Matteo Bazzicalupo e Raffaella Mangiarotti, alias Deepdesign, hanno ricevuto il Design Europa Awards per la macchina da caffé Full Automatic Espresso progettata per SMEG

Come si vince un design award? Esiste una strategia vincente per fare del buon design? Risponde il duo di Deepdesign, che ha appena ritirato il premio dell’Euipo, l’ufficio europeo per i brevetti di design. Un design award assegnato dopo la valutazione di 700 candidature secondo parametri di invenzione, ergonomia, semplicità funzionale, sostenibilità. Gli ingredienti del buon design contemporaneo.

Progettare bene e aggiudicarsi un design award: più semplice a dirsi che a farsi?

Deepdesign: “La Full Automatic Espresso di SMEG è un prodotto concepito su una piattaforma tipologica e tecnologica molto diffusa. L’invenzione, l’ingegno, il nostro lavoro di designer, entrano in gioco in casi come questo su altri fattori.

Benché in passato abbiamo lavorato molto anche su innovazioni funzionali (la scopa elettrica pieghevole Flexica di Imetec è loro, ndr), in questo caso siamo partiti dal nostro DNA progettuale per portare più attenzione al contenuto sensoriale dell’oggetto, per umanizzare una macchina capace di esprimere, come accade spesso, prestazioni migliori di quelle delle persone”.

Umanizzare la macchina con il design è il focus del lavoro decennale per SMEG?

Deepdesign: “Abbiamo lavorato molto nell’ambito degli elettrodomestici e ci è sempre piaciuto affrontare i progetti con l’idea di aggiungere concetti di aiuto e servizio all’uomo. In passato ci sono esempi celeberrimi di design nel settore, da Dieter Rams in poi, il nostro lavoro però si concentra più su valori 'morbidi' e non sull'espressione estetica della potenza prestazionale”.

Qual’è l’aspetto vincente di questo atteggiamento progettuale?

Deepdesign: “Nel caso del Design Europa Awards crediamo che la sostenibilità intrinseca della macchina per caffè SMEG abbia fatto la differenza, insieme al volume del business generato dal prodotto, altro parametro importante del premio.

Ma probabilmente queste sono conseguenze dirette di scelte progettuali iniziali.

È un oggetto che non fa uso di cialde, avendo un macinacaffè integrato, per evitare numerosi passaggi di produzione e smaltimento che caratterizzano le cialde. Una scelta che ha una ricaduta sull’esperienza sensoriale: il profumo di caffè appena macinato si diffonde per la casa, è rassicurante, umano.

Abbiamo lavorato molto, e lo stiamo tuttora facendo, sul controllo del rumore, per evitare che la macchina risulti invadente con un rumore meccanico di prima mattina. C’è un’attenzione profonda all’interazione dolce con uno strumento tecnologico, alla possibilità di empatia fra uomo e macchina”.

Parliamo dell’aspetto formale: meno streamline degli altri prodotti SMEG ma, ancora una volta un oggetto morbido…

Deepdesign: “Quando abbiamo iniziato a lavorare su quella che dieci anni fa era la nuova linea produttiva di piccoli elettrodomestici per SMEG eravamo inconsapevoli che prima di noi erano passati dall’azienda molti designer di fama internazionale, con cui però il brand non aveva trovato una quadra.

In più, sempre senza saperlo, ci trovavamo nel fulcro di un passaggio generazionale, con tutte le difficoltà del caso.

C’era diffidenza sul progetto, timore per l’investimento che richiedeva e sui ritorni economici. Eravamo salmoni che nuotavano controcorrente, insomma”.

Come avete vinto la diffidenza del brand?

Deepdesign: “Ci siamo focalizzati sulla semplificazione dei comandi, sulla possibilità di scegliere il livello di approfondimento delle prestazioni funzionali, partendo da quello più intuitivo.

Abbiamo ridotto al minimo i pulsanti di comando e abbiamo dato spazio a una scelta formale che era già nel DNA aziendale: le forme bombate anni Cinquanta che hanno sancito il successo del frigorifero 50’s Style, senza dimenticare le lezioni di essenzialità formale dei maestri del design del settore.

È stato un successo inaspettato e l’azienda ha raddoppiato il fatturato con una tipologia di prodotto nel quale non era sicura di voler investire”.

Quanto conta l’azienda nel buon design?

Deepdesign: “L’atteggiamento culturale dell’impresa è fondamentale. La famiglia Bertazzoni, che ha fondato SMEG, è educata al bello, vive la dimensione artistica ed estetica della realtà quotidianamente.

È una fortuna. Perché ci concede di indugiare su dettagli, sempre sensati, che magari fanno lievitare i costi di produzione. Ma sono sempre scelte bene accolte, perché è più importante fare una cosa bella e sensata dal punto di vista umano che risparmiare.

Ci sentiamo quindi molto responsabili delle nostre scelte formali, non smettiamo di lavorare finché non siamo convinti di essere arrivati al miglior risultato possibile. Un design award è una conferma”.

Perché lo streamline piace sempre così tanto?

Deepdesign: “Lo streamline anni ‘50 ci riporta a un’epoca in cui si sognava molto, con grande fiducia. La memoria, contestualizzata in un frame intelligente, è rassicurante, addolcisce l’esperienza d’uso di macchine pensate per l’uomo.

Si ritorna al concetto di empatia, di attenzione ai sensi e al corpo, di forme gentili che tranquillizzano.

D’altro canto noi ci diamo un obiettivo ambizioso per la durata degli strumenti che disegniamo. Ci aspettiamo che piacciano fra vent’anni come adesso e il radicamento nella memoria ha dimostrato di essere una soluzione efficace, che supera le mode.

Siamo anche molto diffidenti sull’uso del colore, proponiamo sempre oggetti bianchi. Qui ovviamente interviene la scelta strategica del brand, che si orienta anche secondo il mercato del momento”.

Come accade per la capsule collection firmata Dolce&Gabbana?

Deepdesign: “Anche in quel caso il nostro lavoro è stato di ripercorrere e rispettare l’esistente. Abbiamo cercato una soluzione tecnica per l’applicazione del decoro che costasse meno di quella artigianale e al contempo restituisse la tridimensionalità tipica del decoro del carretto siciliano. Ci siamo messi al servizio dell’azienda e delle sue scelte. Il risultato ci ha convinto”.