Come si confronano i grandi architetti di oggi con il passato? Cosa abbiamo ancora da imparare dall'heritage architettonico? Abbiamo riletto le opere di David Adjaye, David Chipperfiled e John Pawson per scoprirlo

Il Neue Museum è la più giovane costruzione della Museumsinsel di Berlino. È stato voluto nel 1841 dall’imperatore Guglielmo IV e progettato dall’architetto Friedrich August Stüler per accogliere le antichità egizie e liberare l’Altes Museum.

Gravemente danneggiato dai bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale,  nel 1989 è ricominciato il  suo restauro, o meglio la manutenzione delle sue rovine.

È solo in seguito alla riunificazione della Germania che il progetto viene affidato all’architetto britannico David Chipperfield e la riapertura avviene nel 2009.

Architettura come memento storico

Chipperfield afferma che il restauro del Neue Museum è stato un lavoro estremamente complesso.

Partendo dai principi della Carta di Venezia, risultato di una riflessione collettiva sui modelli di ricostruzione postbellica, l’architetto lavora in punta di matita, convinto che: “Il restauro e la riparazione dell’esistente sono guidati dall’idea che la struttura originale debba essere esaltata nel suo contesto spaziale e nella sua materialità originale”.

Il nuovo riflette l’antico senza imitarlo, in sintesi. Replicare senza mimare l’originale.

La stratificazione del ricordo

Tutto il lavoro di Chipperfield è un delicato e rispettoso intervento di stratificazione mnemonica, a partire dai materiali.

Le nuove sale espositive sono costruite con elementi prefabbricati di grande formato costituiti da cemento bianco mescolato con graniglia di marmo sassone.

Nella hall centrale sono stati preservati i volumi costruttivi e la scalinata ripete il concetto formale dell’originale senza replicarla. Gli elementi ornamentali, non più esistenti, non sono stati sostituiti.

I temi morali dell’heritage

David Chipperfield con il Neue Museum ha dovuto affrontare un tema morale di grande portata, oltre che un progetto complesso che ha restituito all’intero piano architettonico e urbanistico la pianta originale del 1938.

La memoria è stata gentilmente integrata nell’estetica della città, e restituita sotto forma di un progetto che stratifica la storia senza cancellarla.

Chipperfield ha in sintesi fatto un grande favore culturale alla Germania e al mondo intero, operando con saggezza per tenere viva una difficile memoria storica.

Frammenti del passato che torna al presente

Il tema dell’heritage è questo. Distinguere e riunire i frammenti di un lessico che parte da lontano e si ricodifica nel contemporaneo per contenuti e forma.

Un’operazione simile, anche se di natura completamente diversa, a quella che l’architetto David Adjaye ha compiuto nel 2016 con il National Museum of African American History and Art a Washington DC.

Un altro tema spinoso, quello della cultura afro-americana. Adjaye ha voluto risolverlo con un’esplorazione dell’identità nazionale. Cosa significa americano? La risposta è chiara: “L’America è stata costruita sulle spalle degli africani e senza questa consapevolezza non si può comprendere la nazione.

Complessità multiculturale e giustizia sociale secondo David Adjaye.

La cultura americana nasce sulle spalle di altri mondi

Adjaye ha intenzionalmente stratificato diversi riferimenti architettonici e diversi modi per rendere leggibile la complessità multiculturale delle citazioni formali.

Il National Museum of African American History si trova all’interno del National Mall di Washington, un nodo istituzionale importante per tutta la nazione.

Adjaye ha lavorato per citazioni estetiche. Materiali che rispecchiano il Washington Monument, un motivo ornamentale sulla facciata che risale ai neri dell’industria metallurgica del profondo sud americano.

E la costruzione ha una forma derivata dall’arte Yoruba. L’NMAAHC risulta così in una relazione al contempo critica e armoniosa con le altre opere monumentali del Mall.

John Pawson: semplicità e dettagli per lasciar parlare la memoria

Recuperare memoria, secondo l’architetto minimalista John Pawson, significa lavorare sulla semplicità. La lezione viene dal suo maestro Shiro Kuramata, e dal periodo passato in Giappone negli anni Settanta, dove ha trovato la propria strada professionale.

L’ossessione per i materiali e per i dettagli ha dato forma a ogni lavoro architettonico, dal Design Museum di Londra, alle numerose residenze private fino ai progetti di restauro di chiese e monasteri in Gran Bretagna.

La memoria è un gesto zen, si onora togliendo e rispettando le radici originali di un’architettura.

Un’antica fattoria fra passato e presente

Il suo lavoro più significativo (e uno dei più recenti), che rappresenta una sintesi formale e progettuale, è la sua casa nei Cotswolds. Una regione agricola, famosa per le antiche fattorie, tipiche di una tradizione vernacolare che privilegia edifici bassi e essenziali.

La Farm House di Pawson originariamente era formata da due corpi: una fattoria e una stalla.

L’architetto le ha unite con  un intervento minimo in cemento, che esalta i materiali originali per contraddizione e al contempo neutralizza qualsiasi intenzione ornamentale.

La spiritualità del dettaglio

Gli interni hanno, forse involontariamente, un aspetto monacale. Le travi a vista, i volumi aperti ma non monumentali, i soffitti bassi. Le parti funzionali sono state trattate con il consueto minimalismo materico.

Il decoro è assente e per questa ragione l’ossessione per i dettagli emerge in modo prepotente.

Semplicità, sempre più semplicità, per ridare vita a un contesto antico e portarlo, in tutta la sua forza espressiva, nella contemporaneità.