Un progetto per rigenerare la coltivazione di Lusanga, in Congo: da luogo di sfruttamento storico di una multinazionale a foresta sacra

Oltre a quella dell’arte, attiene anche alla sfera dell’etica, dell’economia e della spiritualità il progetto che verrà presentato all’interno del Padiglione olandese in occasione della prossima Biennale di Venezia.

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Il collettivo Cercle d'Art des Travailleurs de Plantation Congolaise (CATPC), in collaborazione con l'artista Renzo Martens e il curatore Hicham Khalidi, porterà infatti ai Giardini un progetto finalizzato a liberare e rigenerare la coltivazione di Lusanga, nella Repubblica Democratica del Congo (dove è sorta la prima piantagione della società anglo-olandese Unilever), trasformandola in una sorta di foresta sacra.

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Se infatti ieri gli ecosistemi di quelle aree erano ricche foreste pluviali, oggi sono diventati suoli impoveriti incapaci di sostenere le comunità che vi abitano. Il concetto primario che muove l’iniziativa è: l’arte non è solo espressione creativa, ma veicolo di cambiamento.

Ecco perché ogni opera esposta è stata creata con gli ultimi frammenti di foresta e porterà con sé un seme che sarà in grado di dare nuova linfa alla terra.

"Queste sculture saranno strumenti che apriranno la strada a un futuro equo e condiviso per tutti, - rivela Ced'art Tamasala, portavoce di CATPC - Il progetto ci permetterà di reclamare le terre rubate, riforestarle e trasformarle in qualcosa di solenne”.

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Quella del collettivo è una vera e propria sfida, lanciata anche contro molti musei occidentali accusati da CATPC di essere stati finanziati con profitti provenienti da queste piantagioni.

Da qui l’invito alla riconciliazione con le comunità indigene che reclamano da tempo le loro terre.

”Vogliamo trasformare il lavoro in piantagione da macchia impura a strumento di riparazione”, fa sapere Tamasala. I lavori del progetto, commissionato dal Mondriaan Fund, saranno esposti sia in Laguna sia all’interno del museo White Cube di Lusanga inaugurato nel 2017 da Martens insieme ai membri del CATPC.

Qui, oltre allo spazio espositivo, l’artista - diventato famoso per il suo controverso Episode III: Enjoy Poverty, dove si afferma che il Congo commercializza la propria povertà come fosse una risorsa naturale - ha realizzato anche una scuola, una sala conferenze, una cucina, un luogo di incontro per la comunità e un laboratorio dove tutte le opere sono state realizzate.

Proprio grazie ai proventi ottenuti dalla vendita di questi lavori, il collettivo è riuscito a riacquistare negli anni oltre 200 ettari di ex terre di piantagione che stanno lentamente trasformando in agroforeste biodiverse. Ma non solo.

In previsione della Biennale il CATPC ha presentato anche una petizione per il prestito temporaneo di Balot, scultura ritenuta sacra dalla comunità, oggi conservata nella collezione del Virginia Museum of Fine Arts (VMFA).

Il collettivo africano, presieduto da René Ngongo e composto dagli artisti Djonga Bismar, Alphonse Bukumba, Irène Kanga, Muyaka Kapasa, Matthieu Kasiama, Jean Kawata, Huguette Kilembi, Mbuku Kimpala, Athanas Kindendi, Anti Leba, Charles Leba, Philomène Lembusa, Richard Leta, Jérémie Mabiala, Plamedi Makongote, Blaise Mandefu, Daniel Manenga, Mira Meya, Emery Muhamba, Tantine Mukundu, Olele Mulela, Daniel Muvunzi, Alvers Tamasala, Ced'art Tamasala, crede che una volta restituita la scultura verranno corrette le ingiustizie del passato. Il team artistico e il VMFA sono attualmente in contatto per realizzare il prestito.