Architetto umanista, storico e tra i protagonisti della scena culturale italiana, Paolo Portoghesi si è spento a 92 anni nella sua casa di Calcata. La sua lezione di superamento delle inibizioni dell’architettura moderna rimane come programma operativo per il nostro presente, proiettato nel futuro

Rapito dalla magica spirale della cupola di Sant’Ivo della Sapienza sin dalla tenera età, Paolo Portoghesi alla passione dichiarata per l’opera di Francesco Borromini, cui ha dedicato nel tempo importanti studi, ha affiancato l’interesse verso la linea curva assunta come radice dell’altra faccia della modernità. Una linea chiamata a definire anche Casa Baldi (1961), uno dei suoi primi progetti di architettura assunto come dichiarazione programmatica. La linea a serpentina, quella che William Hogarth nel 1753 indicava come necessaria Variety nel trattato The Analysis of Beauty, è la radice feconda che gli ‘altri modernismi’ della storia dell’architettura, non solo del 900, assumono come riferimento e che porterà Paolo Portoghesi a osservare e sostenere la necessità di un pluralismo linguistico per l’architettura di cui la “Strada Novissima” della prima Biennale di Architettura veneziana del 1980 è stata lo specchio programmatico.

La condizione eclettica della città

Una serie di facciate effimere, che nel loro confronto disegnavano per analogia la condizione necessariamente eclettica della città nel tempo, si susseguivano nelle Corderie dell’Arsenale militare restituito per la prima volta alla città e ai visitatori di tutto il mondo, anticipando di qualche decennio l’ormai consolidata pratica della “rigenerazione urbana” e del riuso dell’esistente.

La disfatta del modernismo ortodosso

La Presenza del Passato”, come recitava il titolo di quella storica edizione, non era tanto un ritorno alla pratica del revival stilistico, ma piuttosto la dichiarazione della disfatta degli esegeti del modernismo ortodosso: “la parola moderno infatti, nata per designare il continuo mutamento, identificandosi con uno stile ha subito un processo di sclerosi; contaminata dalla staticità di una situazione improduttiva, è diventata paradossalmente simbolo di un potere astratto da combattere e rovesciare”. Quello che Paolo Portoghesi scriveva ne “La fine del proibizionismo” in apertura al catalogo della mostra, tuona oggi, dopo quasi mezzo secolo, come realtà consolidata a livello globale.

La lezione di Portoghesi

Superata definitivamente la logica dello zoning; assunto come metodo il “pensare con l’architettura e non sull’ architettura”; assorbito il modo di concepire la storia sempre come ‘storia contemporanea’ e come “materia di operazioni logiche e costruttive che non hanno altro scopo che quello di coniugare reale e immaginario”; sviluppata la consapevolezza di considerare la città “oltre che come insieme di edifici e di strade per chi vuol penetrare la sua immagine e trarne un’esperienza di verità, come un insieme di uomini, un nodo di storia passata e presente: e quindi un testo da interpretare mettendo in relazione le forme che si offrono ai nostri con la civiltà e la vita che le ha prodotte”, la lezione di Paolo Portoghesi rimane attuale per ogni architetto impegnato oggi a pensare alla città di oggi e di domani.

Gli scritti storici e teorici

La sua ricchissima produzione di scritti, storici e teorici spazia dalla Roma barocca alla famosa monografia su Francesco Borromini recentemente ripubblicata; dalle diverse stagioni della modernità a contributi specifici come quello dedicato a Piero Portaluppi, figura centrale dell’architettura milanese degli anni Venti, che Portoghesi descrive come un “eroe del suo tempo [...] convinto assertore di un modernismo liberale, aperto ecletticamente alle sperimentazioni più ardite, ma non animato da intenzioni rivoluzionarie o di palingesi. [Dove] il nuovo doveva sorgere per spontanea forza naturale dal già stato e già amato, dalla tradizione vista come un’offerta inestinguibile di idee da coltivare perché sempre in grado di rifiorire in modo inedito”. Del resto “la negazione del passato o meglio la rigida separazione morfologica tra presente e passato voluta da Movimento Moderno era, dando al termine negazione il significato freudiano, un tipico meccanismo di difesa”.

Quale eredità?

Paolo Portoghesi teorico dell’armonia e del contrappunto, fautore negli ultimi anni della geoarchitettura in grado di legare alla lettura critica della tradizione la necessaria consapevolezza ambientale, ci ha insegnato ad ascoltare le storie del passato e del nostro tempo, abbandonando certezze precostituite e ideologie di cui l’architettura non sente più il bisogno.