progetto di Zaha Hadid Architects
foto di Iwan Baan, Virgile Simon Bertrand

A sei anni dalla posa della prima pietra, la Guangzhou Opera House – primo progetto di Zaha Hadid Architects completato in Cina – si è mostrata al pubblico internazionale in occasione dell’architectural review dello scorso febbraio, dopo alcune performances inaugurali che hanno avuto luogo l’estate scorsa, in concomitanza con gli Asian Games.

Lo studio londinese si è aggiudicato il progetto dopo aver vinto il concorso indetto nel 2002 dalla municipalità di Guangzhou – o Canton – 120Km a nord-ovest di Hong Kong, terza città della Cina per numero di abitanti e tra i principali “motori” della prodigiosa crescita del Paese. Tra i progetti di Zaha Hadid, la Guangzhou Opera House è probabilmente quello che più si palesa come il frutto della sua attenta ricerca nei campi della geologia e dei sistemi naturali. Affacciati sul Pearl River, i due edifici che compongono l’Opera House – il teatro, che può accomodare fino a 1800 spettatori, e la struttura multifunzionale dalla capienza di 400 persone – ricordano due grandi ciottoli, due pebbles, di quelli che si trovano appunto sul letto dei fiumi, la cui forma è scolpita dalla forza erosiva della corrente che ne lambisce la superficie – nello stesso modo in cui le persone circolano in modo fluido nello spazio circostante l’Opera House, accessibile da quattro differenti direttrici. Un progetto totalmente embedded nel contesto che lo accoglie, una moderna agorà all’interno di un’area che si propone come nuovo polo culturale della città. Simon Yu, il giovane Associate che ha seguito i lavori di realizzazione, spiega: “Dal nostro punto di vista, progetti come questo devono avere una funzione inclusiva – non si tratta soltanto di luoghi dove le persone possono assistere ad un determinato spettacolo, all’interno di una struttura che ben si presti a questa funzione – bensì debbono fungere anche da spazi di aggregazione, a cui si può accedere e di cui si può fruire indipendentemente dalle varie manifestazioni in programma”. Woody Yao, Associate Director responsabile del progetto conferma come questo sia effettivamente il trend dello studio, attraverso un confronto con il design della Cardiff Bay Opera House – mai costruita, nonostante Zaha Hadid si fosse aggiudicata il primo premio nel concorso indetto nel 1994: “Anche la soluzione che presentammo all’epoca prevedeva che gli spazi esterni fossero pienamente sfruttabili, per manifestazioni e spettacoli all’aperto soprattutto, ma certamente anche come luoghi di incontro e interazione”. Il design della Guangzhou Opera House ha rappresentato una sfida soprattutto in termini strutturali: più di 10.000 tonnellate di acciaio sono state utilizzate per sostenere i volumi di un progetto caratterizzato da un grado di complessità formale molto elevato. Entrando, il foyer multi-livello si presenta come un canyon sui toni del bianco, del grigio e del nero – colori che dialogano alla perfezione con il vetro e il granito della facciata, oltre all’acciaio della struttura a vista. Dalla lobby si accede all’auditorium, dove la superficie color champagne – tutto cartongesso rinforzato con fibra di vetro – avvolge senza soluzione di continuità lo spazio, assumendo le sembianze di un drappo di seta cangiante alla luce dei piccoli fari LED che letteralmente costellano la grande sala. L’impatto visivo è fortissimo: il soffitto e i muri digradano e si increspano, creando un continuum di rilievi e avvallamenti le cui forme fluide sembrano essere scolpite direttamente dalle onde sonore che si propagano dal palcoscenico e dai patterns di fessure laterali che, lungi dal proporsi come elemento puramente decorativo, nascondono potenti speakers – strumento indispensabile nel contesto operistico orientale, che enfatizza l’aspetto sonoro molto più di quello scenografico, che è invece un elemento imprescindibile nell’opera di produzione europea. Preziosa in questo frangente, la collaborazione con i consulenti di Marshall Day Acoustics, studio ingegneristico leader nel campo dell’ottimizzazione del suono, che hanno saputo suggerire sapientemente le soluzioni per combinare al meglio il riverbero, la nitidezza e la pressione sonora – i tre parametri più importanti in termini di acustica – in uno spazio fortemente asimmetrico. Per il pubblico questo ensemble si traduce in uno spettacolo nello spettacolo: un’esperienza visiva e acustica che va ben al di là dell’ordinario e culmina in un trionfo di armonia. Il “ciottolo” più piccolo, alias l’edificio polifunzionale, completa il quadro: le dimensioni ridotte e il layout interno configurabile a seconda delle esigenze, lo rendono adatto ad ospitare vari tipi di eventi, anche non strettamente culturali, come conferenze o eventi di carattere commerciale. La soddisfazione di Simon Yu è palpabile: “Portare il progetto a compimento ha comportato grandissimo impegno e dedizione: ci sono stati momenti in cui abbiamo avuto quasi duemila operai in cantiere, ma è stato anche divertente… e poi continuiamo a ricevere dei feedback entusiastici, soprattutto dal pubblico più giovane, e questo sicuramente è l’aspetto più gratificante!”. Zaha Hadid, un tempo nota come architetto del non-costruibile, ci ha stupito ed emozionato ancora con un suo progetto. Viene spontaneo chiedersi cosa ci riserverà il futuro… e questo mi fa ricordare una cosa che la Hadid mi disse un paio di anni fa: “There is no end to invention”. Questo è rassicurante, grazie Zaha!