Una piazza è un vuoto che attende l’inatteso, spiega Collettivo Orizzontale: un luogo che sfida il mondo della progettazione perché è pensato senza una funzione specifica, un sistema aperto e per questo attuale

Chi conosce la città di Lucca lo sa bene: la piazza rappresenta il possibile, perché è lo spazio dell’inatteso. Prendiamo questa città, nell’area dentro le mura, perché è un susseguirsi irregolare e sorprendente di piazze che trattengono il passante per colpa di una prospettiva inedita.

Come se l’occhio venisse preso in contropiede nel vedere quell’apertura storta, sbieca, obliqua… un effetto simile a quando a Venezia, ormai sperduti tra i vicoli, ci si ritrova inaspettatamente in un campo o - peggio - in una piccola apertura su un canale. L’effetto è simile, in queste due città magiche che imbrigliano il vagare nell’immaginario.

Ma l’attenzione è proprio sulla piazza, spazio aperto, un vuoto urbanistico a intervallare edifici più o meno affastellati tra di loro.

Che cosa sono le piazze e che significato hanno nella società attuale?

Ne abbiamo parlato con gli architetti del collettivo Orizzontale (Jacopo Ammendola, Juan López Cano, Giuseppe Grant, Margherita Manfra, Nasrin Mohiti Asli, Roberto Pantaleoni, Stefano Ragazzo), che da quando si è costituito, nel 2010, non ha mai smesso di occuparsi dello spazio pubblico.

Il loro lavoro prosegue lungo diversi progetti ma una mostra, prima allestita a Firenze e poi a Lugo ha messo in scena la loro idea di piazza e i risultati delle loro analisi, per poi tradurre tutto in forma di libro (nel loro contenitore editoriale che si chiama VUOTO, realizzato in collaborazione con lo studio di visual design e comunicazione milanese Atto).

Come si studia una piazza?

Collettivo Orizzontale: «Si studia perdendo tempo. Stando in piazza, sulla panchina a far trascorrere i minuti. Passeggiando, giocando con i bambini, parlando con le persone. Ma anche creando iniziative che assicurano un po’ di presenza in quello spazio. Occorre fare esperienza dello spazio pubblico in maniera non convenzionale perché la vita nella piazza è mutevole».

Una premessa interessante del vostro lavoro riguarda la definizione di piazza.

Collettivo Orizzontale: «Vogliamo andare oltre la definizione tradizionale, superare i modelli che l’hanno definita in passato, dalle piazze metafisiche e monumentali, a quelle paesane, a quelle più politiche… Intorno all’idea di piazza ci sono nostalgie di vario genere che occorre abbandonare.

Quello che ci interessa è un rapporto tra l’uso e lo spazio opposto a quello delle piazze monumentali e a quelle disegnate ma non vissute. Per questo abbiamo raccontato in mostra anche molte realtà temporanee, spazi che vengono usati per un certo tempo e poi smantellati e magari riorganizzati con altri obiettivi successivamente, oppure piazze nate dal riuso di spazi senza connotati specifici che trovano un nuovo utilizzo grazie alla loro riorganizzazione».

Per esempio?

Collettivo Orizzontale: «A Lima, in Perù, il lavoro RUS. Autoparque de diversiones è un progetto del collettivo Basurama volto a recuperare lo spazio sottostante e circostante il viadotto del treno sopraelevato che attraversa il quartiere Surquillo, iniziato negli anni 60 del secolo scorso ma mai terminato.

Il progetto parla di una riattivazione di quest’area attraverso riflessioni sullo spazio pubblico e sul trasporto privato e pubblico, che si è concretizzato in azioni artistiche e di partecipazione della cittadinanza che hanno trasformato le infrastrutture presenti in un quasi Luna Park».

E poi c’è la questione del vuoto, che forse è alla base di ogni ragionamento: la piazza come spazio vuoto nella città.

