai Humberto?

Humberto Campana: "Posso dirti che sto lavorando tanto perché il lavoro mi guarisce, l’energia che si respira qui dentro è vitale. Manca Fernando con la sua allegria e giovialità.

Ora io devo essere un po’ anche lui per dare un segnale positivo a tutti, in primis a chi lavora con noi, una ventina di persone.

Ma è stato molto difficile questo periodo e ha coinciso con uno sguardo introspettivo, di riflessione e trasformazione mia come persona: ti rendi davvero conto che la vita è molto breve. Sto provando ad essere meno ansioso, ad alleggerirmi, a cercare la lentezza che a settant’anni mi può rendere più felice".

Come è cambiato il lavoro senza Fernando e di cosa ti stai occupando ora?

Humberto Campana: "Fernando è sempre con me. Credo nella spiritualità. Sogno con lui e continuo quello che lui ha lasciato incompiuto: molti collage, acquerelli, sculture – sto riunendo tutto, mettendo insieme pezzi che sul piano simbolico sono restati separati con la sua morte.

Prendere quello che è rimasto e ricucirlo in nuovi collage è anche una forma di speranza che mi emoziona.

A San Paolo ho realizzato un grande murale (12x8 metri) in piastrelle per la facciata di un palazzo – ispirato da un suo disegno grafico che interpretava motivi di azulejos portoghesi. E sto collaborando alla realizzazione dell’hotel Rosewood São Paulo a Cidade Matarazzo: ci sono disegni di Fernando e miei nella promenade in cemento colorato che riscatta l’immagine in bianco e nero della città inghiottita dal traffico, coronando il progetto di Jean Nouvel e Philippe Starck: si inaugura in primavera.

Mi muovo su più scale d’intervento, con l’urgenza di fare delle cose ma anche di piantare degli alberi in campagna che possano crescere veloci. È un atto catartico e rigenerativo. Quando si perde una persona importante si apre anche un altro portale e sento che questo canale è aperto".

E dove sta andando la ricerca del nuovo Humberto?

Humberto Campana: "In questo momento verso la ricerca di una qualità autentica della vita, anche nel vedere le cose banali sotto un’altra luce. La direzione resta sempre quella della spiritualità, della sacralità e dell’affettività degli oggetti.

Con più consapevolezza, valori che possano portare allegria a chi li userà. Mi interessano sempre molto i materiali, da cui tutto ha inizio. E in una linea di continuità con il mio percorso, l’artigianato e il fatto a mano, le forme organiche anche frammentate ispirate dalla natura, il racconto di storie pazzesche fuori dagli schemi.

Proseguo la sperimentazione con la terracotta mixata con altri materiali come il cuoio, che avevo iniziato con Fernando e che aveva portato a una mostra di oggetti qui a San Paolo, “Polifonia Campana”, nel mese di novembre in cui lui ci ha lasciato.

Si è approfondita e sto preparando una collezione in terra battuta, paglia naturale e scarti di alluminio, che sarà esposta presso la galleria Friedman Benda a New York il prossimo marzo.

Giocare con il silenzio dell’adobe e il caos dei rifiuti urbani di alluminio mi consente di riflettere sulle loro potenzialità, anche in chiave di riciclo e riuso creativo.

Sono stato poi di recente a Mumbai per una mostra dove è stato presentato un nuovo cabinet in rafia e metallo dorato fatto con artigiani indiani. Sto anche curando un libro sul metodo Campana, un racconto del nostro format particolare, unico, della progettazione.

La formazione, la scuola, esperienze di internship, la Fondazione sono temi che mi stanno molto a cuore. L’idea è che questo stesso studio un domani possa essere un lascito per le nuove generazioni, perché il nostro viaggio non venga disperso, anche se già dal 2009 c’è l’Instituto Campana dove il design è usato come veicolo di trasformazione e inclusività sociale con la partecipazione della comunità".

Sarai a Milano ai Saloni il prossimo aprile? E che cosa ci porterai di bello?

Humberto Campana: "È ancora tutto in fieri con le aziende. Rivelo soltanto che Francesca Molteni e Maria Cristina Didero stanno girando un documentario per la celebrazione del quarantesimo anniversario di studio Campana, 40 anni di attività nel 2024, che sarà presentato al Salone del Mobile".

Ritornando allo studio, perché l’avete cambiato?

Humberto Campana: "Avevamo bisogno di uno spazio più grande, luminoso, trasparente e dall’atmosfera più leggera. L’abbiamo trovato in un’area prossima alla SESC Pompéia di Lina Bo Bardi, l’architetta che ha progettato la Casa de Vidro.

Ci sono molti italiani qui e l’industria Matarazzo ha iniziato la sua attività proprio in questa sorta di piccola città. In origine lo studio era un’officina dove venivano riparate le auto, molto buia. Abbiamo aperto tutto e creato dei giardini verticali per portare dentro la luce e la natura.

Il posto che sento più mio è diventato quello accanto alla vetrata in dialogo con il giardino dei cactus esterno, vicino al divano disegnato per Paola Lenti.

Sono 600 metri quadri distribuiti su tre livelli, tutti i percorsi sono fluidi, ci sono un grande laboratorio per la costruzione di modelli e prototipi e una grande cucina.

Questo studio rappresenta la mia famiglia, è dove mi sento a casa. Al momento giusto è arrivato anche il manager Waldick Jatobá, un grande appassionato di arte e design, presidente/direttore della Casa de Vidro e fondatore/curatore dell’evento annuale MADE - Market, Art, Design.

Ha un po’ preso il posto di Fernando e questo mi lascia spazio e tempo per la concentrazione.