In Italia il capannone industriale rappresenta il tipo edilizio più largamente diffuso dal Nord al Sud, quasi a delineare un linguaggio omologante distribuito nei paesaggi più svariati – campagne, periferie e città – essenzialmente dettato da criteri di carattere funzionale e quantitativo.
La pianta modulare rettangolare o quadrata, dettata dalla dimensione dei pannelli prefabbricati di cemento e dalla linee di produzione interne, a volte nobilitati da un trattamento materico in graniglia o semplicemente verniciati con colori legati al logo aziendale, ha caratterizzato gli edifici produttivi inseriti nelle zone industriali di ogni comune, ma anche quelli realizzati nei vigneti, nelle coltivazioni ortofrutticole e tra ulivi secolari.
Certo non sono mancate le eccezioni: le opere di Gino Valle e di Tobia Scarpa in questo settore sono esempi illustri, ma la quantità impressionante di capannoni che costeggiano le nostre autostrade testimoniano il carattere prettamente funzionale di questo ‘tipo italico’.
Nel tempo l’attenzione al paesaggio e alle sue forme ha sviluppato una maggiore attenzione per l’inserimento di costruzioni industriali capaci di rapportarsi al contesto secondo criteri qualitativi. Il concetto di ‘mitigazione’ da qui scaturito è oggi applicato soprattutto alle nuove tipologie industriali come termovalorizzatori, centrali energetiche, magazzini e depositi a grande scala, centri di stoccaggio automatizzati, edifici di ampie dimensioni e in genere privi di aperture e di permanenza di persone, contenitori muti per lo più generati da algoritmi parte di progetti di logistica aziendale.
È questo il caso del magazzino automatico di Pedrali, azienda di riferimento nel settore del furniture design italiano. Creato per migliorare il livello di servizio alla clientela, il nuovo edificio permette lo stoccaggio di circa 17.000 pallets su una superficie cinque volte inferiore a quella di un magazzino di tipo tradizionale, occupando quindi meno area edificabile; qui l’azienda ha collocato prodotti finiti e semilavorati, collegati a sistema, mediante un trenino interno e robot trasportatori, ai due spazi industriali preesistenti in cui si producono le collezioni d’arredo di materiale plastico e metallo.
Il magazzino, alto 29 metri per una superficie complessiva di 7.000 metri quadrati (le dimensioni sono state generate matematicamente sulla base di dati raccolti dal settore produzione, da quello degli stampaggi e dal volume delle richieste dei fornitori), è composto in sostanza da macroscaffalature portanti che sostengono la copertura in pannelli coibentati color alluminio, come quelli che compongono le facciate applicate ai montanti metallici della gabbia-deposito tra cui corrono otto navette automatizzate.
Il tema affrontato da Cino Zucchi è stato quello di lavorare sulla pelle di un edificio-contenitore, trasformando i fronti muti in una superficie espressiva in grado di diventare parte del paesaggio nel superamento della logica della semplice ‘comunicazione aziendale’, della decorazione fine a se stessa di tipo vegetale o cromatica, nel ripensare in modo innovativo e propositivo al concetto di ‘mitigazione ambientale’.
D’altra parte, l’attenzione verso il paesaggio e, più in generale, il rispetto dell’ambiente è una delle prerogative che Pedrali ha fatto propria come valore aziendale. Nello stabilimento di Manzano in Friuli, dedicato alla produzione dei prodotti di legno, Pedrali ha ottenuto la certificazione FSC per la catena della custodia del legno (che garantisce la provenienza della materia prima da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo precisi standard ambientali, sociali ed economici).
Sempre a Manzano è stato installato un impianto robotizzato di verniciatura con prodotti all’acqua che, nel garantire ottime qualità di resistenza e durata, limitano l’emissione di sostanze organiche volatili riducendo in modo sostanziale l’impatto ambientale negli ambienti anche interni.
In modo diverso e a scala architettonica, l’attenzione dell’azienda per il paesaggio è stata concretizzata, attraverso l’intervento di Cino Zucchi, nel nuovo magazzino automatico. Oltre a pensare al nuovo elemento di connessione agli spazi esistenti, segnato da una passerella panoramica sospesa verde che si spinge sino all’interno del volume di stoccaggio, Zucchi ha disegnato un sistema esterno applicato alle facciate, composto da lamelle di alluminio poste perpendicolarmente alla facciata e verniciate su un lato con tre tonalità di verde a fasce sovrapposte.
Le lamelle ad andamento irregolare disegnano un ‘rampicante architettonico’ che fa vibrare l’intero edificio, facendolo così apparire un amplificatore visivo dei campi coltivati. Il rapporto che si crea è di aperto dialogo e confronto e il concetto di mitigazione risulta superato da quello di inserimento paesaggistico, calibrato ed esplicito, risolto con gli strumenti della composizione architettonica piuttosto che con i consueti camuffamenti botanici poco risolutivi.
Il fronte sud, lungo il tracciato dell’antica via Francesca, dove l’intervento appare più esteso per chi proviene dal centro di Mornico, offre una sequenza di lamelle di alluminio che assorbono i diversi colori della luce del giorno e delle stagioni e, allo stesso tempo, stemperano i cromatismi del lato colorato che si riflettono tra una lamella e l’altra. Provenendo dal lato ovest della campagna, il verde dei campi sembra salire sulla facciata per raggiungere il cielo.
Il parallelepipedo del magazzino è stato inoltre oggetto di due efficaci contrappunti. Il primo è una sorta di slittamento di un brano di facciata che crea un cuneo aggettante: la sua funzione è concludere la prospettiva dall’ingresso principale dell’azienda e, allo stesso tempo, aprire sul fronte cieco una vetrata che offre al piazzale di carico la scena del magazzino verticale interno.
Il secondo elemento, chiamato ad arricchire la geometria iniziale dell’edificio e a rompere la ‘gerarchia dell’angolo retto’ – una pratica ricorrente nella ricerca di Cino Zucchi – è rappresentato dal volume basso posto sul fronte ovest, parallelamente alla roggia esistente, in cui è stato organizzato il percorso di visita del pubblico. La passerella verde che entra in questo corpo aggiuntivo e offre la scena del magazzino meccanizzato trova sul fondo una grande vetrata aperta su un piccolo giardino segreto di bambù, ulteriore segno paesaggistico portato tra le pieghe di questa architettura industriale 3.0.
Foto di Filippo Romano – Testo di Matteo Vercelloni