Collettivo Orizzontale: «Svuotare non è solo togliere, è anche mettere a disposizione, dare disponibilità di uno spazio. Per esempio, pensiamo a una strada: è piena di automobili, dei dehors dei bar, dei cartelli stradali e di divieti, tutte cose che ne impediscono o certamente limitano l’uso. Se invece pensiamo alla piazza e ai luoghi pubblici come territori possibili di un’abitabilità continua, occorre che siano, appunto, vuoti. E quindi non necessariamente legati a una progettazione, anzi…».

Nel vostro libro parlate anche di assenza del progetto. Perché?

Collettivo Orizzontale: «Abbiamo scelto di cominciare con Place Léon Aucoc a Bordeaux perché oggetto di un atto coraggioso. L’amministrazione locale aveva interpellato lo studio parigino Lacaton e Vassal (degli architetti Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal) per riqualificare la piazza.

Dopo un attento studio del luogo e del suo utilizzo, i due architetti hanno proposto di non fare nulla se non pulire la piazza e provvedere a lavori di manutenzione ordinaria per i successivi dieci anni.

Ecco, la sottrazione totale del progetto è un gesto rivoluzionario. E lo abbiamo scelto proprio perché il nostro sguardo va alla non preponderanza del progetto sull’uso dello spazio. Ovvero, non avere un programma, ma scendere in campo, non disegnare o vestire, ma usare».

Qual è l’uso attuale della piazza? E quale definizione dareste voi di questo spazio pubblico?

Collettivo Orizzontale: «Impossibile definire la piazza oggi perché comprende una pluralità di cose, usi, modi… Ma quello che vogliamo far emergere è un vuoto che attende l’inatteso. Un luogo che sfida il mondo della progettazione perché è pensato senza una funzione specifica. La piazza è un sistema aperto e per questo rimane un dispositivo attuale».

Qual è allora il ruolo delle pubbliche amministrazioni?

collettivo orizzontale: «Spesso, non sempre, è la parte mancante di questo discorso, benché la pubblica amministrazione sia la chiave della trasformazione. Però mettere in luce le piazze come elementi chiave dello spazio pubblico significa richiamare l’attenzione sui bisogni della comunità e su come la città contemporanea vuole essere trasformata».

Avete parlato di vuoto e in effetti la pandemia ci ha permesso di sperimentare l’esistenza di piazze vuote… vi ha ispirato questa esperienza?

Collettivo Orizzontale: «Quelle piazze vuote hanno rappresentato una privazione: erano luoghi che avrebbero potuto farci bene perché all’aperto, invece erano vietate. Cioè era vietato usarle e sono state parte della mancanza di socialità che abbiamo forzatamente vissuto in quel periodo. Però quel vuoto ha reso manifesta la possibilità latente di un uso non asfissiante della piazza. Il vuoto ha mostrato la possibilità di fare spazio alle relazioni».

La piazza usata come spazio pubblico implica anche di riflettere sul tema della sicurezza, oggi sempre più sotto i riflettori.

Collettivo Orizzontale: «Quello della sicurezza è sicuramente un tema. Noi pensiamo che lo spazio sia sicuro quanto più è abitato. Poi sicuramente occorre confrontarsi con approcci e situazioni umane diversi con cui fare i conti. Ma il vivere comune crea un ambiente democratico».

L’inatteso garantito dallo spazio vuoto è un’apertura sul futuro. Quali caratteristiche ha la 'vostra' piazza del futuro?

Collettivo Orizzontale: «Impossibile dirlo, proprio perché la piazza è lo spazio dell’inatteso. Ma pensando a un augurio, auspichiamo che ce ne siano di più, per riuso o per nuova creazione. Ci auguriamo che ci sia più spazio per le relazioni umane, per il confronto e anche per lo scontro. Nel nostro libro c’è una lunga lista di parole che prova a definire la piazza. Ecco, il futuro potrebbe essere caratterizzato da nuove parole da aggiungere alla lista».