L’esplosione dei biomateriali: dalle scarpe da tennis ai mobili ogni prodotto potrebbe essere perfettamente deperibile. Ma siamo davvero pronti?

Dopo anni di reclusione in un circuito considerato sperimentale e di nicchia, i biomateriali sono entrati ufficialmente nel mainstream.

Design e moda si contendono il privilegio di produrre con plastiche derivate da bucce di patata o pelli da miceli. Non c’è niente di meglio, a quanto pare, che mettersi in casa un mobile capace di decomporsi e ai piedi delle sneaker praticamente commestibili.

Ma, moda a parte, cosa sono veramente i biomateriali e quando ha senso usarli?

Biomateriale vuol dire biodegradabile?

A grandi linee la definizione 'biomateriale' appartiene al mondo della chimica e descrive una materia che interagisce in modo positivo in un ambiente organico.

Per estensione si usa la definizione 'biomateriale' per qualsiasi sostanza che, a contatto con un ambiente naturale o un sistema organico, non inquina e non crea squilibri. Un materiale in grado di dissolversi ritornando a far parte della natura.

Questo ovviamente può accadere solo quando muffe, funghi, acqua e luce solare possono attivare il processo di decomposizione che caratterizza qualsiasi materia organica. Biomateriale e materiale biodegradabile sono quindi due cose diverse.

La parola chiave è rigenerazione e il processo che sottintende è vagamente respingente.

Organico come una buccia d’arancia

"C’è grandissima attenzione ai biomateriali in questo momento", spiega Marilù Osculati di Krill Design, una startup milanese che ha inventato Rekrill, un materiale bio based fatto con scarti di cibo (al momento bucce d’arancia e caffè, ma si può usare praticamente qualsiasi avanzo della catena alimentare).

"La qualità migliore dei materiali biobased è che non non hanno bisogno di essere processati in discarica per poter rientrare nel ciclo naturale. Si decompongono spontaneamente se messi nelle giuste condizioni, sono compostabili. Non c’è miglior argomento della deperibilità a favore delle scelte ecologiche".

Orientarsi nel mondo della sostenibilità con un parametro semplice come il biodegrado totale di un prodotto, è più semplice e immediato che destreggiarsi fra cifre e percentuali.

Ma il problema non si può evitare: esiste una ragione sensata dal punto di vista della carbon footprint per usare i bio materiali?

Le buone ragioni degli oggetti compostabili

"Un chilo di biomateriale equivale a un chilo di Co2. Il resto lo fa il progetto di economia circolare che in linea di principio dovrebbe essere alla base di qualsiasi operazione a favore della sostenibilità e della transizione ecologica", precisa Osculati.

Molte startup nate per fare ricerca e produzione di materie bio based si danno delle regole all'interno delle quali sviluppare la propria impresa, spesso sotto forma di manifesti e policy indirizzati a una crescita coerente.

"Nel prossimo futuro di Krill Design c’è la dislocazione produttiva: la stampa 3D è facilmente ricollocabile e conviene disseminare geograficamente le macchine piuttosto che spostare i prodotti.

Lo sviluppo in un quadro di sostenibilità va verso scelte sempre più razionali, verso la ricerca su nuovi materiali e la scalabilità del progetto". Ovvero: impattare significa poter produrre qualsiasi nuovo materiale in grande quantità e utilizzarlo in modo massivo.

Una libreria fatta di bucce d'arancia

È fattibile? Sì ma costa di più e non è sempre economicamente vantaggioso al momento.

Per una grande industria seriale è più facile scegliere di continuare con materiali tradizionali (da idrocarburi byproducts, da riuso o, dove possibile, da mais) e scommettere su altre forme di restituzione all’equilibrio del carbonio. E c’è sempre da superare un bias percettivo: biomateriali per una libreria? Ha senso?

"Il cliente può avere il timore che l'oggetto acquistato inizi, ad un certo punto, a corrompersi. Ci sono molti materiali biodegradabili. Le proprietà meccaniche e di resistenza sono però diverse a seconda della composizione e della struttura chimica.

Alcuni sono senz'altro adatti allo sviluppo di prodotti di grandi dimensioni come gli arredi, perché si decompongono solo se messi in certe condizioni. Noi stiamo iniziando a sviluppare una collezione big".

Nature knows better: la natura sa come fare

La startup britannica Notpla produce contenitori monouso per alimenti. Uno dei loro prodotti, battezzato Ooho!, è anche commestibile.

Nopla ha messo online un video con il processo di degradazione e di dissoluzione nel terreno. Che è il primo step del riutilizzo in un altro ambito: il manifesto di Nopla (e anche quello di Krill Design) dice che 'nature knows better'!

L’idea di decomposizione è difficile, in un certo senso. Per una ragione molto semplice: coinvolge l’idea della fine e della transitorietà.

Oggetti sensati in materiali compostabili

Infatti altri progetti che coinvolgono un uso sensato dei materiali compostabili hanno ad esempio delle analogie semantiche, come le bare Living Cocoon di miceli progettate da Bob Hendrikx, che ha fondato anche un brand.

Oppure trovano un uso legato alla transitorietà della funzione, come le pantofole per bebé Woolybubs.

Ma come dice il designer e fondatore di Mogu Fabrizio Montalti qui: "Dal mio punto di vista contiene invece un’idea molto potente: quella di rinascita e di rigenerazione. In natura, ed è lì che bisogna guardare se si vuole imparare qualcosa di nuovo, niente scompare. Semplicemente cambia forma.

Qualcosa induce la materia a transitare da uno stato a un altro. Studiando il mondo naturale mi sono presto reso conto del ruolo chiave dei funghi come agenti di questa rigenerazione nell’ecosistema".