I linguaggi dell’arredo sono sempre più vicini al codice visivo degli oggetti immaginari che nascono e vivono sui social, e che pur non avendo un corpo fisico interagiscono in modo concreto con la dimensione reale del progetto

I numeri non sono tutti uguali. In matematica, esistono infatti diverse classi di numeri che rispondono ciascuna a tecniche di calcolo differenti. Ci sono i numeri ‘interi’, i numeri ‘razionali’ e i numeri ‘irrazionali’, tutti appartenenti al grande insieme dei numeri ‘reali’. E poi ci sono i numeri ‘complessi’, così detti perché composti da un numero reale combinato all’unità immaginaria ‘i’, ovvero quella particolare unità che, quando viene elevata al quadrato, dà come risultato -1 (ciò che sarebbe impossibile con qualsiasi altro numero, perché tutti i numeri reali, sia positivi che negativi, quando vengono elevati al quadrato danno come risultato un numero positivo). L’aspetto affascinante dei numeri complessi è che, anche se “non dovrebbero esistere” (come ebbe a dire Cartesio), si sono rivelati necessari in molte applicazioni pratiche che vanno dall’ingegneria alla meccanica quantistica. Questi numeri, cioè, che sempre Cartesio definì “immaginari”, pur non avendo un diretto corrispettivo materiale hanno un ruolo fondamentale nei calcoli che descrivono il comportamento di sistemi fisici reali.

Qualcosa di simile avviene con gli ‘oggetti immaginari’, entità sempre più diffuse nel panorama visivo contemporaneo, consistenti in oggetti puramente virtuali che esistono solo come rendering 3D, e che tuttavia interagiscono con la dimensione fisica del progetto. Questi ‘oggetti immaginari’ sempre più influenzano, modellano, spostano le cose materiali, con le quali interagiscono in maniera concreta. Tra i casi più evidenti vi è senz’altro quello del designer argentino Andrés Reisinger, i cui dieci oggetti immaginari appartenenti alla collezione The Shipping sono stati venduti all’asta per una cifra complessiva di 450.000 dollari. Certamente, se da un lato la produzione visiva ha sempre influenzato l’estetica dei prodotti reali, dall’altro qui ci troviamo di fronte a un fenomeno completamente nuovo, che consiste nella generazione di oggetti irreali che hanno un valore originale di per sé e non in funzione di una loro, eventuale e non sempre necessaria, traduzione materiale. Se quella di Reisinger può sembrare un’operazione artistica, altre iniziative molto più pragmatiche si stanno già rivolgendo al mondo della produzione.

È il caso della fiera virtuale ExpoWanted, che offre alle aziende di design la possibilità di mostrare i loro prodotti a buyer e visitatori per 365 giorni l’anno sotto forma di rendering 3D e installazioni di realtà aumentata. Come spiega Patrick Abbattista, ceo di DesignWanted, la società che ha realizzato il progetto, “ExpoWanted è ciò che serve alle aziende per esporre in modo tridimensionale i loro prodotti, farli ‘toccare con mano’ anche a distanza. Nel mondo del design, i dettagli sono tutto. I materiali, le tecniche, le finiture, sono parte essenziale della vendita”. In un’epoca in cui sempre più decisioni di acquisto maturano da un’esperienza online, anche alcune tra le aziende protagoniste del settore arredo, come Pedrali, Natuzzi e Herman Miller, sono già entrate a far parte della piattaforma, che si aspetta una crescita non solo nell’anno della pandemia ma soprattutto in quelli a venire, in cui il ritorno alla ‘nuova normalità’ vedrà un’integrazione sempre più strutturale tra esperienza reale e virtuale.

Gli ‘oggetti immaginari’, entità sempre più diffuse nel panorama visivo contemporaneo, consistono in oggetti puramente virtuali che esistono solo come rendering 3D, e che tuttavia interagiscono con la dimensione fisica del progetto. Questi ‘oggetti immaginari’ sempre più influenzano, modellano, spostano le cose materiali, con le quali interagiscono in maniera concreta."

Del resto, che il virtuale sia qui per restare lo si vede, paradossalmente, soprattutto guardando cosa sta succedendo nel design dell’arredo solido, che sempre più mutua il proprio mood estetico da quello degli oggetti immaginari. È il caso di progetti come il sofà Stack di Nendo per La Manufacture o Costume di Stefan Diez per Magis, che declinano il corpo del prodotto in una materialità visiva dal sapore morbido, soffuso, docile al tocco ottico e dall’aspetto quasi zuccherino. Anche la chaise longue in legno di betulla Ro del norvegese Nils Stensrud e persino il modello di orologio True Square di Formafantasma per Rado, pur essendo oggetti assolutamente ‘seri’ ed efficienti, hanno in sé qualcosa che ricorda l’estetica dei giocattoli, riproducendo nel design di prodotto quello che già succede nel design grafico delle icone degli smartphone, che danno accesso alle funzioni altamente performanti del dispositivo attraverso una grammatica visiva simile a quella dei giocattoli. Ci troviamo qui in una fase completamente nuova del design, che forse non è nemmeno più solo contemporanea ma ‘post-contemporanea’, totalmente oltre l’adagio storico del progetto moderno, secondo cui la forma doveva seguire la funzione, e oltre anche la sua antitesi postmoderna, secondo cui la forma doveva, tuttalpiù, giocare con la funzione.

La forma, oggi, avvolge, coccola, assorbe la funzione, come nell’opera parietale Flock Shapes della textile designer Kristine Mandsberg. Il corpo dell’arredo si sta facendo sempre più visivamente soffice, omeopatico, morbido e ammorbidente la semiotica altrimenti spigolosa dell’ambiente, come nella seduta Royce di Nikolai Kotlarczyk per il marchio SP01 e nei pannelli fonoassorbenti Paddle di Studio 28 per Ronda Design. Persino prodotti dal cuore tecnologico, come la lampada Bloom di Tim Rundle per Resident o come l’altoparlante wireless Beosound Balance di Benjamin Hubert per Bang & Olufsen, incarnano il concept in una materialità dolce, impalpabile, che sembra assorbire nel suo tepore estetico lo sguardo stanco di luccichii dell’utente digitale.