Un loft a Milano, aperto e luminoso, nella zona di Porta Venezia, accoglie l’abitazione di Luciana Di Virgilio e Gianni Veneziano progettata come uno spazio versatile e adattabile che può vivere molte vite grazie all’arte e al colore

In un momento di poche certezze qual è quello pandemico, che porta a riflettere sul ruolo dell’architetto come costruttore di idee, interpretare il kintsugi (l’arte giapponese di riparare con l’oro oggetti di ceramica) come metafora di resilienza può essere un approccio molto utile. In senso lato è quello che hanno fatto Gianni Veneziano e Luciana Di Virgilio nel progetto della loro abitazione a Milano, ricavata dalla riparazione accurata ed esibita di un loft primi Novecento, nato come spazio-ufficio di una delle prime fabbriche dei panettoni Cova. Hanno interpretato l’esprit du temps sottolineando le crepe e le cicatrici dei muri di un ‘involucro rotto’ e trasformandolo in un manufatto che è diventato ancora più bello e forte, dentro e fuori. Uno spazio caratterizzato e caratterizzante, rigenerato e recuperato nell’ascolto della sua storia originaria legata alla città industriale.

Una casa che funziona bene come modello abitativo proatttivo perché può aprirsi e chiudersi alla bisogna in modo dinamico declinando stanze trasformabili, versatili e adattabili, in grado di accogliere incontri di lavoro e di studio con altri professionisti e pensatori concettuali, installazioni,  rumorose feste di compleanno con tanti bambini ma anche isole riservate e personali. “In realtà, l’idea di una differente dimensione di domesticità e anche di un rallentamento dei ritmi della quotidianità che l’epoca covid ha reso molto critici ma anche votati a un’opportunità di crescita”, riconosce Luciana, “per noi era maturata prima che il virus, con i suoi drammatici risvolti, stravolgesse innegabilmente le abitudini e i confini di tutti, dal modo di abitare e lavorare a quello di viaggiare e relazionarsi con gli altri. Lo spartiacque positivo ha coinciso con l’arrivo di Virginia, a cavallo tra il 2015 e il 2016, che ci ha portato a ragionare meglio su certe dinamiche di cambiamento, anche rispetto al piano fagocitante dell’attività professionale con tutto ciò che gli gravita intorno, oneri e onori”.

Così il nuovo ‘ciak si gira’ tra interno, esterno, spazio, tempo, luogo, città e mondo si snoda ora attorno al grande tavolo rettangolare, il cuore simbolico della casa, tra una cucina ipertecnologica, una parete attrezzata che quando è chiusa diventa un armadio occultando le apparecchiature per gli esperimenti di arte culinaria dei designer e le altissime finestre che inquadrano la città del passato, del presente e del futuro. “Non è un interno grandissimo nella metratura, ma in base alle nostre esigenze funzionali l’abbiamo ottimizzato in ogni centimetro, prevedendo una zona notte organizzata con due camere da letto, una cabina armadio e un bagno, e ambienti comunicanti e multifunzionali nella parte giorno, dove il living può diventare una zona di lavoro oppure un ambiente più intimo per la lettura o per guardare la tv”, continua la progettista.

L’intervento ha previsto la tabula rasa di controsoffitti, pavimenti galleggianti posticci e tramezzature varie per riportarne in luce l’autenticità. Sono rimasti solo i muri perimetrali, con le tracce delle imperfezioni lasciate dalle superfetazioni eliminate progressivamente per arrivare al cuore dello strato originario, e due pilastri in cemento nudo e crudo lasciato a vista."

Chi sono, che cosa fanno e in che cosa credono, Gianni e Luciana, insieme nella vita e nel lavoro dal 2007, l’hanno sempre comunicato con la coerenza della matita in mano e della tavolozza colori vicino. In nome di quell’espressione artistica intesa come estensione di uno spazio mentale che resta la matrice di riferimento elettiva associata al nome di Gianni, conosciuto anche come autorevole curatore di mostre ed eventi culturali non solo in Italia. A modo loro, abbracciano una dimensione fluida che mixa arte, architettura d’interni, product design, graphic design, exhibition design, senza compartimentazioni rigide né adesioni a cliché prestabiliti. “Certo, nelle nostre case non potrebbe mai mancare l’arte, perché questa riesce a fare anche di un locale nudo e crudo un luogo dove poter vivere tante vite”, riconosce Luciana.

