La nuova collezione è stata disegnata per Margraf dall’architetto, designer e artista Raffaello Galiotto che ci ha raccontato come è nato il progetto

Frammento è qualcosa che, nell’immaginario collettivo, ha perso la sua interezza. Un frammento (in latino fragmentum, da frangere “rompere”) è ognuno dei pezzi in cui s’è rotto, frammentato appunto, un oggetto, oppure una piccola parte che si è staccata o è stata sottratta a un oggetto. Per Raffaello Galiotto frammento è il concetto che racconta l’essenza della nuova collaborazione con Margraf. Qualcosa che continua a esistere nonostante tutto. Un progetto, senza nostalgia per il passato e con un grande slancio verso il futuro, in cui il designer tenta di sondare la plasticità e le ultime tecnologie di lavorazione del marmo.

Il potere simbolico del marmo

Ispirata alle architetture classiche, agli elementi lapidei ancora oggi visibili nei siti archeologici, la collezione “Frammenti” nasce dalla riflessione sul potere simbolico e sulla percezione del marmo, materiale nobile, eredità di un passato di cui rimangono testimonianze sotto forma di rovine. La collezione si sviluppa intorno a questo concetto, mettendo in scena una composizione di elementi classici, dall’aspetto visivo innovativo, orientato allo stupore della scoperta più che alla malinconia e al rimpianto di rovine e vestigia cancellate dal tempo.

Un assemblaggio di frammenti

Partendo dall’architettura del mondo classico, Galiotto ha progettato tre sculture monolitiche in marmo che si trasformano in tre elementi di design: la colonna Corinthio, il tavolo Palladio e la seduta Peloponneso, forme scultoree frutto dell’assemblaggio di frammenti legati insieme da una materia elastica in marmo, un’anima che dona nuova vita a questi lacerti lapidei.

Tre marmi per tre elementi di design

Dalla vasta materioteca Margraf, il designer ha selezionato tre marmi (da Italia, Brasile e Vietnam) che danno vita a “nuove” rovine di materiali sconosciuti nell’antichità. Il marmo Fior di Pesco Carnico, con tonalità che sfumano dal bianco al grigio, al rosa chiaro va a comporre un tavolo le cui linee richiamano gli architravi dei portali classici. La seduta prende vita grazie all’intensità della quarzite Polaris Gold, con le sue variazioni cromatiche dal giallo al verde. Infine, le profonde venature scure del marmo Notre Dame conferiscono dinamicità alla colonna che, appoggiata a terra, richiama i resti degli elementi classici delle architetture antiche.

Abbiamo chiesto a Raffaello Galiotto di raccontarci la genesi del progetto.

Quale l’idea da cui nasce la collezione "Frammenti"?

“Frammenti” nasce per valorizzare la lavorazione contemporanea del marmo e il suo legame con la tradizione classica. Due aspetti apparentemente antitetici, ma ben rappresentati da una azienda di lunga tradizione come Margraf. Nell’immaginario comune, o almeno nel mio, il marmo è legato indissolubilmente all’antico, ai resti di civiltà scomparse, alle rovine, a città come Roma, Venezia…, costruite con marmi colorati provenienti da luoghi lontani. La collezione nasce da questo pensiero e lo elabora utilizzando marmi di recente scoperta per produrre opere che interpretano lo stile classico, ma con un nuovo concept, disegnate e lavorate con le più moderne tecnologie.

Puoi definire il tuo concetto di “frammento”, spiegarci come si progetta e realizza una “nuova” rovina?

La storia del marmo è una storia di frammenti. Lo è fin da quando la materia si stacca dalla roccia, in forma di masso o di blocco. Lo è ancora una volta quando il semilavorato si divide ulteriormente e diventa opera o prodotto. E’, sostanzialmente, una storia di separazioni e come sappiamo le separazioni spezzano i legami, interrompono, allontanano le parti dando inizio a nuove entità e nuove storie. La collezione “Frammenti” evidenzia questi legami interrotti, ricongiunge le parti, andando a ritroso nel momento del distacco, per mostrare fisicamente la scia di congiunzione tra un frammento e l’altro, come se ci fosse un fluido che esce dal corpo spezzato. Una scia elastica, ma pietrificata per sempre.

Rovine” e “resti” dell’antichità classica diventano elementi di design contemporaneo: come hai raggiunto questa sintesi?

Il mio non è un gesto nostalgico o decadente, piuttosto un gesto di contemporaneità. Lo è perché è un nuovo racconto, che riconnette i frammenti non secondo l’anastilosi, cioè la ricomposizione delle parti come erano e dove erano, ma creando nuove opere monolitiche nelle quali materializza i legami virtuali tra le parti nell’atto stesso dello stacco. Opere istantanee più che postume frutto di una attuale e complessa modellazione computerizzata, lavorate successivamente a macchina a controllo numerico e infine levigate manualmente.

La plasticità del marmo e la moderna tecnologia: fin dove arriva la mano dell’uomo e dove inizia il contributo della macchina?

Direi il contrario: dove arriva la macchina e dove interviene la mano dell’uomo? Perché già oggi nel settore lapideo la macchina è normalmente utilizzata per le operazioni più faticose di sbozzatura che si facevano manualmente. In realtà, questi dispositivi numerici potrebbero portare a finitura i manufatti, ma con difficoltà e costi forse non ancora convenienti rispetto a quanto si riesce a fare a mano. Ma la questione è un’altra, va compreso che la macchina agisce in modo diverso e riesce a realizzare ciò che la mano non può e viceversa. Pertanto non si tratta di sostituire l’intervento umano con il robot, ma di cogliere le caratteristiche di questo nuovo linguaggio espressivo che pone nuove questioni su ciò che diversamente si può realizzare. In questo modo, il marmo potrebbe raccontare, ancora una volta, l’uomo del proprio tempo e tramandarlo al futuro. Opportunità o no?