Daan Roosegaarde spegne le città per far rivedere le stelle, coltiva le terre intorno alle aree urbane con i led, allestisce i centri con lampade anti-Covid. E convince sempre qualcuno a sostenere i suoi sogni

Prima di lamentarci per il troppo tempo passato in videocall, è forse utile sapere che uno dei progetti di design più appassionanti e – si spera – utili del 2021 ha visto la luce dopo trecentottanta riunioni su Zoom. E che l’unica presenza costante al monitor, mentre dall’altra parte si alternavano ricercatori ed esperti da tutto il mondo, era quella di Daan Roosegaarde da Rotterdam: l’Olandese Sognante, l’uomo per il quale qualsiasi definizione (designer? architetto? tech-artist?) non sembra mai abbastanza, tale è il livello di multidisciplinarietà che il quarantaduenne visionario inietta nelle sue creazioni. Una trasversalità di saperi che si traduce in installazioni come Urban Sun, la lampada anti-Covid presentata un mese fa, o la recente Grow – un campo di porri in Olanda illuminato e 'coltivato' a led per dimezzare l’uso di pesticidi – grazie a due driver ancora più potenti: il sogno (non a caso dream è la parola che Roosegaarde snocciola più spesso durante la 381esima videocall di Urban Sun, quella con il giornalista) e l’umiltà: “Dopo avere avuto l’intuizione di usare i raggi ultravioletti per combattere i virus grazie a un pezzo su Nature del 2018, ho cercato uno per uno su Linkedin gli esperti che servivano a sviluppare il progetto. A ognuno di loro ho chiesto il contatto e se avessero quaranta minuti da dedicarmi. La risposta è stata generosa. Allo stesso modo avevo fatto per Grow, riunendo in un team dai fotobiologi agli ingegneri fino ai comunicatori”.

Il risultato, dopo quattordici mesi di lavoro, è l’installazione sospesa – le cui immagini stanno facendo il giro del mondo, pensata per gli spazi e i luoghi pubblici, dalle stazioni alle scuole – che emana un nuovo tipo di raggi ultravioletti UVC: quelli tradizionali uccidono virus e batteri ma nuocciono alle pelle e agli occhi; i nuovi di Urban Sun, proiettati dalla giusta distanza, disinfettano l’aria senza effetti collaterali. Un processo che si direbbe esclusivamente scientifico, ma nel quale Roosegaarde trova, fortissima, la vocazione e la mano del designer: “L’articolo di Nature era pura scienza, ma per riorientare la lunghezza d’onda dei raggi era necessario un designer”. Urban Sun e Grow sono due esempi perfetti di 'protopia', come Roosegaarde definisce l’utopia pratica che lo ispira. Quella che, in passato, lo ha portato a ideare torri mangia-smog, piste ciclabili illuminate a energia solare, aquiloni che producono energia pulita.

Un modello progettuale che lui racconta in questo modo: “Nei miei primi lavori ero molto concentrato sulla tecnologia, poi ho capito che il segreto è nella natura; che le farfalle e gli insetti volano liberamente senza bisogno di semafori come invece accade a noi esseri umani. La tecnologia è un ingrediente che si perde, se non si ha una visione d’insieme. E questa visione deve essere umanistica, come quella di Leonardo. Ma non siamo più nel Rinascimento. Oggi viviamo di super-competenze e settori estremamente specifici: il designer si fa carico di metterli insieme e dà loro un destino. Per questo, se un sindaco mi incarica di progettare i fuochi d’artificio che non inquinino e non atterriscano gli animali, io penso a come far spegnere per quindici minuti le luci in città per rivedere le stelle. Perché sono le stelle, e non l’ennesima creazione dell’uomo, lo spettacolo perduto che l’inquinamento luminoso ci impedisce di vedere”.

Questa visione olistica arriva a Roosegaarde da letture precise. Quella di Paul Hawken, innanzitutto, l’ambientalista e teorico di una exit strategy dal riscaldamento globale basata su studi e prospettive economiche certe. E, poi, dalla passione per il metodo Pixar di John Lasseter e della factory californiana, “dove si lavora su idee condivise senza mai scartarle, ma migliorandole insieme pure se sembrano sbagliate”. Lasseter è anche il teorico dell’equilibrio tra the hungry beast, i costi di un’azienda che vuole arrivare lontano ma deve anzitutto reggersi in piedi e the ugly baby, l’intuizione ancora fragile che può far decollare un’impresa. In effetti, neanche le questioni economiche sembrano spaventare più di tanto l’Olandese Sognante. Forse perché da anni può misurarsi con committenti all’altezza delle sue visioni? “Credo che il livello dei clienti con cui uno lavora dipenda dalla storia che ha saputo costruire”, dice. “Per Grow, Radobank ha posto una sola condizione: che il progetto fosse radicale. Dall’altra parte c’è però Urban Sun, che non avrebbe mai visto la luce se avessi aspettato di essere chiamato da qualcuno con un brief. La vita di un designer è l’equilibrio proattivo di ‘noi’ – il rapporto tra un creativo e il suo cliente – e ‘me’, ovvero il creativo allo specchio che ha ben chiara la propria identità e dove vuole arrivare. Solo così le sfide diventano una questione di immaginazione e non puramente di soldi”.

Resta da capire dove Roosegaarde attinga la vitalità che lo porta a ingaggiare sfide apparentemente impossibili. La risposta è tutto sommato semplice: “Dall’amore per il futuro. Quello che fino a cinquant’anni fa coltivavamo e che ci ha dato il Concorde o lo sbarco sulla Luna e, in architettura, il Superstudio. Oggi nessun politico userebbe le parole di J.F. Kennedy a proposito delle missioni nello spazio: ‘Le abbiamo volute perché erano difficili’. Abbiamo paura del futuro, lo evitiamo e quindi non sappiamo più progettarlo. Credo che il senso del mio lavoro sia restituire il sogno e il futuro alle persone, innescare curiosità e speranza. È in questa missione la risposta alla domanda su chi sia oggi un designer, su quanto debba anche essere scienziato o filosofo. Ed è in questa missione che dovrebbero ritrovarsi, oggi, gli architetti. Al momento, però, non ne vedo molti disposti a farlo”.

Foto courtesy Studio Roosegaarde