A dare il benvenuto a studenti e visitatori è una serie di dodici gigantesche sculture in fibra di vetro (alte circa 12 metri), di cui la forma sinuosa e i toni neutri alleggeriscono l’impatto volumetrico: gli esili fusti verticali si espandono in sommità a formare esuberanti chiome d’albero o corolle di fiore stilizzate del diametro di 9 metri, che offrono prezioso ombreggiamento dall’abbacinante sole texano e, grazie a un efficace sistema di raccolta dell’acqua piovana, favoriscono l’irrigazione passiva nel sottosuolo circostante.
L’accurato studio del verde ha consentito, oltre alla conservazione (dove possibile) della vegetazione esistente, la piantumazione di oltre 25.000 nuove essenze prevalentemente autoctone, resistenti al clima locale e con minime esigenze manutentive, favorendo un ecosistema ricco e vibrante in mezzo alla metropoli.
Uno spazio “di vita e di connessione, confortevole e funzionale” ma anche “gioioso”, come lo descrive Simone Wicha, fermamente convinta del potere della cultura di impattare sulla società e dell’importanza di “veicolare gioia e bellezza nella vita quotidiana”, portando l’arte al di fuori delle teche.
Obiettivo, questo, condiviso anche da Craig Dykers, co-fondatore di Snøhetta che, memore dei suoi anni da studente presso l’Università di Austin, con fervore ‘politico’ afferma che il progetto ha inteso “traslare l’identità dell’Università da palazzo di potere a giardino di conoscenza e creatività” e che “il design di Snøhetta espande la collezione d’arte di livello mondiale del museo al di fuori delle gallerie espositive e crea a Austin un luogo pubblico e per le arti ad alta visibilità”.
Ed è infatti l’efficace sinergia tra staff museale e architetti che ha consentito di fare di questo luogo una nuova polarità urbana, dove i confini tra spazi istituzionali e luoghi informali sono disinvoltamente sfumati e dove le installazioni artistiche fanno da quinta alla vita quotidiana.
Tra queste, il murale site-specific Verde, que te quiero verde dell’artista cubano-americana Carmen Herrera, ispirato a una poesia di Federico García Lorca e collocato nella loggia del Michener Gallery Building per tutta la lunghezza dell’edificio: le tonalità verdi dell’opera giocano con i riflessi della vegetazione della corte dove, tra un picnic sul prato, una sessione di yoga o un momento di relax all’ombra su una sedia a dondolo, scoprire il piacere di un’arte diffusa e accessibile. Perché “l’arte”, come diceva Jackson Pollock, “è ovunque si abbia il coraggio di guardare”.