“Come la contaminazione, che è un punto di forza, considerato anche il nostro carattere un po’ nomade, quello di Gianni più del mio. Ogni qualche anno cambiamo casa: le ristrutturiamo di tutto punto in maniera maniacale come fossero per sempre e poi fisiologicamente ce ne stacchiamo, le cediamo. Quando va bene restiamo nella stessa città, altrimenti facciamo dei traslochi immani”. Qui, i distonici interventi che si erano stratificati nel tempo avevano snaturato nell’impostazione l’anima del loft e quel potenziale che gli architetti hanno colto subito, dalla luce alle ragguardevoli altezze dei locali – oltre quattro metri – nel fascino di una zona bella di Milano in cui si respira ancora un’aria raccolta e un po’ defilata. L’intervento ha dunque previsto la tabula rasa di controsoffitti, pavimenti galleggianti posticci e tramezzature varie per riportarne in luce l’autenticità. Sono rimasti solo i muri perimetrali, con le tracce delle imperfezioni lasciate dalle superfetazioni eliminate progressivamente per arrivare al cuore dello strato originario, e due pilastri in cemento nudo e crudo lasciato a vista.

Una casa che funziona bene come modello abitativo proatttivo perché può aprirsi e chiudersi alla bisogna in modo dinamico declinando stanze trasformabili, versatili e adattabili, in grado di accogliere incontri di lavoro e di studio con altri professionisti e pensatori concettuali, installazioni, rumorose feste di compleanno con tanti bambini ma anche isole riservate e personali."

Poi è cominciata l’avventura creativa dei nuovi innesti. Un parquet scelto in una finitura naturale non verniciata e una decorazione intesa come parte integrante del processo progettuale sono diventati il contraltare per sperimentare la ricerca di accostamenti di armonia e leggerezza percettiva delle forme: da un lato le pareti volutamente scrostate e dal sapore raw e dall’altro il contrappunto di boiserie, modanature, carte da parati e vernici sofisticatissime, inserti di mosaico madreperlato, una quinta espositiva in malta stra-levigata, tutti accenti di una milanesità più nobile e colta. Ogni ambiente ha raggiunto così un proprio registro materico e cromatico e una particolare atmosfera che si accende con il piacere delle cose che lo popolano, i dettagli che fanno l’ulteriore differenza. “Ci sono pezzi che abbiamo disegnato insieme negli anni per vari brand e altri ideati solo da Gianni, accanto a oggetti di modernariato e vintage, ai libri – questi stavano in un centinaio di scatoloni, ho quasi perso il conto nell’ultimo trasloco dalla Puglia – alle sculture d’arte domestica, ai vasi e alle ceramiche, un mix-and-match di segni”, racconta Luciana.

“Non c’è n’è uno preferito, ce ne sono tanti che hanno accompagnato particolari momenti. Come la grande mano ora nella nostra stanza, la trasposizione tridimensionale di uno dei disegni in formato A4 che Gianni aveva raccolto per la mostra “Daysign”, curata in Triennale a Milano nel 2013. Sono rimandi alle vite che abbiamo vissuto, presenze rassicuranti anche a livello psichico: nutrono quella ‘archeologia dei sentimenti’ in cui crediamo sempre di più. Perché pensiamo che il design abbia ormai un po’ saturato se stesso e resterà un valore solo in ambito curativo, di decantazione e purificazione delle nostre anime. Soprattutto nello spazio privato della casa, che, proiettata nel futuro, vediamo sempre più come un luogo in cui il ruolo di un architetto umanista può tornare ad essere importante. La mia osservazione si rifà a una riflessione di Ettore Sottsass sulla differenza tra il bere l’acqua in un bicchiere di carta e in uno di cristallo: c’è la vita. Ecco, ripartire da qui per ragionare a tutte le scale d’intervento nell’universo forse non sarebbe male”.

Progetto di Luciana Di Virgilio e Gianni Veneziano (Veneziano+Team) - Foto di Filippo Bamberghi