Industrie hi-tech
Si tratta per la maggior parte di industrie hi-tech che brillano per prodotti sorprendenti, utili e sostenibili. C’è la Gemar, leader nella produzione di palloncini in lattice biodegradabile, al ritmo di sei milioni di pezzi al giorno. O la Petroceramics, spin-off della Facoltà di Geologia dell’Università di Milano, che da quindici anni lavora su un processo di infiltrazione di silicio liquido chiamato LSI, che svolge un ruolo chiave nella progettazione di materiali carboceramici destinati all’uso in condizioni estreme, come i voli aerospaziali. Oppure ancora Terre Davis, azienda di riferimento nella produzione di terra rossa per i campi da tennis ottenuta dalla macinazione dei detriti provenienti dalla demolizione di strutture agricole e abitative tipiche della valle del Po. O la Fizik, che produce selle con resine liquide programmabili, modellate da un sistema digitale che sfrutta la proiezione di luce ultravioletta. Eumakers è invece un’iniziativa di Sfregola Materie Plastiche (sacchetti compostabili per il settore nettezza urbana e rifiuti speciali) volta al riutilizzo degli scarti di lavorazione per la produzione di materie prime destinate alle stampanti 3D. Per finire, Directa Plus, l’azienda che produce Grafysorber, un dispositivo a base di grafene capace di decontaminare l’acqua da petrolio e idrocarburi, con una capacità assorbente 90 volte superiore al suo peso.